venerdì 1 febbraio 2013

Adesso cadono tutte,La voragine nei conti di Deutsche Bank Nel mirino di Usa e Consob tedesca. Perquisita dalla polizia e invischiata nel buco Mps. E ora anche in profondo rosso.


La voragine nei conti di Deutsche Bank

Nel mirino di Usa e Consob tedesca. Perquisita dalla polizia e invischiata nel buco Mps. E ora anche in profondo rosso.

Il blitz della polizia tedesca alla Deutsche Bank.

La Consob americana e tedesca alle costole, per speculazioni con mutui, tassi d'interesse e derivati. La Bundespolizeinegli uffici, per sospetto di frodi fiscali e riciclaggio. Infine, un buco gigante di quasi 3 miliardi di dollari (2,2 miliardi di euro) in perdite appurate, solo nell'ultimo trimestre del 2012.
Se le rivelazioni alla Sec (l'autorità di controllo sulle società del governo americano) di tre dipendenti silurati si dimostrassero vere, potrebbe essere la punta dell'iceberg di un rosso abissale mascherato negli anni, pari a oltre 12 miliardi di dollari.
La Deutsche Bank, il maggiore gruppo bancario dell'Unione europea, resta un monolite della finanza in Germania. Ma è sempre meno difendibile e intoccabile, anche dagli inquirenti di Berlino. E non solo per il maxi-derivato Santorini da 1,5 miliardi di euro, disegnato su misura nel 2008 per il Monte dei Paschi di Siena, così da coprire - speculandoci sopra - i bond in pancia all'istituto toscano.
NEL MIRINO DEGLI USA. I primi a incriminare la storica banca tedesca, dalla gestione sempre più americana, sono stati il Tesoro e le autorità di vigilanza degli Usa. Mastini con cui il colosso finanziario ha patteggiato multe miliardarie, ammettendo frodi fiscali e speculazioni sul mercato immobiliare statunitense, esploso poi nel 2007 con la bolla dei mutui sub-prime (quelli cioè forniti senza sufficienti garanzie).
In collaborazione con la Financial services autority (Fsa) inglese, su Deutsche Bank indaga anche il Fbi, per far luce sulla manipolazione internazionale del Libor, il tasso medio d'interesse cui le banche si prestano denaro sulla piazza di Londra. Uno scandalo gemello a quello dell'Euribor (il tasso interbancario in euro), per il quale, a gennaio 2013, anche l'autorità di controllo finanziaria tedesca Bafin ha ordinato approfondimenti verso l'istituto di credito di Francoforte.

Si indaga per riciclaggio, frode sui derivati e manipolazione dei mercati

Nel mirino degli investigatori c'è il tandem dei super-capi: lo squalo Anshu Jain, cresciuto nel quartier generale londinese dell'investment banking di Deutsche Bank, e il braccio destro Jürgen Fitschen,trait d'union con i poteri forti della Germania.
Entrambi in forze dell'istituto dopo l'uscita di scena, nel maggio 2012, dell'ex chief executive Josef Ackermann, i due boss negano la diretta responsabilità nelle irregolarità del gruppo. Attribuite invece, nelle indagini interne a trader e top manager ingordi e spericolati.
In realtà, a detta delle gole profonde e a giudicare dai nulla osta rilasciati dalla Commissione sui rischi globali del mercato di Deutsche Bank, almeno per il pacchetto Santorini, i vertici non potevano non essere a conoscenza delle manovre spregiudicate dei loro uomini.
IL BLITZ DELLA POLIZIA. Di questo sembrano esserne convinti anche gli inquirenti tedeschi. Sotto inchiesta in Germania - ma anche dal tribunale di Milano per un contratto con il Comune - per la vendita di pacchetti creativi e rischiosi di derivati sui tassi d'interesse swapa enti e aziende, diverse procure scavano per risalire al coinvolgimento dei piani alti dell'istituto in operazioni illecite.
A dicembre 2012, con uno spettacolare blitz, 500 agenti della polizia federale e tributaria hanno rastrellato gli uffici delle torri gemelle di Francoforte e le sedi periferiche di Berlino e Düsseldorf, disponendo cinque ordini di arresto, per un totale di 25 indagati per frode fiscale e riciclaggio, tra i quali spiccano il nome di Fitschen e di quello del responsabile finanziario del board Stefan Krause.
FRODE SULLE EMISSIONI. I reati sotto la lente dei magistrati risalgono a una falsa dichiarazione al fisco tedesco del 2009, per una truffa di oltre 230 milioni di euro, con il traffico internazionale di certificati dei titoli sulle emissioni di anidride carbonica.
Un anno prima, i poliziotti tedeschi avevano setacciato la stanza del dimissionario Ackermann, spediti in quel caso dai procuratori di Monaco di Baviera che indagano sulla bancarotta del gruppo Kirch. Un vecchia storia di coperture, nella quale i vertici del colosso bancario sono accusati di falsa testimonianza e corresponsabilità nel crac.

Una montagna di «collaterali» per coprire i buchi di bilancio

Se la cessione a caro prezzo (6 miliardi di euro), nel febbraio 2012, delle filiali della Deutsche Post al gruppo di Francoforte ricorda l'acquisto salato del Monte dei Paschi di Antonveneta, ha fatto scalpore anche la notizia della voragine di perdite di 2,17 miliardi di euro, a bilancio negli ultimi tre mesi del 2012.
Certo, il rosso era atteso, sia per la crisi sia per le spese legali e le multe dei vari processi giudiziari. Ma è l'importo record del buco (nel quarto trimestre del 2011 limitato a 351 milioni di euro) e il dato che anche i profitti dell'istituto siano risultati al ribasso di oltre 2,5 miliardi di euro a spaventare gli analisti.
VIA 1.400 POSTI DI LAVORO. All'orizzonte, per Deutsche Bank si profila una sforbiciata di 1.400 posti di lavoro e una riduzione, fino al 2015, di 4,5 miliardi di costi annuali. In vista della pesante ristrutturazione, i circa 25 mila dipendenti tedeschi hanno dovuto rinunciare all'atteso aumento di stipendio.
Peccato che negli stessi giorni le cronache internazionali riferissero di 500 milioni di euro di utili, accumulati nel 2008 attraverso operazioni su tassi d'interesse come il Libor. Dai documenti interni, consegnati al Wall Street Journal da un ex dipendente della banca, non c'è prova che i soldi siano frutto di manipolazioni illecite. Ma certo i margini di guadagno nel comparto - e le possibili perdite - sono ampi.
Tra i lavoratori, comprensibilmente, ribolle il malcontento per la gestione disinvolta del gruppo. Con gli scandali sui bond della morte e su altri derivati ad alto rischio, venduti nelle filiali ai clienti tedeschi, anche tra i correntisti il crollo di fiducia verso Deutsche Bank era stato enorme.
VATICANO, ALLARME RICICLAGGIO. Per l'indagato Fitschen, la responsabilità del colpo all'immagine è tutta delle perquisizioni «disastrose». Ma continuare a nascondere la testa sotto la sabbia potrebbe portare all'implosione di un colosso, cresciuto oltre misura con le acrobazie della finanza.
Troppi occhi sorvegliano la Deutsche Bank. A Roma, Bankitalia vigila anche su un sospetto flusso di riciclaggio in Vaticano, attraverso pagamenti elettronici su bancomat e conti del gruppo tedesco. In Germania, incalzato da Bruxelles e dall'Eba (l'Autorità bancaria di vigilanza), il governo studia come risanare il sistema bancario. Spesso infarcito - come la storia di Deutsche Bank dimostra - di titoli tossici e conti truccati, attraverso una mole di «operazioni collaterali».
Citando tutte le inchieste, lo Spiegel ha chiamato questo castello di carta (e di miliardi volatilizzati) «il lato oscuro della Deutsche Bank». Che la misura, anche per la prima banca d'Europa, sia colma?


Santander cedette Antonveneta a Monte Paschi prima di acquisirla


Santander cedette Antonveneta a Monte Paschi prima di acquisirla

Esclusivo: Botin rifilò Antonveneta a Siena prima di averla comprata. Aggiudicandosi Abn senza aumento di capitale.

Banco Santander e Monte dei Paschi non avevano i soldi per acquistare nel 2007 Antonveneta: entrambi dovettero così ricorrere a una serie di operazioni a rischio per finanziare un azzardo pianificato, avvenuto nell'ambito della più grossa compravendita di un istituto di credito, il controllo da parte degli spagnoli e dei loro soci del colosso olandese Abn Amro, che da circa un anno aveva in mano la maggioranza azionaria di Antonveneta.
L'AFFARE SANTANDER-MPS. Secondo quanto Lettera43.it è in grado di rivelare, quando Santander concluse l'affare con Mps (l'8 novembre 2007), in realtà non aveva ancora comprato Antonveneta e mai la comprò davvero, se non per qualche ora e senza versare nulla: non aveva pagato un centesimo, si era solo impegnata con Abn e cedette così a Rocca Salimbeni qualcosa che ancora non era suo. Un immenso scaricabarile.
IL PACCHETTO ABN: 71 MLD. La prova che il rischio di questo mega acquisto fu rovesciato sin dall'inizio sui cittadini e sui governi è nelle carte di Santander, Mps e Antonveneta, dove sono raccontati passo dopo passo i dettagli del passaggio di un folle gioco di promesse di vendita futura da 71 miliardi di euro: cioè l'importo - ma solo nominale, perché nessuno aveva i quattrini veri - dell'acquisto del gruppo Abn da parte della cordata composta da Santander, Royal Bank of Scotland e Fortis, un gruppo assicurativo olandese, dissanguatosi - come Scotland, poi salvata dal governo britannico - in una scalata avvenuta senza soldi e, infine, soccorso dal governo de L'Aja.

L'Opa su Abn costò a Santander quasi 20 mld

L'8 ottobre del 2007 Santander, Scotland e Fortis diedero il lieto annuncio: l'Opa su Abn, lanciata nel maggio dello stesso anno, era andata a buon fine e la cassaforte olandese era nelle loro mani. Sì, presto ma non immediatamente. Infatti l'accordo con gli azionisti di Abn fu concluso, ma i pagamenti e i passaggi di azioni erano di là da venire.
L'importo dell'operazione era mostruoso: 71,1 miliardi di euro, il 27,9% del quale ricadde sulle spalle di Santander che, in cambio, prese le ricche banche sudamericane controllate da Abn, l'italiana Antonveneta e le finanziarie olandesi Interbank e Dmc. Costo totale per gli spagnoli - si legge nella relazione trimestrale fino al 31 marzo 2007, certificata da Deloitte Madrid - 19,9 miliardi di euro.
LE DATE CHE NON TORNANO. E già qui c'è una prima stranezza: come faceva la trimestrale di marzo a descrivere nei dettagli un'operazione del 29 maggio (il lancio dell'Opa)? Formalmente è tutto in regola, perché i revisori di Deloitte apposero come data del controllo quella del 22 giugno. Tanto che la relazione della banca inserì l'operazione in trimestrale come «fatto avvenuto dopo il 31 marzo».
Ma a essere ancor meno chiaro è come Santander pagò i suoi obblighi verso gli azionisti di Abn. Così nella trimestrale (pagina 13 della versione in inglese, anch'essa certificata da Deloitte per testo e traduzione) si legge che Santander prevedeva di reperire intanto 9 miliardi con un aumento di capitale, mediante sottoscrizioni ma anche in parte legato a non meglio specificati «strumenti convertibili in azioni».
L'EMISSIONE DEI VALORES SANTANDER. Di cosa si trattava in realtà gli spagnoli lo scoprirono amaramente in seguito: sono i Valores Santander, obbligazioni spazzatura simili ai bond Parmalat, venduti a 13 euro e precipitati poi a 2 euro, piazzati a oltre 100 mila piccoli e medi risparmiatori, per lo più clienti del banco, e ora al centro di innumerevoli cause giudiziarie a Madrid.
Nove miliardi - teorici - previsti dal futuro aumento di capitale in varie forme, dunque. Ma mancavano ancora circa 10 miliardi per saldare il conto. Derubricate, sempre genericamente, a «operazioni di bilancio» e di «vendita di asset».
LA CESSIONE DELLE AZIONI SANPAOLO. Ma la relazione dava anche una buona notizia: Santander aveva venduto le sue azioni di Intesa Sanpaolo (1,79% del capitale) a un prezzo pari a 1,2 miliardi di euro, ottenendo - rispetto al prezzo di acquisto - un «guadagno approssimativo di 566 milioni di euro per il gruppo».
Però non bastava. Perché, a parte questi denari, il resto era tutto teorico. Non esistevano ancora le risorse per acquisire la quota di Abn che conteneva Antonveneta. Così, a giugno, partì la prima emissione dei Valores, titoli spazzatura che tuttavia fruttarono a Santander la bellezza di 7 miliardi. Però per saldare il conto ne mancavano ancora 12, e nella trimestrale non era chiaro da dove sarebbero arrivati.
LA TRATTATIVA SIENA. Tra operazioni di bilancio, piccole vendite e partite di giro, si giunse alla trattativa con Monte dei Paschi, interessata pare ad Antonveneta. E Santander, che prima intendeva aggredire il mercato italiano con la banca veneta (settima in Italia), invece la vendette. E diede l'annuncio ai mercati con una lettera del presidente Emilio Botin agli azionisti (leggi il pdf).
Era l'8 novembre del 2007 e il semplice comunicato scosse la Borsa di Madrid: le azioni di Santander ebbero il loro massimo rialzo nella storia del listino (3,88%) e il volume negoziato in un giorno fu pari a 2,4 miliardi di euro, il doppio del record precedente.

Con l'offerta di Rocca Salimbeni Botin evitò la ricapitalizzazione

Nella lettera agli azionisti, Botin scrisse che Antonveneta, pagata 6,6 miliardi, «avrebbe rappresentato un interessante primo passo per entrare nel mercato italiano». Invece, guarda un po', nel giro di poche settimane Santander cambiò idea perché scoprì che il posizionamento di Antonveneta non era tale da permettere di stare nel mercato italiano senza altri «consistenti investimenti».
Basta spender soldi, diceva in sostanza Botin, era il momento di incassare. Anche se in verità nulla fu speso per davvero.
MPS OFFRE 9 MLD. Allora il presidente spiegò che il gruppo aveva deciso di accettare «l'offerta di Monte dei Paschi di Siena per acquistare Antonveneta a un prezzo di 9 mila milioni di euro (9 miliardi), cifra significativamente superiore ai 6.600 milioni di euro con cui abbiamo valutato il gruppo Antonveneta nell'ambito dell'Opa su Abn Amro».
Sì, «valutato» e non pagato, perché in quel momento Santander non aveva ancora speso un euro: Antonveneta restava in mano ad Abn fino al perfezionamento dell'intesa e al pagamento. Pagamento che non avvenne mai.
LO «SCONTO» SU ABN. Nella sua lettera infatti Botin spiegava agli azionisti che il provvidenziale intervento italiano avrebbe permesso di «diminuire l'importo totale dell'acquisto delle attività di Abn Ambro, dai 20 miliardi inizialmente previsti a 11 miliardi di euro». E, punto secondo, di «lasciare senza effetto, perché non necessario, l'aumento di capitale per 4 miliardi che avevamo previsto».
Mentre, spiegava ancora il presidente, Santander si teneva le banche brasiliane e le finanziarie al consumo olandesi, perché considerate preziose.
L'ORIGINE DEI TREMONTI BOND. In sostanza, nella spartizione con Fortis e Scotland, Santander si era dovuta ingoiare anche Antonveneta che tuttavia non le interessava. E così, nel giro di appena una notte, aveva trovato la soluzione con Mps: scaricare quel peso da circa 9 miliardi sulle spalle dei risparmiatori italiani e del governo di Roma, che poi sarebbe intervenuto a salvare Monte Paschi con i Tremonti bond. Quindi, per gli spagnoli, Antonveneta uscì subito dall'affare, perché Monte Paschi si impegnò a comprarla senza che Santander dovesse un euro agli azionisti di Abn.
L'OPERAZIONE SOSPESA. Ma nemmeno i senesi avevano 9 miliardi, poi divenuti 10 con oneri vari, per concludere l'operazione con gli spagnoli. Che infatti restò sospesa per molti mesi e venne perfezionata solo (confermarono le agenzie spagnole all'epoca, un po' trascurate in Italia) il 30 maggio del 2008. Quando ormai Santander aveva messo sul mercato 7 miliardi dei suoi Valores di scarso o nullo valore e anche Mps aveva fatto la sua provvista vendendo a sua volta obbligazioni ai risparmiatori.
L'EMISSIONE DI BOND DEL 2008. Il 26 marzo 2008, per esempio, Monte Paschi lanciò la sua 22esima emissione di «obbligazioni set up/step down», al prezzo di 50 euro ciascuna e per un valore complessivo di 35 milioni. Con un dettaglio che non è un dettaglio: il collocamento, spiegava la nota informativa agli investitori, era affidato guarda un po' ad Antonveneta, che ancora non era stata comprata da Mps (l'accordo, ricordiamo, venne concluso solo il 30 maggio).
IL CONFLITTO DI INTERESSI. In sostanza, Mps affidò ad Antonveneta il compito di fare un po' di provvista per il suo stesso acquisto, la incaricò di cannibalizzarsi. E informò, per obbligo di legge, che l'operazione era «a rischio di conflitti di interesse del soggetto incaricato del collocamento», poiché - si legge ancora nel prospetto di Mps - «in data 8 novembre 2007 l'emittente ha comunicato di aver raggiunto un accordo con Banco Santander» in base al quale «Santander, non appena avrà completato l'acquisizione di Antonveneta in corso con Abn Amro, ne cederà l'intero capitale a Mps al prezzo di 9 miliardi di euro».
I TITOLI TOSSICI. Cifra che la banca senese reperì con aumenti di capitale, «cessione di asset ed emissione di strumenti di debito» tra i quali i «subordinati», ancora bond considerati tossici, emessi sia da Mps sia da Santander per scaricare il rischio sui piccoli investitori.
Tra titoli tossici, soldi fantasma e promesse di vendita di banche non proprie, non stupisce il commento che Franciso Gonzales, presidente del secondo gruppo bancario spagnolo Bbva, fece alla notizia della vendita di Antonveneta da parte di di Santander. «A me», disse, «la notte piace poter dormire...».


Povera Italia: con l’euro e Monti, redditi retrocessi al 1986


Povera Italia: con l’euro e Monti, redditi retrocessi al 1986


Grazie euro, grazie Monti, grazie Europa. Il reddito disponibile degli italiani scivola ancora e nel 2013 tornerà ai livelli di 27 anni fa. Secondo un’analisi di “Rete Imprese Italia” il dato è sceso a meno di 17.000: precisamente, 16.955 euro pro capite, contro i 17.337 dello scorso anno. Nel 2007, anno di inizio della crisi, il reddito medio degi italiani era di 19.515 euro. In pratica, sono 2.500 euro in meno dall’inizio dell’esplosione della grande crisi che sta scuotendo l’Occidente e letteralmente mettendo in ginocchio i paesi dell’Eurozona, dove gli Stati hanno perso ogni forma di sovranità finanziaria e sono “costretti” a ricorrere alla spirale suicida dell’inasprimento fiscale su famiglie e aziende. E’ la prova di quello che gli economisti democratici definiscono “economicidio”: impoverire un paese a tavolino, tagliando la spesa pubblica che sorregge il benessere diffuso e quindi anche il settore privato, con la domanda di prodotti, servizi e consumi.
Calato nel 2012 del 4,8%, il reddito disponibile reale pro capite scenderà sotto la soglia dei 17.000 euro nel 2013. «Questa previsione – spiega Mariano BellaMariano Bella di “Rete Imprese Italia” – determina un salto indietro al 1986». Un quarto di secolo letteralmente “azzerato” dalla morsa del rigore, che azzoppa la finanza pubblica proprio nel momento in cui – secondo gli analisti non allineati al Monti-pensiero, sostenuto in Parlamento da Pd e Pdl – il settore privato dell’economiaavrebbe un bisogno vitale di sostegno pubblico, a cominciare dal fronte cruciale dell’occupazione per i giovani. Solo un intervento diretto dello Stato, fa notare il sociologo Luciano Gallino, potrebbe produrre occupazione immediata in settori-chiave come quello dell’energia pulita e della manutenzione del territorio: occupazione che avrebbe il potere di invertire automaticamente la rotta, risollevando l’economia. Lo ha detto anche il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker: di sola austerty si muore. E ormai lo ammette persino il Fondo Monetario Internazionale: “ricette” sbagliate, costi sociali del rigore completamente sottovalutati.
Per i consumi italiani, secondo “Rete Imprese” lo scenario negativo continuerà anche nel 2013 con una ulteriore flessione per i consumi reali pro-capite dell’1,4% sul 2012, con valori che li riporteranno indietro di 15 anni. I consumi reali pro capite saranno pari a 15.695 euro: per ritrovare un dato analogo bisogna tornare al 1998, quando i consumi reali pro capite erano di 15.753 euro. E il peggio deve ancora venire, sotto forma di “pareggio di bilancio”, come richiesto dal Fiscal Compact. «Sta arrivando l’inferno – avverte Giorgio Cremaschi – e sembra che i candidati alle prossime elezioni, tutti quanti, non se ne siano accorti: nessuno denuncia il pericolo mortale del taglio alla spesa pubblica e del prelievo aggiuntivo di 40 miliardi all’anno, col pretesto di ridurre il debito». Luciano Borin, per trent’anni dirigente della Banca Mondiale, in un post su “Libre” si dichiara «attonito dalla leggerezza con cui il nostro paese può avere avallato una richiesta di pareggio bilancio». Obiettivo pazzesco e suicida, totalmente italiani impoveritiirraggiungibile, «a meno di avviare l’Italia verso una spirale irreversibile di povertà», secondo un processo «già abbondantemente iniziato».
«I fallimenti e le chiusure di tante imprese dovrebbero esserne un segno allarmante», ulteriormente confermato ora dalle drammatiche previsioni di “Rete Imprese”. «Il governo dei tecnici ha fallito quanto quello precedente», dice Borin, e «il vero baratro non è ancora arrivato». Fiscal Compact, pareggio di bilancio: «Mi sembra che la direzione presa, se è stata presa, porterà inevitabilmente a un’Europa a due o più velocità, in cui nessuno ne trarrà profitto sul lungo termine». Particolare tragico: la politica non offre uno straccio di analisi. Di conseguenza, non ci sono soluzioni all’orizzonte. Le elezioni? Manca il punto principale: la crisi. Il disastro che è già arrivato e che esploderà in modo spaventoso, cancellando diritti e regalando fame, povertà e paura. Conclude Borin: «Mi chiedo in quale maniera il deprimente panorama politico possa esprimere un leader capace di onestà intellettuale e di coraggio per salvare la situazione».

Buco Mps, e lo spread dorme? Si sveglierà dopo il voto


Buco Mps, e lo spread dorme? Si sveglierà dopo il voto



Noi cittadini “qualsiasi”, per nulla esperti di esoteriche questioni finanziarie, avevamo capito così: se l’Italia va male, se la Borsa scende, se ci ritroviamo inguaiati col debito pubblico, se le nostre banche sono “sull’orlo del baratro”, allora lo spread sale. Avevamo capito che lo spread era il campanellino, pronto a suonare per avvisarci che bisognava mettere mano al portafoglio e tamponare qualche buco. Sale lo spread? “Riforme strutturali”, tagli, tasse, governi nazi, ecc. Adesso, però, il Monte dei Paschi rivela un buco miliardario («Ma quali 14 miliardi?», tuonava Profumo a Grillo; infatti sono 17), bisogna accorrere a salvamento coi soliti prestiti oppure nazionalizzare – che è poi la stessa cosa ma senza dirlo, perché per la dottrina religiosa vigente è peccato mortale –, si trema per i 23 miliardi di debito pubblicoche Mps comprò col famigerato prestito all’1% della Bce, eppure malgrado tutto ciò lo spread dormicchia a 250.
Saremo guariti? Forse lo spread non significa oramai più nulla, i nostri problemi son risolti, il debito ricomprato e quindi ora non dobbiamo più Mario Montitemere quel fatidico numeretto. Oppure… oppure il fatidico numeretto non ha mai misurato un bel nulla in realtà: era solo lo strumento della shock economy, attraverso il quale ci è stata fatta ingerire a forza l’austerità del governo “sobrio”. Così, qual è ora il destino dello spread? Tornare nel cassetto della Storia? Forse, ma è lecito temere che in quel cassetto sia destinato a restarci poco. Ci sono le elezioni tra meno di un mese. E dopo le elezioni si dovrà fare un governo. Non certo un governo che piaccia a noi, quando mai, mica vige la democrazia qui: un governo che piaccia all’Eu e ai soliti mandanti finanziari internazionali.
L’ha minacciato Monti proprio ieri, «Una nuova manovra? Dipende da come andrà il voto». Se non votate come vuole lui e i suoi compagni di merende, vi beccate una nuova manovra lacrime e sangue. In quel caso, lo spread sarà rispolverato e tornerà utile per terrorizzarci di nuovo. Mi aspetto uno spread a 500 subito dopo le elezioni, onde forzare un governo d’emergenza mappazzone a “salvarci dal baratro” per la seconda volta. Un baratro finto, ma noi siamo ben addestrati a credere alle frottole.

Sacrificare i bambini: ce lo chiede l’Europa


Sacrificare i bambini: ce lo chiede l’Europa


“Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio Isacco, colui che ami, e va nella regione di Moria. Sacrificalo là come olocausto”. Quella di Abramo e Isacco è la più assurda e incredibile tra le storie scritte nella Bibbia. Molto, molto più incredibile della storia di un Dio che crea l’uomo plasmandolo dal fango. Ho sempre pensato che se un pezzo della Bibbia era pura fantasia, doveva essere quello: Abramo e Isacco. E’ una storia folle, qualsiasi siano gli occhi con cui la si osserva: figlio, genitore, ateo, cristiano. Da qualsiasi angolazione la guardassi, non avevo per anni mai compreso il senso di quella storia, o se potesse esistere un senso non come storia divina, ma almeno come storia umana. Oggi ho capito. Mi guardo intorno. Vedo invasati che obbediscono all’ordine di un dio di cui non conoscono il nome, e che dice loro: dovete fare i sacrifici.
I “sacrifici”. Un dio il cui nome è ignorato dai fedeli. Provate a chiedere a chi dice che “bisogna fare i sacrifici” come si chiama il dio a cui obbediscono: Abramo e Isacconon risponderanno, non lo sanno. Forse risponderanno “i Mercati”, “l’Europa”, qualcosa del genere. Obbediscono, ma non sanno bene a chi, e perché. Queste persone spesso hanno 40-50 anni, un lavoro che reputano sicuro, una fortezza da cui invocare “i sacrifici” che altri faranno al posto loro. Sono, spesso, dei padri, e il “sacrificio” non è il loro. E’ il sacrificio di bambini, di figli. Oggi sono figli portoghesi, figli greci. Centinaia di migliaia di bambini che vengono affamati per onorare il culto di un dio violento e pagano che parla per bocca di sacerdoti sconosciuti. Unica concessione alla modernità: la divinità non incide più il proprio volere su tavole di pietra, ma su agende, su Twitter o sul “Financial Times”. La divinità oggi scolpisce il suo volere nelle agende. Queste persone non capiscono che oggi mandano al sacrificio i figli portoghesi e greci, e domani lo stesso sacrificio toccherà ai figli italiani. Toccherà ai loro figli.
Allora quella di Abramo e Isacco non era una storia folle, ma era una semplice storia di uomini che hanno bisogno di credere a qualcosa, anche se questo qualcosa gli ordina di sacrificare i propri figli. Oggi come allora si sacrificano i bambini per “salvare il proprio popolo”. E se domani il dio dei mercati bloccherà i sacrifici che gli vengono tributati, avrà comunque raggiunto il suo scopo, che era mettere alla prova la fede del suo popolo, che si dimostrerebbe fedele anche a prezzo della vita dei bambini. Come sta accadendo oggi. Abbiamo usato il lavoro degli economisti per capire l’Europa, ma forse abbiamo sbagliato. Non serve Keynes, non serve Mosler. Dovremmo usare altre categorie: l’antropologia, la fede, la religione, la superstizione magari. O forse ci basta ascoltare quello che sentiamo in giro, tra amici e conoscenti, per capire tutto.

Meditate per il voto,La "classifica" degli impresentabili in Parlamento


La "classifica" degli impresentabili in Parlamento ...


Non credo che la lista necessiti di ulteriori commenti ... per chi è interessato, qui trovate invece l'elenco completo di tutti gli indagati in Parlamento ... disgusto!!!!!



Onore all'arcivescovo di Los Angeles, Jose Gomez


Pedofilia: cacciato il cardinale di Los Angeles, "non difese decine di bambini dagli abusi"!



la lista degli abusi dal 1930 al 2011

Con una decisione senza precedenti nella Chiesa Cattolica americana, l'arcivescovo di Los Angeles, Jose Gomez, ha annunciato di aver sollevato il suo predecessore, cardinale Roger Mahony, da tutti i suoi impegni pubblici per la cattiva gestione dei presunti abusi sessuali su bambini negli anni '80 (Mahony guidò l'arcidiocesi dal 1985 al 2011). (Repubblica)

Centoventidue sacerdoti accusati di molestie e rimasti impuniti ... centinaia di casi di pedofilia dal 1930 al 2011 (la tabella sopra è agghiacciante), casi venuti a galla solo dopo l'ordine di un giudice di diffondere oltre 30 mila pagine di documenti riservati su preti accusati di abusi sessuali su minori, tra i quali appunto anche il cardinale Roger Mahony, che è solo l'ultimo dei carnefici ( guidò l'arcidiocesi dal 1985 al 2011). 

Ricordo che già nel 2007 l'arcidiocesi raggiunse un accordo da 660 milioni di dollari di risarcimento con oltre 500 presunte vittime di abusi ... ancora una volta riesco a provare solo sdegno e vergogna per questa gente!!!

Adesso le banche non sono piu' intoccabili,Derivati, a Trani si indaga su 5 banche Coinvolte alcune decine di persone. Ipotesi reato usura e truffa


Derivati, a Trani si indaga su 5 banche

Coinvolte alcune decine di persone. Ipotesi reato usura e truffa



(ANSA) - TRANI, 1 FEB - Alcune decine di persone sono indagate, a vario titolo, per usura e truffa dalla Procura di Trani nelle indagini, avviate nei mesi scorsi, sui derivati emessi da cinque banche italiane: Mps, Bnl, Unicredit, Intesa San Paolo e Credem. L'indagine sarebbe finora a carico di funzionari e dirigenti bancari che hanno proposto e fatto firmare a imprenditori e investitori del nord barese titoli spazzatura che avrebbero prodotto ingenti perdite ai sottoscrittori.

E-R: fase attenzione neve, vento e mare


E-R: fase attenzione neve, vento e mare
Anche criticita' idraulica dalle 13 di domani e per 48 ore

(ANSA) - BOLOGNA, 1 FEB - Attivazione della fase di attenzione per vento, neve, stato del mare e criticita' idraulica da parte della protezione civile dell'Emilia-Romagna a partire dalle 13 di domani per 48 ore. Prevista una rapida discesa delle temperature sui rilievi-centro ovest, con quota neve in calo fino a 600-700 metri. Dalla sera ulteriore calo dello zero termico con neve fino a quote collinari. In pianura acqua mista a neve o neve nelle fasi di maggiore intensita' della perturbazione. Vento forte di bora.

Mediaset: no all'impedimento per Berlusconi, avvocati via dall'aula



Berlusconi attacca, a Milano processi assurdi Alfano, intervengano Napolitano e il Csm


Gli avvocati Niccolo' Ghedini e Piero Longo

MILANO - I giudici della corte d'appello di Milano hanno respinto l'istanza di rinvio per legittimo impedimento del processo Mediaset avanzata dai difensori di Silvio Berlusconi. Il processo va quindi avanti con la requisitoria. "Questo processo ha una strada segnata che passa attraverso la conferma della decisione del tribunale e riteniamo che questa ordinanza vada al di là della leale collaborazione e impedisca al cittadino Silvio Berlusconi di poter essere al pari con i suoi contendenti". Lo ha detto Niccolò Ghedini in aula criticando la decisione dei giudici di non sospendere il processo Mediaset per legittimo impedimento. Il legale ha chiesto la revoca dell'ordinanza e ha accusato i giudici di "pesanti intromissioni nella campagna elettorale".
La corte d'appello di Milano nel rigettare l'istanza di rinvio avanzata dalla difesa di Silvio Berlusconi ha motivato spiegando che gli impegni indicati oggi dall'ex premier non possono essere considerati "impedimenti assoluti e concreti". Il leader del Pdl nel fare istanza di legittimo impedimento aveva indicato come impegni per questa mattina una riunione con gli europarlamentari e nel pomeriggio la presentazione dei candidati alle politiche della circoscrizione Lazio.
I difensori di Silvio Berlusconi, imputato nel processo Mediaset, dopo la decisione dei giudici di non riconoscere il legittimo impedimento dell'ex premier per oggi e di proseguire con la requisitoria, hanno abbandonato l'aula nominando un sostituto. Per solidarietà con i difensori di Silvio Berlusconi e per protesta contro la decisione della corte d'appello di Milano di negare il legittimo impedimento di Silvio Berlusconi, anche tutti gli altri difensori (oltre a quelli dell'ex premier) degli imputati nel processo Mediaset hanno abbandonato l'aula e nominato un unico sostituto processuale.
Niccolò Ghedini e Piero Longo hanno lasciato l'aula nominando un sostituto in quanto ritengono che i giudici abbiano violato il diritto di difesa. Anche i legali degli altri imputati hanno chiesto alla corte di revocare il suo provvedimento minacciando in caso contrario di abbandonare l' aula. L'avvocato generale, Laura Bertolé Viale, ha chiesto ai giudici di rivedere la loro decisione proprio "per evitare di turbare la serenità del processo".
Per solidarietà con i difensori di Silvio Berlusconi e per protesta contro la decisione della corte d'appello di Milano di negare il legittimo impedimento di Silvio Berlusconi, anche tutti gli altri difensori (oltre a quelli dell'ex premier) degli imputati nel processo Mediaset hanno abbandonato l'aula e nominato un unico sostituto processuale.
Tutti i difensori hanno lasciato l'aula, dopo aver chiesto alla corte d'appello la revoca dell'ordinanza, in quanto hanno ritenuto che siano stati violati i diritti della difesa. I giudici sono in camera di consiglio per decidere se andare avanti con il processo oppure fermarlo.
Silvio Berlusconi, attraverso i suoi legali, ha presentato un'istanza di legittimo impedimento per l'udienza di lunedi' prossimo per il processo sul caso Ruby, quando 'da programma' e' previsto la testimonianza del pm minorile Annamaria Fiorillo. L'impedimento per il processo Ruby riguarda due riunioni per la campagna elettorale.
La decisione dei giudici di Milano di negare il legittimo impedimento a Berlusconi "é scandalosa" perché mira a "bloccare" la campagna elettorale; per questo é necessario un intervento del Csm e del presidente Napolitano. Lo ha detto Angelino Alfano nel corso di una conferenza stampa nella sede del Pdl.
"A Milano ci sono processi assurdi contro di me, e vengono spesi tanti soldi per cose risibili". Lo ha detto Silvio Berlusconi nel corso di una conferenza stampa nella sede del Pdl

MPS/BANCA D'ITALIA.Pm Trani sequestra 358 mila euro Dopo denuncia imprenditore che aveva sottoscritto contratti swap


Pm Trani sequestra 358 mila euro

Dopo denuncia imprenditore che aveva sottoscritto contratti swap





TRANI - Su disposizione della magistratura di Trani, la Guardia di finanza ha sequestrato 358.157,83 euro presso la filiale di Corato (Bat) del Monte dei Paschi di Siena, nell'ambito dell'attività di contrasto agli illeciti in materia di strumenti finanziari derivati del tipo 'interest rate swap' sottoscritti da imprese private operanti nella provincia.
Il sequestro preventivo è stato disposto dopo la denuncia presentata dal titolare di un'impresa di Corato che si era visto addebitare circa 415.000 euro per perdite subite dopo la sottoscrizione di un contratto derivato 'interest rate swap' su un valore di circa 4.500.000 di euro proposto dalla banca a copertura di un finanziamento richiesto dalla società, in realtà mai concesso. Oltre agli addebiti, la società ha subito - secondo le indagini - anche la segnalazione a sofferenza per 415.000 euro alla centrale rischi della Banca d'Italia, provocando, in questo modo, la difficoltà nell'accesso al credito che accusa ancora oggi.
Il sequestro - spiega la Gdf in una nota - rappresenta l'ulteriore ingiusto profitto acquisito dall'istituto di credito per effetto della stipula dei contratti derivati, e si ricollega all'operazione del gennaio 2012 in cui si era proceduto al sequestro della somma di circa 56.000 euro, sempre a carico della stessa banca la quale, non ottemperando alle prescrizioni del gip, ha continuato ad addebitare sul conto del cliente le minusvalenze derivanti dal prodotto finanziario. Nel gennaio 2012 la Gdf, nell'ambito di indagini delegate dalla Procura di Trani nei confronti del Banco di Napoli (gruppo Intesa San Paolo) e di Monte dei Paschi di Siena, aveva proceduto al sequestro preventivo di contratti 'interest rate swaps' per oltre 220 milioni di euro e la somma complessiva di circa 10 milioni di euro, di cui 4 milioni di euro equivalenti all'ingiusto profitto sinora percepito dagli istituti di credito e circa 6 milioni di euro relativi ai prevedibili futuri flussi derivanti dai contratti in corso.
La Procura di Trani ha abche in corso "accertamenti per verificare l'operato di alcuni ispettori della Banca d'Italia che nel corso dell'attività di controllo avrebbero omesso di sanzionare le condotte" di Mps e Banco di Napoli "in danno della clientela". Il riferimento è all'inchiesta condotta su Mps e Banco di Napoli.
Per Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Mps, è tutto "sotto controllo". "Valutiamo tutto: la Fondazione si é data la linea del silenzio e proseguirà in questa strada a tutela del titolo, della banca e del patrimonio". "Il silenzio è stato apprezzato". Lo ha detto Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Mps riferendosi al fatto di non aver commentato negli ultimi giorni le vicende relative alla banca. Mancini ieri pomeriggio è stato ascoltato per circa due ore dai magistrati. "Continuiamo così", ha aggiunto.