lunedì 16 luglio 2012

Napolitano solleva il conflitto con la procura di Palermo..come Berlusconi??


Napolitano solleva il conflitto con la procura di Palermo

Napolitano solleva conflitto di attribuzione con Palermo: 'Intercettazioni lesive per le prerogative del presidente della Repubblica'. Procuratore Messineo: 'Siamo sereni. Rispettate tutte le norme, già dati chiarimenti all'Avvocatura'. Ingroia: 'Intercet

16 luglio, 17:16

Napolitano ha affidato all'Avvocato Generale dello Stato l'incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato; decisioni che il Presidente ha considerato, anche se riferite a intercettazioni indirette, ''lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione".  Napolitano è giunto a prendere questa decisione ispirandosi all'insegnamento di Einaudi, per "evitare" precedenti "grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà" previste dalla Costituzione.
I MAGISTRATI: NORME RISPETTATE - "Siamo sereni. Tutte le norme messe a tutela del Presidente della Repubblica riguardo a una attività diretta a limitare le sue prerogative sono state rispettate. I chiarimenti sono stati già dati all'Avvocatura dello Stato. Mai la Procura avrebbe avviato una procedura mirata a controllare o comprimere le prerogative attribuite dalla Costituzione al Capo dello Stato". Lo ha detto il procuratore di Palermo Francesco Messineo. Ho appreso dell'avvio di una procedura relativa al conflitto di attribuzione. Dalla motivazione si ricava che questa iniziativa è stata attivata perché le intercettazioni, anche se indirette, sono lesive delle prerogative del Capo dello Stato. Al momento non conosciamo altro", ha concluso il procuratore.
Nei giorni scorso l'Avvocatura dello Stato di Roma aveva chiesto a Messineo chiarimenti sulle intercettazioni di conversazioni tra l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e il capo dello Stato Giorgio Napolitano che sarebbero state "captate" nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Le conversazioni sarebbero state intercettate indirettamente visto che ad essere sotto controllo era il telefono dell'ex ministro Mancino, indagato nell'ambito del procedimento per falsa testimonianza. Sono state invece depositate le conversazioni tra l'ex capo del Viminale e il consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio.
LE REAZIONI -  Il guardasigilli Paola Severino, a Mosca per una visita ufficiale, ha difeso la decisione del Quirinale di sollevare un conflitto di attribuzioni sulla vicenda delle intercettazioni telefoniche dell'inchiesta di Palermo: "Il capo dello Stato ha utilizzato il mezzo più corretto".
"Se l'intercettazione non è rilevante per la persona che è sottoposta a immunità e lo è per un indagato qualsiasi, può essere utilizzata". Lo dice il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, a proposito del conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "Secondo la nostra posizione - ha aggiunto Ingroia - per altro confortata da illustri studiosi, se l'intercettazione è rilevante nei confronti della persona intercettata, allora è legittima. Non esistono intercettazioni rilevanti nei confronti di persone coperte da immunità. E per quelle non coperte da immunità non c'e bisogno di alcuna autorizzazione a procedere".
"Ha ragione il Presidente della Repubblica quando sostiene che non devono esserci interferenze tra i vari organi costituzionali dello Stato e, proprio per questa ragione, ci auguriamo che nessuno, qualunque carica rivesta, interferisca con l'Autorità Giudiziaria nell'accertamento della verità", affermaAntonio Di Pietro. L'Idv, aggiunge, si schiera "senza se e senza ma al fianco dei magistrati palermitani". Per Di Pietro, i magistrati palermitani "stanno facendo ogni sforzo possibile per accertare la verità in ordine alla pagina buia rappresentata dalla trattativa tra Stato e mafia, che ha umiliato le istituzioni ed ha visto magistrati del calibro di Falcone e Borsellino perdere la vita, mentre altri trattavano per farla franca". "In uno Stato democratico, credo che tutti i cittadini abbiano il diritto di sapere se qualcuno abbia interferito nella ricerca della verità. E, nel caso specifico, è dovere dello Stato accertare le ragioni per cui un ex presidente del Senato, ex presidente del Csm ed ex ministro dell'Interno abbia cercato di interferire con le indagini, ricorrendo ai buoni uffici delle più alte cariche dello Stato per non dover rispondere delle proprie azioni davanti alla magistratura", conclude.
DECRETO NAPOLITANO, GIA' LESE PREROGATIVE CAPO STATO - Le prerogative del Capo dello Stato sono state già lese dai pm di Palermo con la valutazione dell'irrilevanza delle intercettazioni e la loro permanenza agli atti dell'inchiesta; sarebbero ulteriormente lese da una camera di consiglio per deciderne in contraddittorio la distruzione. lo si legge nel decreto del presidente Napolitano.
"Comportano lesione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo della loro menomazione - è scritto nel decreto del Capo dello Stato - l'avvenuta valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione (investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e l'intento di attivare una procedura camerale che - anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto - aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte".

Il “piano Grilli” sul debito? Inutile se non ci aiuta la Bce.


Il “piano Grilli” sul debito? Inutile se non ci aiuta la Bce.

lunedì 16 luglio 2012
FINANZA/ Borghi: il “piano Grilli” sul debito? Inutile se non ci aiuta la Bce

Vendere i beni pubblici per aattere il debito. E’ questa la strada che il neoministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha intenzione di intraprendere per garantire “15-20 miliardi di euro l'anno pari all'1% del Pil”. In questo modo, ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera, sarebbe possibile ridurre il debito di venti punti nel giro di 5 anni. “La spendig review - ha aggiunto - consente risparmi al di là delle cifre di cui si parla in questi giorni. Si possono ancora ridurre le agevolazioni fiscali e assistenziali, intervenire sui trasferimenti alle imprese, le ipotesi sono tante”. Tra queste, la lotta all’evasione fiscale che dovrebbe far ottenere allo Stato “più dei 10 miliardi previsti”. Dopo aver annunciato che il governo farà il possibile per evitare il rialzo dell’Iva, Grilli punta il dito contro Moody’s, l’agenzia di rating che pochi giorni fa ha ridotto di due gradini la valutazione del debito italiano, da A3 a Baa2: “Davano la tripla A ad autentici pericoli pubblici”, ricorda Grilli. “Si sono mosse sempre in ritardo finendo per ampliare gli effetti dei fenomeni, invece di anticiparli, e il dialogo si è interrotto. Oggi ci avvertono quando ormai tutto è deciso, non accettano spiegazioni”. IlSussidiario.net commenta le dichiarazioni del ministro dell’Economia e le future mosse del governo con Claudio Borghi, Professore di Economia degli Intermediari Finanziari presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore.


Come giudica l’idea di vendere beni pubblici per ridurre il debito?

E’ un’idea che non mi trova d’accordo, ma è necessaria una precisazione. L’ipotesi di vendere immobili non è di per sé sbagliata, ma il passato ci insegna che una soluzione del genere non è risolutiva come si può pensare. La proposta ovviamente non è nuova e riproponendola continuiamo a perdere di vista il vero problema del nostro Paese, cioè quello del credito.

Si spieghi meglio.

E’ ormai noto che il mercato non ci fa credito. Di conseguenza, se scegliamo di vendere i nostri asset senza prima risolvere i problemi che stanno alla base, la situazione non potrà mai migliorare. Agli investitori che devono farci credito non interessa se ci liberiamo delle proprietà dello Stato, perché in ogni caso non raggiungeranno mai il valore dello stock del debito pubblico. Così facendo l’Italia si ritroverebbe solamente senza garanzie e con un debito sempre più alto.

Grilli fa male quindi a tirare fuori una simile soluzione?

Come ho già detto, un’idea del genere non è sempre sbagliata. Anzi, lo Stato dovrebbe certamente vendere proprietà sfitte e inutilizzate, ma sono anche dell’idea che non dovrebbe parlarne come se fosse la soluzione di tutti i nostri problemi, perché altrimenti non fa altro che gettare fumo negli occhi.

Dove trovare quindi la soluzione?

Ogni vicenda italiana ruota intorno alla Bce e al fatto che siamo l’unico Paese che, anche se fosse eccezionalmente virtuoso, possiede un debito pubblico non garantito dalla Banca centrale europea. Il nostro debito pubblico necessita quindi una garanzia totale e incondizionata da parte di una banca centrale che molti altri Paesi tra l’altro già possiedono.

Quali sarebbero le condizioni per ottenere una tale garanzia?

Nel caso in cui la Bce garantisse tutti i debiti naturalmente ogni condizione dovrebbe essere definita con cura. Dopo averle valutate, si deciderebbe come agire e, se non dovessero essere soddisfacenti, allora probabilmente è meglio togliere il disturbo e tornare alla nostra vecchia valuta.

Cosa pensa dello scudo antispread?

Da quando è scoppiato il problema del debito pubblico greco continuiamo a rincorrerci con fondi a cui non facciamo altro che cambiare il nome. Ora è la volta del FAFA (Financial Assistance Facility Agreement, nome ufficiale dello scudo antispread ndr) e ci convinciamo che siano soldi piovuti dal cielo, quando invece siamo proprio noi a pagare questi fondi. Come si può pensare che un fondo pagato da vari Paesi come l’Italia e la Spagna possa garantire il nostro debito pubblico? Spero solamente che non ci stupiremo più di tanto quando sarà chiaro che è un’idea che non sta in piedi

Hormuz e la guerra del petrolio


Hormuz e la guerra del petrolio

16 luglio 2012
Christian Elia
L’inaugurazione è avvenuta ieri, 15 luglio 2012. Un bastimento con un carico si oltre 500mila barili di greggio provenienti dal campo petrolifero di Habshan, nell’emirato di Abu Dhabi, sono transitati dall’emirato di Fujeirah direttamente nel Golfo dell’Oman. Detto così pare poca cosa, ma in realtà è una piccola rivoluzione: il carico, infatti, non è transitato dallo Stretto di Hormuz.
Hamed Jafarnejad/AFP/Getty Images
Significa che per la prima volta, sotto gli occhi dell’Iran, l’oro nero si è spostato senza passare dal controllo della via di mare più strategica del pianeta, quella che gli ayatollah minacciano di chiudere al passaggio delle navi ogni volta che si sentono in pericolo, paventando una crisi energetica in tutto il mondo.
Una mossa non inattesa, ma comunque di grande portata. Basta pensare che nei giorni scorsi nella Maijlis, il parlamento iraniano, un deputato chiedeva di approvare un decreto per impedire alle navi degli stati europei che si sono uniti all’embargo contro l’Iran di transitare dallo Stretto di Hormuz.
Che rimane un punto chiave del pianeta, tanto che fonti governative Usa hanno annunciato la creazione e la dislocazione nello Stretto di unità robotiche silenti, pronte a intervenire al minimo accenno da parte delle unità navali iraniane di chiudere lo stretto al passaggio delle petroliere.
La tensione resta alta, dunque, ma l’apertura della pipeline di Fujeirah (pieno regime ad agosto, condotto da 360 chilometri, prima pietra posata nel 2008) consente di bypassare il problema per un ingente carico di oro nero.
Secondo quanto dichiarato da Hamad bin Mohammed Al-Sharqi, l’emiro di Fujeirah, la portata del condotto è di 1.5 milioni di barili al giorno, fino a un massimo di 1,8 milioni di barili. Tanto petrolio, considerando che l’attuale produzione di tutti gli Emirati Arabi Uniti, al giorno, è di 2.5 milioni di barili al giorno.
La strategia della tensione nei confronti dell’Iran si arricchisce di una nuova arma. Proprio mentre, nel silenzio dei media generalisti, in Arabia Saudita la tensione nella comunità sciita continua a salire. Dopo gli scontri dei giorni scorsi, nella regione orientale del Paese, a maggioranza sciita, dove migliaia di persone hanno manifestato ad Al Qatif, subito dopo i funerali di un uomo ucciso domenica dalla polizia. L’omicidio era avvenuto durante le proteste scoppiate per l’arresto di un leader religioso sciita che si era rivolto così alle autorità saudite.
”Perché – aveva chiesto provocatoriamente lo sceicco Nimr Al-Nimr, leader sciita – non attaccate i Paesi stranieri? Perché attaccate noi, poche decine di povere anime, se un paese straniero è responsabile. Allora attaccate la fonte del problema, attaccate l’Iran. Se pensate che il problema sia l’Iran, attaccatelo e vedremo cosa sarete capaci di fare”.
Lo sceicco ha toccato il cuore del problema: gli sciiti sauditi si sentono minacciati e discriminati, il governo li accusa di essere fomentati e pagati da Teheran, nella lotta per il dominio regionale. Lo stesso discorso per il Bahrein, dove gli sciiti sono addirittura la maggioranza della popolazione.
Tensioni che giungono nel momento sbagliato, quando l’inviato delle Nazioni Unite per la crisi siriana, Kofi Annan, aveva aperto agli iraniani per il tavolo di concertazione su una soluzione della crisi siriana. In Siria, infatti, la minoranza alevita al potere con il clan Assad è da sempre vicina all’Iran e agli sciiti. La Russia, cogliendo l’attimo, non ha fatto mancare (unico stato del Consiglio di Sicurezza) una dura condanna della repressione del governo saudita a danno degli sciiti. La partita è ancora lunga.

Ecco il video degli anziani portati a loro insaputa al comizio di Berlusconi


Ecco il video degli anziani portati a loro insaputa al comizio di Berlusconi

14/07/2012
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Hotel Ergife di Roma. Presenti tutti i big del Pdl. Ma la grande attesa è tutta per lui, Silvio Berlusconi, che qui  dovrebbe aprire la campagna elettorale dopo l’annuncio della nuova discesa in campo. Circa 300 persone in una sala riempita con tre pullman di ignari anziani del “centro sociale anziani Don Giorgio Talkner” che, però, pensavano di andare in gita e non al comizio di Berlusconi. Alla luce di quest’episodio risulta ancora più folle la sparata del vicesegretario del Pd, Enrico Letta, che proprio ieri al Corriere della Sera dice: “Preferisco che i voti vadano al Pdl piuttosto che disperdersi verso Grillo”. Ecco il video:

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Francia: tra democrazia sociale e licenziamenti di massa


Francia: tra democrazia sociale e licenziamenti di massa

16 luglio 2012
E’ stata una settimana intensa. Erano ancora calde le sedie della conferenza sociale tra governo socialista, sindacati, padroni piccoli e grandi, associazioni varie della società civile per tentare un dialogo in vista di un nuovo patto tra produttori, quando la direzione di PSA, la company dell’auto Citroen – Peugeot, ha comunicato che per l’anno prossimo è prevista la soppressione di 10.000 posti di lavoro, di cui 8000 in Francia, con la chiusura totale della fabbrica di Aulnay sous Bois, in Seine St. Denis, banlieue rossa di Parigi, dove lavorano a tutt’oggi 3000 operai. Con l’indotto i posti in meno aumentano fino a 40.000 (si calcola che ogni posto nella fabbrica madre corrisponda a 3- 4 posti nelle officine esterne).

MARTIN BUREAU/AFP/GettyImages
Un annuncio “brutale” per i lavoratori, per dirla col presidente Hollande, che è anche una martellata a qualunque ipotesi di cosiddetta “democrazia sociale”, su cui il governo ha scommesso molto, nonché una radicale messa in discussione, se non riduzione quasi a zero dell’autorità dello stato e del presidente, una riduzione, quasi disprezzo, dell’autorità politica democraticamente eletta, da parte dei grandi capitalisti, in nome delle leggi del mercato e del profitto. Il governo aveva infatti anche annunciato un piano di aiuti al settore auto per la fine di luglio, ma PSA ha fatto orecchie da mercante, è proprio il caso di dirlo, lanciando con fracasso mediatico la sua ristrutturazione. Intanto arriva il 14 luglio, festa della Rivoluzione e della presa della Bastiglia, con una mega parata militare e un presidente sull’attenti di fronte a un profluvio di generali e di armi di tutti i tipi che sfilano lungo i Campi Elisi. Poi in televisione Hollande scandisce: lavoro, giustizia, crescita queste le mie priorità, e da questo punto di vista il piano di PSA è del tutto inaccettabile, e non sarà accettato , aggiungendo: i dirigenti di PSA hanno mentito ai lavoratori e a tutti i francesi, nascondendo la situazione durante la campagna elettorale per non nuocere a Sarkozy (il PDG di PSA aveva più volte detto che nessuna fabbrica sarebbe stata chiusa). E rincarando la dose: si parla del costo del lavoro, ma non delle centinaia di milioni di euro (250 circa), che gli azionisti si sono spartiti l’anno scorso. Stando alle parole comincia un braccio di ferro del tutto inedito tra autorità politico statale e un grande gruppo industriale.
Già le parole. Durante la conferenza sociale ministri/e hanno bandito le dizioni “austerità” e “rigore”, così come “costo del lavoro” e “flessibilità del mercato del lavoro”. Insomma il primo cambiamento è nel linguaggio, e nell’ordine del discorso. Prima vengono les salaries et le travail, i salariati e il lavoro, poi protezione sociale e crescita, quindi ricerca sviluppo e produzione, perfino la riconversione ecologica sopravanza su produttività e profitto, quasi cancellate. E ogni volta che un ministro viene intervistato c’è la buffa situazione di domande su austerità e rigore, cui l’intervistato risponde con giustizia, eguaglianza, crescita. Oltre le parole e l’ordine del discorso, ci sono alcuni annunci significativi. Il primo, ribadito di fronte alle parti sociali in modo solenne, come si dice qua, la Francia non metterà nella sua Costituzione la “regola d’oro”, cioè il pareggio di bilancio, e chissà come la prenderà madame Merkel. Invece per legge costituzionale diventerà un obbligo la consultazione tra le parti, essenzialmente padroni e sindacati, in caso di ristrutturazione che metta in discussione il lavoro, i posti di lavoro, nonché l’obbligo dell’avvio di una fase di concertazione. Non è chiaro cosa accada in caso di fallimento della stessa. Infine è stato detto e ridetto che cambierà in profondità la politica fiscale, in particolare “ la protezione sociale non può pesare solo sulle spalle dei lavoratori salariati”, ma anche padroni e ricchi di ogni dove dovranno fare la loro parte, con a cascata nuove tasse sul patrimonio, sui capitali, sulle transazioni finanziarie. Certo per ora si tratta solo di intenzioni, ma destinate a pesare nel dibattito pubblico. Si chiude la conferenza e poche ore dopo, guarda caso!, l’ordine capitalista del discorso torna a occupare la scena con l’annuncio di PSA, 8000 posti di lavoro soppressi in Francia. In particolare colpisce la chiusura degli stabilimenti Citroen a Aulnay-sous-Bois, la fabbrica degli operai ribelli per antonomasia. Per anni viene gestita dalle assunzioni ai turni al cottimo, attraverso un sistema clientelare che viaggia tra il paternalismo e la repressione, con un sindacato aziendale CSL braccio diretto del padrone a fare il bello e cattivo tempo, e la CGT ridotta a pochi militanti semiclandestini. Poi nel 1982, un anno dopo che la sinistra, PCF e PS, ha vinto, Mitterand è il nuovo presidente della Repubblica, al governo siedono socialisti e comunisti, per un motivo che nessuno più ricorda, scoppia uno sciopero selvaggio che dura cinque settimane, e in fabbrica, per dirla con le parole di uno dei protagonisti “torna la libertà” “uno sciopero per la dignità” dice un altro, uno sciopero che ottiene anche consistenti aumenti salariali. Il blocco è durissimo, la direzione organizza addirittura voli di elicotteri che atterrano sul piazzale interno sbarcando crumiri per rompere lo sciopero, ma non basta. Il CSL viene letteralmente spazzato via quando tenta di opporsi anche fisicamente, i suoi militanti buttati fuori a forza, alle elezioni dei delegati successive la CGT conquista il 52% dei voti, il CSL si annichila.
Lotte quelle degli operai di Citroen Aulnay che continuano, fino ai grandi scioperi del 2005 e 2007, insomma la direzione di PSA vuole chiudere uno dei luoghi dove la lotta di classe abita in permanenza, e la rivolta operaia è sempre lì a un pelo. Il senso della chiusura è tutto politico, se i padroni sfondano a Aulnay l’intera classe operaia francese, e quindi l’intera sinistra, sarà più debole, lo dicono e lo urlano gli operai che entrano in sciopero subito dopo l’annuncio, i deputati socialisti e comunisti, il sindaco di Seine St Denis, accorsi ai cancelli. La discussione è accanita, poi a fine giornata si decide di aspettare per lo sciopero il rientro dalle vacanze agli inizi di settembre. I lavoratori rientrano in fabbrica, ma la produzione va molto a rilento, in più punti è interrotta. E arriva l’arte francese della guerra con la sfilata militare del 14 luglio, mentre in cielo volano le frecce tricolori francesi, e vien in mente che non più tardi di una decina di giorni fa, i piloti della protezione civile erano in sciopero perché non hanno i soldi per la benzina dei loro aerei. E’ un’orgia di armi e soldati, coi paracadutisti che calano nel centro di Parigi, e i cavalieri che caracollano sull’asfalto, il presidente impettito a bordo di una jeep contornato da generali. Il fatto è che la sinistra francese fin dalla Rivoluzione dell’89 passò direttamente dalla presa della Bastiglia alla difesa della nuova patria rivoluzionaria contro i nemici reazionari e realisti che la minacciavano dentro e fuori i confini, arruolandosi in massa nell’esercito comandato da un oscuro tenente d’artiglieria fatto in fretta e furia generale, Napoleone Bonaparte. Lo stesso accadde al tempo della Comune, quando la borghesia spalancò le porte di Parigi insorta alle truppe prussiane, ma lì la guardia nazionale comunarda fu purtroppo sconfitta. Sinistra patriottica, il patriottismo è l’amore verso i propri concittadini, distinto se non opposto, dal nazionalismo che è invece l’odio verso gli altri, questa la definizione che danno. Il che nulla toglie al grottesco di questa pomposa messa in mostra degli arnesi della guerra, molto amata va detto dai francesi che applaudono, e quest’anno anche Marsiglia ha avuto diritto alla sua mostra d’armi. Infine il discorso di Hollande in TV, di cui abbiamo in parte già detto. Adesso lo scontro è aperto, tra il governo e PSA, tra operai e padroni di PSA, ma anche altri un po’ ovunque in Francia, e poi l’Europa dove Hollande ha confessato, sorridendo ma non troppo, di sentirsi un po’ solo in quanto unico capo di stato appartenente alla sinistra.
Se questo scontro troverà dei punti di mediazione, e quando, è difficile dire. Dopo le dichiarazioni del presidente, accusato da molti liberisti e non di mettere i piedi in un piatto, quello delle scelte economiche e di mercato di una grande multinazionale, che non è il suo, la direzione di PSA tace, ma settembre è dietro l’angolo e a fine luglio il governo presenterà il suo piano per l’auto. Perché una domanda inevasa rimane: quale sia il futuro dell’auto in Francia, e nel mondo. Forse un futuro non esiste, e allora? Insomma viva la lotta di classe e viva la lotta istituzionale volta a limitare i poteri del grande capitale, ma senza un nuovo modello di lavoro, produzione, sviluppo e vita associata, il che implica nuovo modello energetico e di consumo e uso delle risorse, nonché nuovo modello di mobilità eccetera, il discorso rischia di rimanere monco e zoppicante. Un nuovo modello non nell’utopia, il luogo che non esiste, ma nell’oggi, al massimo domani, e nella pratica. Qui il contributo di forze come il Front de Gauche e dei verdi potrebbe essere importante, speriamo.

Ecco come rompere l'oligopolio delle agenzie di rating


Ecco come rompere l'oligopolio delle agenzie di rating


lunedì 16 luglio 2012
FINANZA/ 2. Ecco come rompere l'oligopolio delle agenzie di ratingInfophoto
Le agenzie di rating tornano nel mirino di governi, media e opinioni pubbliche negli stessi giorni in cui la “banda del Libor” subisce un colpo durissimo: certamente per alcune carriere e per la reputazione di certe piazze. Due oligopoli, quello dei rating e quello dei tassi-benchmark del mercato monetario. Il primo fatto di sole tre sorelle, tutte americane; il secondo un po’ più esteso nella globalità, ma sempre incardinato sull’asse Wall Street-City.
Ma del resto cos’era la finanza derivata alla vigilia del crac di Lehman Brothers? Le emissioni di collaterali di crediti immobiliari (quelli che hanno caricato mercati e banche di rischi esplosivi) era sostanzialmente un duopolio articolato: da un lato le due agenzie para-pubbliche (Fannie Mae e Freddie Mac), dall’altro molte major newyorchesi “dead walking” (Bear Sterns e Lehman) o poi salvate dal piano Paulson (Goldman Sachs, JP Morgan, Bank ok America). La cosiddetta finanza globale, in ogni caso, è ancora un mondo in cui sopravvive egregiamente il fixing dell’oro a Londra, tutt’ora elaborato quotidianamente dal “Club dei Cinque”: non più un oligopolio “old” di broker in bombetta come Samuel Montagu, ma un oligopolio “new” di cinque colossi bancari (ancora Barclays, Deutsche e SocGen, oltre a Hsbc e ScotiaBank). Pur sempre “Square Mile” come nel 1919: una rete ristretta di uffici e club nel cuore della City.
L’oligopolio finanziario “troppo grande per fallire” - avversario “duro a morire” per l’America di Obama come per l’Europa della Merkel - rimane dunque al centro del confronto intellettuale e politico più serio (ne è però fuori il ministro Fabrizio Barca, fino a ieri senior economist di Bankitalia e Ocse e dirigente generale del Tesoro: i giudizi di Moody’s, dall’oggi al domani, raffazzonano «chiacchiere da salotto»? Il tecnocrate neopopulista-snob si disilluda in fretta: come candidato-premier nel 2013 - Barca è stato preconizzato da alcuni come “nuovo Prodi” - Beppe Grillo è già avanti di dieci punti).
 Sulla distruzione dell’oligopolio duellano comunque da tempo - in modo particolarmente leggibile riguardo le agenzie di rating - la critica antimercatista (“di sinistra”) e quella ipermercatista (“di destra”) La prima - molto europea - ripete che il collasso dei mercati è stato causato dai suoi eccessi liberisti e che la ricostruzione “antisismica” esige più regole, freni più stretti, nuovi/vecchi muri. Opposto, ma non meno severo, l’approccio dei critici “mercatisti” (come, ad esempio, Luigi Zingales, italiano di Chicago): la crisi è stata originata da “troppo poco mercato” e la cura del pur grave “incidente di crescita” non può che essere l’immissione delle dosi mancanti di tutto ciò che avvicina all’archetipo della “concorrenza perfetta”.
Esemplare, pochi giorni fa, il commissario Ue al mercato interno, Michel Barnier: «Lei ha ragione - dice il commissario francese all’intervistatore - nel mercato dei rating c’è troppo poca concorrenza, favoriremo la nascita di nuove iniziative private. Ma la questione chiave è ridurre l’importanza delle valutazioni nei parametri usati dalla regolamentazione dell’attività creditizia». Ineccepibile: lo sanno per prime le banche italiane quale cocktail micidiale possa derivare dall’immissione di rating “privati” (generati dal mercato) in momenti di regolamentazione “pubblica” o “semi-pubblica” (principi contabili Ias, Basilea 3 e stress-test Eba, ecc.). In ogni caso la “vision” (comprensibile e in parte rilevante condivisibile) è “poteri pubblici contro poteri di mercato”. È la stessa che periodicamente mette sui tavoli del G-20 la “Tobin tax” (la tassa sulle transazioni in funzione di freno e “punizione” alla speculazione) o varie forme di messa al bando degli hedge fund.
Ma proprio nel caso dei rating è più visibile quanto i tentativi dei poteri pubblici di “ri-contenere”, almeno, i mercati, abbiano il sottile e proverbiale irrealismo di chi vorrebbe ricacciare il genio nella lampada o il dentifricio nel tubetto. Fino a un quarto di secolo fa, in un sistema finanziario spezzettato in aree valutarie nazionali fatte funzionare essenzialmente da Stati e banche con prodotti elementari (depositi e titoli di Stato) la vigilanza delle banche centrali sulla solidità degli intermediari era più che adeguata: svolgeva di fatto la funzione di assegnare “merito di credito”. È nei primi anni ‘80 che tutto cambia: i mercati finanziari diventano adulti, si aprono, si integrano, assumono dimensioni e complessità prima sconosciute.
I “supervisor” nazionali entrano in crisi e (come purtroppo si è verificato) perdono via via la capacità di controllare i rischi assunti degli stessi intermediari sottoposti alla loro vigilanza (lo stesso progetto Unione bancaria, fresco di firma, certifica l’obsolescenza delle vigilanze pubbliche nazionali, con buona pace dei nostalgici anti-mercatisti) Certamente, comunque, non era e non può essere compito dei “vigilantes” pubblici supportare le scelte degli investitori: dei piccoli risparmiatori privati o i grandi gestori istituzionali. Chi può dire a un fondo pensioni australiano quanto una banca italiana, uno Stato sudamericano, una multinazionale indiana è affidabile?
Alla fine riesce a dirlo, ha interesse a dirlo, solo il mercato medesimo: generando “arbitri” professionali e privati pagati dal mercato stesso, senza necessità di authority pagate dai contribuenti. Strutture che canalizzano il classico “passaparola”, che danno contenuto tecnico di giudizio e comunicazione riconosciuta al “nome su piazza” di una società, di una banca, di uno Stato. Standard & Poor’s e Moody’s nascono così nella Wall Street “d’antan”: un po’ gestori di dati e indici di Borsa, un po’ editori di newsletter, un po’ analisti, un po’ consulenti. Gli investitori sono disposti a comprare i loro servizi fino a quando risultano attendibili e aggiornati; gli emittenti di titoli sono disposti a pagare per fregiarsi del rating S&P’s in quanto giudicato attendibile, accettabilmente professionale e indipendente: sulla carta il modello “di mercato” sta in piedi. E l’impresa “profit” sembra vincere su tutta la linea: sollecitata dal mercato, produce servizi più efficienti e di qualità rispetto a un’authority burocratica, che non risponde al mercato ma allo Stato.
I conflitti d’interesse, i rischi di “cattura” da parte delle autorità pubbliche o del mercato? Il manuale del libero mercato dice che possiamo stare tranquilli: gli azionisti privati delle agenzie di rating (benché possano essere essi stessi attori del mercato) sanno che il valore del loro investimento (profitti e capitalizzazione di Borsa) è esclusivamente legato alla costante capacità “imprenditoriale” delle agenzie di stare sul loro mercato: di non sbagliare un colpo, di non essere sospettabili.
All’inizio del secolo ventunesimo la realtà - come quasi sempre - ha smentito sia teoria che la fantasia. Cinque giorni prima di un default epocale, nel settembre 2008, i rating di Lehman sono alti e stabili. Tre anni dopo è lo stesso presidente degli Stati Uniti a stracciarsi le vesti perché S&P’s ha tolto la tripla A al debito sovrano di Washington, mettendo in dubbio le capacità di governo del primo capo di Stato del pianeta (e questo, a rigore, potrebbe perfino essere un grosso punto di merito per l’oligopolio del rating: ma non per un presidente alla vigilia delle elezioni di riconferma e dopo aver fallito tutti i tentativi di rifare un po’ d’ordine a Wall Street). Già nell’estate 2011, comunque, una procura periferica del meridione italiano indaga sui metodi delle “tre sorelle” con criteri che - almeno per ora - né Sec, né Fbi hanno utilizzato. E i magistrati di Trani - attraverso intercettazioni e altre azioni investigative - scoprono che nel “mercato dei rating” c’è - come minimo - molta più approssimazione e molta meno trasparenza di quanto i manuali prescrivono e la “vulgata” dei mercati hanno fin qui raccontato. Sono i vizi tradizionali dell’oligopolio: che fare?
Non per coincidenza, il primo tentativo di portare nuova concorrenza a S&P’s, Moody’s e Fitch è venuto dalla Cina. Pechino non sarà la capitale di un sistema economico “di mercato”, ma - certamente più dell’Ue - ha chiare oggi tutte le dimensioni della “competizione globale” per averle sperimentate nel farsi largo sui mercati del pianeta. Dagong, l’agenzia di rating cinese, è un caso esemplare: è stata fondata nel ‘94, per alcuni anni ha compito una sorta di lungo “stage” presso Moody’s (naturalmente per “copiare l’arte”). Oggi la sua proprietà non è nota (ma è quasi certo un aggancio sostanziale con le autorità monetarie cinesi). I suoi rating sono ultra-severi e vengono citati dei media euroamericani ancora in chiave folkloristica: ma non più del tutto, dopo che Pechino ha investito porzioni crescenti delle sue riserve in debiti sovrani Usa-Ue.
In ogni caso, la Cina non ha ancora un’economia finanziaria di mercato compiuta , ma ha già la “sua” agenzia di rating (per ora semipubblica). L’Europa (o meglio: l’eurozona) rimane uno dei principali terreni di gioco della finanza globale, ma non ha sua agenzia di rating. Crearne una (o meglio ancora: due) da zero non è impossibile: la Bce è nata dopo pochi anni di incubazione nell’Ime e ha dato buona prova di governo monetario sotto stress. Ma stavolta sarebbe il mercato alla prova: UniCredit, SocGen, Santander, Deutsche Bank saprebbero impiantare un’agenzia competitiva? (Per una volta lasciamo stare la City: sono fuori dall’euro, remano contro sul “fiscal compact”, su Basilea 3 e su molto altro: se vogliono essere offshore, ci provino per davvero).
Chissà, il mercato stesso - da cui evidentemente indietro non si torna - apprezzerebbe altrettanto che le tre sorelle di Wall Street aprissero il capitale a investitori europei. Oppure che la più giovane (Fitch) riscoprisse le sue radici europee (e un pezzetto erano perfino italiane: Ibca). Vi fidereste di una nuova superagenzia “Moody’s-Dagong”? Chi scrive queste brevi note non sarebbe così diffidente: ovviamente quando le informazioni fossero interamente e indifferentemente accessibili attraverso Google e Baidu.


Ammutinamento su peschereccio italiano, ritrovati tre naufraghi

Motopescherecci
Un motopeschereccio sparito nel nulla con il suo comandante e parte dell’equipaggio: la Guardia costiera di Siracusa e quella greca indagano in queste ore per capire la dinamica dei fatti.
Le ricerche sono partite verso le ore 16.00, quando un membro dell’equipaggio del Fatima II, di Portopalo di Capo Passero (Siracusa), ha telefonato con il suo cellulare ad un familiare per avvertirlo di essere a bordo di una scialuppa di salvataggio, mentre altri due suoi compagni si trovavano nelle vicinanze, su un’altra zattera.

La centrale operativa delle Capitanerie di Porto, messa al corrente dell’accaduto, ha subito diramato una ricerca di soccorso, chiedendo collaborazione alle guardie costiere di GreciaMaltaTunisiaEgitto e Libia. Tre ore prima effettivamente il proprietario del motopesca Fatima II si era recato alla Guardia costiera di Siracusa dicendo che non riusciva più a contattare l’imbarcazione, impegnata nella pesca a 95 miglia dalle coste libiche.
I tre pescatori italiani sono stati avvistati da un mercantile delle isole Marshall che ha 
allertato la Guardia costiera greca, la quale li ha poi presi a bordo e condotti in salvo a Creta.
 I tre naufraghi hanno raccontato che nella notte fra venerdì e sabato, mentre loro si 
trovavano sotto coperta, hanno udito degli spari e si sono precipitati fuori, trovando tuttavia il boccaporto chiuso; dopo essere riusciti ad aprirlo, si sono però ritrovati di fronte gli altri tre membri dell’equipaggio, due egiziani e un tunisino, che li hanno aggrediti, minacciati e abbandonati sulle scialuppe di salvataggio, allontanandosi con il motopeschereccio.
L’ipotesi più plausibile per gli inquirenti è che sia nata una discussione fra i marinai stranieri e il comandante italiano, di cui non si hanno ancora notizie, e che in seguito alla lite sia avvenuto l’ammutinamento.
Il Fatima II è ora ricercato da tutte le guardie costiere dell’area, in particolare da quella egiziana, poiché si sospetta che i fuggiaschi siano diretti in Egitto.



Ancora su g8 di Genova


Contenti loro, contenti tutti?

Questo titolo andrebbe formulato diversamente. Nel senso che avreste dovuto leggere, più correttamente: se sono contenti loro, devono essere contenti tutti? Per quali motivi?
Chi sono “loro” e perché dovrebbero essere “contenti”?
“Loro” sono le vittime della “macelleria messicana” – così fu definita dai media di sinistra e da quelli “progressisti” – che caratterizzò le manifestazioni svoltesi a Genova nell’ormai lontano 2001, in occasione del G8.
E la ragione per cui le “vittime della macelleria  messicana” durante il G8 di Genova  del 2001 dovrebbero essere “contente” è che, nei giorni scorsi, la Corte di Cassazione ha confermato le condanne dei principali responsabili, nelle fila delle cosiddette “forze dell’ordine” (come no? al solito, l’ordine dei cimiteri), della mattanza alla scuola Diaz..
In realtà, l’impudenza degli incapaci e dei vigliacchi (non alludiamo, in questo caso, alla sbirraglia) è pari soltanto alla loro fellonia.
Gli stessi che, a Genova, nel 2001, condussero un intero movimento di massa al massacro prima fisico e poi, di conseguenza, politico (essendo l’uno il presupposto e la condizione dell’altro, come dimostra una varietà di episodi e di esperienze storiche), le canaglie senza ideali, senza idee e senza fama che, al pari della sbirraglia la quale vide premiata la propria ferocia belluina con la promozione ai vertici della Polizia, entrarono in Parlamento, europeo o nazionale poco importa, la differenza consistendo soltanto nella differenza di reddito percepito, sulla spinta delle lotte e… delle manganellate dei Soliti Noti (e lo fecero grazie al voto degli Utili Idioti dei Centri Sociali); ebbene, costoro, dicevamo, oggi sono tornati ad essere per l’appunto, contenti.
E’ contenta Heidi  Giuliani, la madre del “ragazzo Carlo”, il black blok che si tenta ancora disperatamente di considerare una “vittima innocente della Violenza”, ovviamente con la V maiuscola, come avviene per tutti i fenomeni aclassisti e dunque generici ed astratti alla stregua dei precetti morali e dei principi della religione cattolica..
Giustizia c’è benché incompleta (bontà sua!, ndr), anche se le responsabilità sono più ampie e penso all’assoluzione dell’allora capo della Polizia e al mancato processo per la morte di mio figlio”, ha dichiarato ai giornalisti, ovviamente tutta (o quasi) “contenta”.
“Contento” anche ‘immancabile Niki Vendola, per il quale “la nube tossica che per undici anni ha coperto la mattanza di Genova si è dissolta”.
Peccato solo che, a ritardare la (presunta) “dissoluzione” della (reale) “nube tossica” sia stata non solo la Sinistra parlamentare dalle cui fila l’esponente pugliese proviene, la quale impedì, nel 2007, la formazione di una Commissione di inchiesta sui “fatti di Genova del 2001”, ma lo stesso Partito della Rifondazione Comunista, di cui Vendola è stato dirigente. Rifondazione, infatti, insieme con il PDL l’UDC ed il PDmenoL (leggi: le canaglie ex piciste), nel 2006 votò il famigerato indulto-Mastella, salvando in tal modo dalla galera la sbirraglia responsabile dei pestaggi alla Diaz.
Tutti “contenti”, dunque.
Sicuramente anche il “compagno”-rabbino Fini, all’epoca vice-presidente del Consiglio, che era presente nella sala operativa della Questura a dirigere le operazioni.
E il leghista Castelli, questo nano da giardino avanzo di una letamaia bergamasca, che, mentre erano ancora in corso i pestaggi, alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se era giusto tenere in piedi e con la faccia contro il muro per tutta la notte un giovane, rispose che non c’era nulla di cui scandalizzarsi, visto che anche i suoi operai stavano in piedi tutto il giorno.
Ed il reparto della Celere di Roma noto per i suoi picchiatori.
E gli sbirri tanto cari a al “compagno” Pasolini ed alla “Società per la protezione degli Animali” con i telefoni con “faccetta nera” come suoneria, esibiti e suonati a scherno ai ragazzi a cui erano stati strappati dalla carne viva i piercing…
E, per concludere questa carellata disgustosa di orrori e di mostri, contento lo stesso Mario Placanica, il carabiniere responsabile dell’assassinio di Carlo Giuliani che, negli stessi giorni della sentenza della Cassazione, è stato rinviato a giudizio dal GIP di Catanzaro per “pedofilia ed abusi sessuali nei confronti della figlia della sua seconda moglie, una ragazzina di 11 anni”…
Contenti loro, contenti tutti, allora?
“Ma fateci il piacere” (Totò), fateci…

Motocross: Cairoli vince in Lettonia


Motocross: Cairoli vince in Lettonia



Tony Cairoli vince il Gran premio di Lettonia e ritorna cosi’ in testa al mondiale della MX1 di motocross, con 12 punti di vantaggio su Clement Desalle. A rovinare la festa del pilota siciliano della Ktm, primo in gara 1, la caduta nella seconda manche con la rottura di un legamento del polso sinistro che non gli ha comunque impedito di concludere al secondo posto gara 2. ”In settimana faro’ un po’ di fisioterapia per essere in piena forma gia’ dalla prossima gara”, ha spiegato a fine gara.