I più giovani probabilmente ricorderanno «Full Monty», il fortunatissimo film del 1997 in cui un manipolo di squattrinati inglesi si reinventa una vita spogliandosi nei night club di Sheffield, alla faccia dell'adipe e dei capelli che non sono più folti come una volta. Chi ha qualche anno in più magari ricorda l'estate del 1979 con la lenta agonia della stagione dell'impegno politico e nuovi «valori», decisamente più goderecci, che si facevano strada nella generazione dei venti-trentenni.
Nell'uno come nell'altro caso, stessa colonna sonora: «Hot Stuff», 3,52 minuti di disco music dal ritmo incalzante agganciata a un riff di chitarra che ci ricorda che la lezione del rock non è passata invano. A cantare era Donna Summer, pantera nera dotata di voce vellutata e notevole presenza scenica tanto da aggiudicarsi presto l'appellativo di «Queen of the Disco», regina della disco music. Anche lei se n'è andata in questo 2012 pieno di lutti musicali. Proprio questa mattina in Florida si è arresa dopo una lunga battaglia con il cancro, all'età di 63 anni. Se non vi piacciono la «musica di plastica» e l'«arte del disimpegno», accontentatevi di questo: la ragazza veniva da lontano e, prima di arrivare al grande successo commerciale, si è fatta le ossa nei peggiori locali della East Coast statunitense. «Abbiamo perso una donna di grande talento», hanno commentato i familiari. Peccato non sia riuscita a ultimare il suo nuovo album che, a questo punto, si presuppone uscirà postumo e rimaneggiato.
Il pigmalione europeo. LaDonna Adriana Ganes (Summer è la versione americanizzata del cognome del suo primo marito, il tedesco Helmut Sommer) era nata nel 1948 in un sobborgo di Boston e, gavetta a parte, non sembrava destinata a fare breccia nello show-biz degli States. Viene scritturata da un musical, fa un tour in Europa e approda in Germania dove, nella metà degli anni Settanta, incontra Giorgio Moroder, il produttore che le cambia vita e che, proprio grazie a lei, diventerà il king maker del pop (ve la ricordate «Notti magiche», la sigla di Italia '90? Farina del suo sacco). I mid Seventies erano gli anni della febbre del sabato sera, dell'esplosione della disco e da quegli studi di registrazione di Monaco di Baviera uscirono fuori «Lady of the Night», il suo programmatico album d'esordio, e «Love To Love You Babe», uno dei classici dell'ammiccamento musicale. Quei mugolii e quei sospiri diventarono un cult e Donna Summer un sex symbol, anche se pochi conoscevano davvero come era fatta. Tant'è vero che si diffuse addirittura la leggenda metropolitana che la sua voce non fosse altro che il prodotto di un campionamento di chissà quale computer supertecnologico, una diavoleria targata Moroder.
Il peso del cliché. Poi vennero «I Remember Yesterday» e la stessa «Hot Stuff», il successo mondiale da regina della disco music, un mondo in cui l'eccesso e la trasgressione erano la regola e, ovviamente, la cantante, che aveva simulato orgasmi multipli nel suo primo successo, ne diventò una figura di riferimento. Come spesso accade le formule del genere e le etichette che si portavano dietro diventarono una sorta di prigione creativa per Donna Summer che ha lottato decenni per dimostrare di essere una vera cantante e non solo una bambolona sexy. Il tutto nonostante la sua versione di «MacArthur Park», uno dei capolavori di Jimmy Webb (la versione originale è cantata dall'attore Richard Harris) arrivò al primo posto della classifica americana. 
Depressione e crisi mistica. Grammy Awards, il successo del duetto con Barbra Streisand non le impedirono di entrare in crisi, travolta dall'ansia e dalla depressione. Nella sua biografia c'è anche una quasi inevitabile crisi religiosa, collaborazioni importanti con Quincy Jones, un ritorno con Giorgio Moroder, l'introduzione nella Disco Hall of Fame, un concerto tenuto a Oslo in occasione della consegna del Nobel per la Pace al presidente Barack Obama che pare sia un suo fan, qualche ritiro dalle scene accompagnato da inevitabili ritorni. La verità è che una volta terminato il decennio d'oro della disco music, Donna Summer non è mai più riuscita a ritrovare il successo e a imporsi con una precisa identità musicale. 
Punto di riferimento della cultura pop. Di sicuro contribuirono al suo successo il fiuto di Moroder, un'operazione di marketing al testosterone e tutta quella pubblicità derivante dai contenuti espliciti delle sue canzoni. Le centinaia di cover delle sue hit («I Feel Love» è stata suonata, tra gli altri, da Whitney Houston, Madonna, Robbie Williams e persino Moby) sono comunque la testimonianza evidente del ruolo che Donna Summer ha svolto nella storia della musica popolare della seconda parte del Novecento. L'avevano incoronata regina negli anni dello Studio 54, ma in verità in quel ruolo non si è mai sentita a suo agio. Era una creatura crepuscolare, fragile e in fondo timida. Più una «Lady of the Night» che una Queen of the disco.