lunedì 21 maggio 2012

Horreyya! La rivoluzione nella rivoluzione, quella delle donne, nel mondo arabo.


Horreyya!

21 maggio 2012versione stampabile
Christian Elia
La prima cosa che speri, mentre leggi, è che nessuno tradisca i loro sogni. Nesma, Fatma, Hoda, Dina, Basma, Sara. Donne, egiziane. Le loro voci le hanno raccolte Valeria Brigida e Carmine Cartolano, nel libro Horreyya! – La rivoluzione delle donne egiziane. Se non ora quando?, edito da Editori Internazionali Riuniti.
Un libro che racconta, un anno dopo, piazza Tahrir per quello che è stato un cammino personale, femminile e plurale. Non si svendono analisi a buon mercato, non si promettono previsioni di scenario. Si raccolgono emozioni. Che sono, per ora, l’energia più preziosa e potente scatenata dalla ribellione contro il regime di Mubarak. Anche la prima a essere tradita. Dai militari, dai partiti strutturati, dalla politica internazionale.
Per tutto questo, però, proprio alla vigilia delle elezioni presidenziali che scriveranno un’altra pagina del controverso futuro dell’Egitto, resta la memoria di uno slancio. Di quel momento, della scintilla, che i due autori hanno raccolto dalle protagoniste. La rivoluzione nella rivoluzione, quella delle donne, nel mondo arabo.
Ecco che si determinano dei ritratti, delle storie personali, cataloghi di paure, ansie, speranze che conducono a una presa di coscienza. Quella che ti porta a dire: se non ora quando? Anche a costo dell’unica vita che a ciascuno è dato di vivere, e che proprio per questo deve essere onorata da una costante ricerca di dignità.
Ed è affascinante notare come, per una volta, chi racconta si mette in gioco. Finendo per tirare le fila di un presente incerto. Quello dove nella società le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, dove la meritocrazia non è un faro del mondo del lavoro, dove le raccomandazioni e la corruzione non sono ancora solo un brutto ricordo, dove essere giovani è una condanna, spesso all’esilio. Ecco, si tirano le fila, e si scopre che Tahrir siamo noi.

Perché JP Morgan non viene "punita" come le banche italiane?


Perché JP Morgan non viene "punita" come le banche italiane?

FINANZA/ Perché JP Morgan non viene punita come le banche italiane?Infophoto

Come tutti saprete, lunedì notte Moody’s ha operato il downgrade di 26 banche italiane, scatenando una reazione senza precedenti non solo dell’Abi, ma anche del mondo politico. Sapete che non sono mai stato tenero con il sistema bancario italiano, anzi, ma la motivazione del downgrade, in effetti, è da Tso immediato: prima le agenzie di rating spronano i governi al rigore minacciando il taglio del rating sovrano, poi declassano quello delle loro banche perché c’è troppo rigore che blocca l’economia. Non a caso martedì la Borsa aveva reagito in positivo ignorando il downgrade e facendosi forte del buon dato del Pil tedesco, salvo poi crollare dopo le notizie arrivate da Atene.
Il problema è che Moody’s è la stessa agenzia che a fronte del buco da 2,3 miliardi di dollari di JP Morgan, cui potrebbe aggiungersi un altro miliardino nel secondo trimestre, ha solo minacciato di agire verso la più potente banca Usa, mantenendo però il suo giudizio Aa3, nonostante la stessa Fbi abbia aperto un’indagine preliminare. Cosa hanno fatto a JP Morgan per arrivare a un tale bagno di sangue? Bruno Ikesi, un francese che guidava gli uffici londinesi della banca d’affari Usa e che ha agito sotto la supervisione del top management dell’istituto, ha scommesso accumulando posizioni su prodotti derivati per 350 miliardi di dollari, puntando sulla ripresa dell’economia mondiale.
Una bazzecola, quindi, rispetto a quell’oltraggio al capitalismo che è stato per Moody’s l’aumento di capitale di Unicredit o il piano di riassetto di Mps. JP Morgan, da brava banca d’affari di stampo anglosassone, ha subito sacrificato il responsabile investimenti, Ina Drew, la quale verrà sostituita da Matt Zames. E chi è costui? State a sentire. Matt Zames, il quale oggi è supervisore di un portafoglio derivati di 70 triliardi di dollari - avete letto bene, non sono ubriaco (guardate il grafico qui sotto - ha un passato da trader molto pratico in investimenti a rischio, visto che arriva da quella fucina di speculazione che era Ltcm, l’hedge funds andato a zampe all’aria con le crisi russa e asiatica del 1998 e che ha costretto la Fed a intervenire per evitare che disintegrasse buona parte del sistema finanziario con i suoi inaffondabili schemi matematici che nel 1997, un anno prima del tracollo, valsero addirittura il Nobel per l’Economia a Robert Merton e Myron Scholes, dirigenti di LTCM.


Non male come scelta, non vi pare? Come operava infatti Ltcm, la nave-scuola del buon Zames? Puntando i capitali rastrellati come garanzia, l’hedge fund poteva impegnarsi in operazioni in derivati per un volume superiore ai mille miliardi di dollari: secondo il New York Times, gli ispettori che hanno esaminato i conti di Ltcm hanno accertato che i depositi degli investitori, un capitale di 4,75 miliardi di dollari, erano stati impiegati «come collaterale per l’acquisto di titoli per 125 miliardi di dollari, per poi usare quei titoli come ulteriore collaterale per partecipare in transazioni finanziarie esotiche che ammontano a 1250 miliardi di dollari». Certo, nei primi anni Ltcm riuscì a produrre rendimenti netti annui di circa il 40% ma si sa, come per lo schema Ponzi di Bernie Madoff, il giochino non dura.

E di Madoff il buon Zames ne sa qualcosa, pur essendo a oggi un intoccabile all’interno di JP Morgan. il perché è presto detto, Matt Zames - come capo del desk over-the-counter sui derivati a reddito fisso - ha fatto fare palate di soldi al gruppo, quando tutte le altre divisioni producevano solo perdite. Ecco come si entra nel comitato esecutivo in soli cinque anni, bruciando le tappe e inanellando profitti a nove zeri. Peccato che, come anticipato prima, il trustee incaricato di recuperare il denaro delle vittime di Bernie Madoff, Irving Picard, nelle 114 pagine di ricorso - attraverso il quale intende ottenere anche 6,4 miliardi di dollari di risarcimento proprio da JP Morgan - afferma che un senior risk officer di JP Morgan, John Hogan, confermò di voci preoccupate all’interno della banca riguardo l’attività di Madoff già nel 2007 e che fu proprio Matt Zames e renderlo edotto di queste voci durante un pranzo. «Per quanto possa essere utile, posso dire che ero seduto a pranzo con Matt Zames, il quale mi disse che c’erano nuvole molto nere sopra la testa di Madoff e che i profitti che generava si pensava fossero parte di uno schema Ponzi», dichiarò Hogan il 15 giugno 2007, circa 18 mesi prima che l’attività criminale di Madoff fosse scoperta e resa nota.
Ovviamente nessuno può dire che Zames sapesse tutta la verità e che abbia utilizzato queste conoscenze per ottenere avanzamenti di carriera, profitti o una sorta di immunità all’interno della banca di cui ora guida l’investment desk, ma una domanda sorge spontanea: tra dubbi e passato chiacchierato, vi pare l’uomo adatto per sovrintendere a 70 triliardi di esposizione a derivati? Moody’s non ha nulla da dire al riguardo? Anche al netto dell’ultima stima della Banca dei regolamenti internazionali, secondo cui ci sono 650mila miliardi di dollari di derivati che girano nei mercati: quasi 10 volte il Pil globale e 14 volte la capitalizzazione di tutte le Borse del mondo. Già, numeri folli, sfuggiti di mano e dal senno dell’ingegneria finanziaria, del moral hazard e della sacra legge della leva. Avete sentito alzarsi voci scandalizzate per questa follia totale? Giornali? Le stesse agenzie di rating?
Solo un politico, Francesco Boccia, coordinatore delle Commissioni economiche del Gruppo del Pd alla Camera, ha chiesto apertamente l’intervento di Mario Monti: «I derivati sono strumenti letali che vanno assolutamente isolati, la crisi della finanza di questi lunghi mesi ormai rende certa questa nostra valutazione. Avevamo chiesto invano all’ex ministro Tremonti un intervento in Europa per definire misure adeguate contro questi micidiali prodotti. Torniamo ad appellarci al presidente Monti che certamente conosce bene il fenomeno e le sue degenerazioni: chiediamo restrizioni durissime. Il governo non perda tempo e dia una risposta a un problema che la comunità finanziaria più sana del Paese vuole contrastare: inutile, altrimenti, parlare di rigore, austerità, patti di stabilità e trattati, se viene consentito alla finanza incontrollata tutto questo».
Pensate che soltanto un anno fa i derivati erano 466 triliardi, oggi sono 647 triliardi: in un solo anno! Di questi, 504 trilioni sono costruiti su tassi d’interesse, 63 sulle valute, 6 sulle azioni e 3 sulle materie prime, oltre a 28 di credit default swap e altro. Sapete perché Moody’s fa le pulci a Unicredit e Mps e non a questi detonatori di distruzione finanziaria di massa? Perché in caso di downgrade pesante di qualche banca emittente, si innescherebbe una potenziale panic selling capace di squassare l’intero sistema finanziario globale. Quei derivati sono carta su carta, collaterale inesistente su collaterale inesistente: e se un giorno, saltassero i margini? Se si cominciasse a chiudere posizioni e obbligare chi di dovere a liquidare non con pagherò o promesse o lettere d’intenti ma con cash, denaro vero? Sarebbe la fine della finanza di plastica. Ma anche la nostra, probabilmente.
Pensate che secondo l’Ente statale di controllo sul denaro circolante negli Usa, il Controller of the Currency, a fine giugno 2006 la JP Morgan vantava da sola un valore nominale di derivati over-the-counter pari a 57.300 miliardi di dollari (cinque volte il Pil americano) e la Citigroup vantava 25.327 miliardi di dollari in derivati otc. Dove siano arrivate oggi, lo potete evincere dalla prima tabella che ho pubblicato nell’articolo. Ma si sa, uomini di Citigroup siedono stabilmente nel board di Moody’s, mentre quelli di JP Morgan in quello di Fitch. E tra banche - e sorelline del rating - non ci si fa dispetti. Stanno giocando col fuoco e lo sanno, visto che questo casinò è stato reso possibile da una chiara volontà politica della corporation chiamata Usa.
In risposta alla crisi del 1929, nel 1933 fu promulgata infatti la legge bancaria meglio nota come Glass-Steagall Act, la quale istituì la Federal deposit insurance corporation (Fdic) e introdusse delle riforme bancarie, alcune delle quali progettate per controllare la speculazione. A partire dagli anni Ottanta, però, la lobby dell’industria bancaria pose il Congresso sotto pressione per abrogare il Glass-Steagall Act. Nel 1999 il Congresso a maggioranza repubblicana approvò una nuova legge bancaria promossa dal Rappresentante, Jim Leach e dal senatore, Phil Gramm e promulgata il 12 novembre 1999 dall’allora presidente, Bill Clinton, nota con il nome di Gramm-Leach-Bliley Act, la quale abrogava le disposizioni del Glass-Steagall Act sulla separazione tra attività bancaria tradizionale e investment banking, senza però alterare le disposizioni che riguardavano la Fdic.
L’abrogazione ha permesso la costituzione di gruppi bancari che al loro interno permettono, seppur con alcune limitazioni formali e facilmente aggirabili (come si è potuto notare), di esercitare sia l’attività bancaria tradizionale, sia l’attività di investment banking e assicurativa. Dopo la crisi subprime, Barack Obama diede vita a una nuova riforma denominata Dodd-Frank che doveva evitare il ripetersi di follie come quelle avvenute fino al 2008, peccato sia rimasta lettera morta. L’altro giorno, sull’onda della mega-perdita di JP Morgan, sempre Barack Obama ha tuonato dicendo che questa è la dimostrazione di come sia necessaria la riforma di Wall Street. La sera prima di dirlo, però, era a una cena elettorale con i principali banchieri di Wall Street, ognuno dei quali ha sborsato 35mila dollari per finanziare la sua campagna elettorale per le presidenziali di novembre.
Wall Street, sia che governino i democratici che i repubblicani, conterà ontologicamente sempre più di “Main street” nella società statunitense. Ipocrisia mortale, a cui l’Europa dovrebbe dare delle risposte.

P.S.: Signori, le comiche! A conferma del livello di credibilità delle agenzie di rating, ieri sera Fitch ha degradato il rating greco a CCC dal precedente B-, «un downgrade che riflette il rischio, esacerbato, che la Grecia possa non essere più in grado di sostenere la sua presenza  nell’Unione economica e monetaria». Meraviglioso, visto che sempre Fitch lo scorso 13 marzo, non due anni fa, aveva riportato il rating sovrano greco da CCC proprio a B- «a seguito della favorevole finalizzazione dello swap sul debito». Capito, i geni di Fitch credevano davvero che quel concambio da barzelletta servisse a qualcosa!
Delle due l’una: se ne erano convinti, sono degli incompetenti da cacciare a calci, se invece come al solito si prestavano a giochi politici, allora capite che le agenzie di rating sono bracci armati di poteri ben precisi. Tanto più che, sempre nella sua nota di ieri, Fitch avvertiva che «potrebbe mettere tutti i rating sovrani dell’eurozona in Rating Negative Watch dopo le elezioni greche, se ci si renderà conto che il rischio di un’uscita della Grecia dall’eurozona sia più probabile nel breve termine». Come dire, cari greci, nessuno voti Syriza il prossimo 17 giugno o viene giù tutto, anche quei Paesi dell’eurozona dove state diligentemente trasferendo i vostri conti correnti. Minacce del genere chi le fa, di solito?

Identificato il killer, fratello in questura. Mesagne da' l'addio a Melissa


Identificato il killer, fratello in questura. Mesagne da' l'addio a Melissa

Notizie non confermate ufficialmente, l'uomo sarebbe scomparso da qualche giorno

21 maggio, 16:00
Un cuscino rosso a forma di cuore, una foto di Melissa sorridente e i fiori bianchi e rosa ornano la bara bianca di Melissa Bassi deposta dinanzi all'altare della chiesa madre di Mesagne dove alle 16.30 si celebreranno i funerali della ragazzina uccisa nell'attentato di Brindisi. La chiesa, che può contenere circa 700 persone, è ormai quasi piena. In prima fila ci sono il padre della ragazza, la nonna e gli altri parenti. Nella navata laterale a sinistra hanno già preso posto le compagne di scuola di Melissa che indossano magliettine bianche sulle quali hanno scritto loro stesse a mano 'Melissa resterai sempre nei nostri cuori''. La piazza dinanzi alla chiesa è ormai gremita di gente commossa, intere famiglie con ragazzi e bambini che sono giunti per testimoniare dolore, indignazione e sconcerto per quanto è avvenuto. Le navate laterali della chiesa sono ornate da corone di fiori inviate dalle massime istituzioni italiane: il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, i presidenti di Camera e Senato e il ministro degli Interni. Il parroco della chiesa accogliendo la bara ha invitato i presenti a evitare di avvicinarsi al padre della ragazza. "Non moltiplicate il dolore - ha detto - tenete conto del peso che questi tre giorni hanno rappresentato per la famiglia".

Monti e Draghi, un'inversione a U per scaricare la Merkel


FINANZA/ Monti e Draghi, un'inversione a U per scaricare la Merkel

lunedì 21 maggio 2012
FINANZA/ Monti e Draghi, un'inversione a U per scaricare la MerkelPalazzo Koch, sede della Banca d'Italia (Infophoto)


Qualcosa si muove sullo scacchiere bancario, piaccia o no piattaforma strutturale di molto di quanto sta avvenendo. A cominciare dall’Italia: dalla catena di suicidi dei piccoli imprenditori ai fuochi d’artificio del grillismo. Il fatto: la Banca d’Italia ha “validato” venerdì sera il nuovo modello avanzato di valutazione interna dei rischi creditizi e di mercato del Banco Popolare, quarto gruppo italiano, il maggiore a governance cooperativa.
Fin qui una notizia ultra-tecnica da stra-addetti ai lavori: una burocratica certificazione periodica, tra l’altro, che “Basilea 2” non cessa di affermare le sue regole. Che la filosofia globalista e mercatista concepita prima della crisi bancaria (e per molti versi fra le sue cause) resiste al centro della governance “tecnica” dei banchieri centrali, che restano il vero contraltare della politica. La conferma, comunque, di una visione dura a mutare: la JP Morgan (sì, quella delle ultime maxi-perdite su derivati a Londra) e il Banco Popolare (che finanzia gli artigiani del Nord Italia) devono adottare le stesse tecniche per intermediare i loro fondi. E poco importa se i risultati restano poi quelli che si vedono: quasi un nuovo caso Lehman Brothers quattro anni dopo tra Wall Street e la City; e un drammatico razionamento del credito in una delle aree produttive trainanti dell’Eurozona.
La vera “notizia” - forse un po’ migliore - è però un’altra. La “promozione” del Banco Popolare, il riconoscimento del suo “salto di qualità” nelle sue tecniche di concessione dei crediti ha aperto la strada a una valutazione diversa della sua solidità patrimoniale, della rischiosità implicita nel suo bilancio.
Anche questo non era imprevisto dalla nuova architettura di vigilanza microprudenziale (“Basilea 3”) ed era atteso che anche il Banco Popolare (come decine e decine di banche europee) potesse migliorare la sua pagella in vista dell’“esame di maturità” fissato al 30 giugno dall’Eba. La nuova authority bancaria europea, dopo l’ultimo, controverso stress-test, sulle banche europee, aveva imposto a tutte di allineare al 9% il cosiddetto “core tier1”, il principale rapporto fra base patrimoniale totale degli attivi (la misura, cioè, della “leva portante” nell’attività di ciascun gruppo).
Bene: il Banco Popolare fino a tre giorni fa era al 7,4%, non proprio vicino alla soglia di sicurezza Eba. Il gruppo (formatosi nell’ultimo decennio a partire dalle Popolari di Verona, Novara e Lodi) aveva scontato i problemi di risanamento dell’ex Popolare Italiana e l’imprevista crisi della controllata Banca Italease. Resta il fatto che il Banco ha dovuto far ricorso, temporaneamente, ai Tremonti-bond ed è stato costretto a utilizzare un aumento di capitale su mercato non per alzare i suoi coefficienti, ma soltanto per reintegrare la loro diminuzione. Di qui il “gap” rilevato dall’Eba, anche se in un vortice di polemiche che 
hanno visto, anche negli ultimi giorni, l’intero sistema bancario italiano alzare gli scudi contro l’Eba e premere su Governo e Banca d’Italia per ottenere almeno una “par condicio” in Europa.
Le banche italiane - che non hanno mai accusato fallimenti, né richiesto salvataggi pubblici e che stanno facendo la loro parte nel sostenere il debito pubblico italiano sotto attacco speculativo -, rischiavano di essere penalizzare rispetto a banche o sistemi bancari di altri paesi-membri dell’Ue (Spagna, Germania e Francia in testa) che avevano di più sui bilanci statali e che hanno i conti più zavorrati da derivati, più rischiosi e illiquidi dei Btp italiani
Ebbene: gli analisti di Borsa - ma forse lo stesso vertice del Banco Popolare - si attendevano sì dalla “promozione” Bankitalia un beneficio sostanziale, ma inferiore a quello che poi è risultato essere stato concesso. Secondo le prime simulazioni, il “core tier 1” del Banco è stato invece portato direttamente dal 7,4% al di sopra del fatidico 9% (addirittura al 9,4%) per decisione autonoma delle autorità creditizie italiane. È una buona notizia? Per il Banco Popolare, per i suoi soci e dipendenti e soprattutto per i suoi clienti certamente sì: non ci sarà bisogno di nuove operazioni sul capitale e il gruppo potrà erogare un po’ più di credito alle imprese dei suoi territori operativi.
È comunque una notizia in quanto tale (non una semplice comunicazione burocratica) interessante in sé per l’evoluzione del sistema istituzionale italiano ed europeo. In estrema sintesi: proprio Bankitalia - la banca centrale dell’Italia - sembra essere un po’ venuta meno a quel “rigore” che in questi giorni è il “mantra” del dibattito pubblico internazionale. Dando al Banco Popolare un pizzico più di fiducia di quanto probabilmente le regole di Basilea 2 e 3 suggerivano, la Vigilanza italiana ha dato una garanzia nazionale all’Eba, che forse non avrebbe “promosso” il gruppo italiano.
Nessuno, ovviamente confermerà mai questo dato di fatto e neppure la breve interpretazione che qui se ne tenta. Un’interpretazione che resta problematica: esattamente come quando il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, asceso al vertice della Bce ha attenuato il suo rigorismo (monetario e bancario) abbracciando l’incerta filosofia dello “stimolo” propria degli Stati Uniti. Eppure proprio Draghi, meno di un anno fa, aveva suggerito all’Italia una terapia “ultra-rigorista”: quella che ha portato Mario Monti alla guida del governo tecnico. Lo stesso Monti che ha messo il suo Paese a ferro e fuoco sul piano fiscale e previdenziale, ma che in Europa (e anche all’ultimo G8) ha vestito i panni della colomba “anti-rigorista”.
Entrambi, da decenni, come opinionisti e tecnocrati, conducono una guerra ideologica contro le banche della tradizione europea e a favore della finanza globale di mercato. Entrambi sono economisti di scuola liberista, contrari a ogni intervento pubblico sul mercato e convinti che solo i fondamentali economici (produttività del lavoro, competitività esterna delle imprese, rigore fiscale, ecc.) garantiscano sviluppo
La “micro-decisione” adottata sulla quarta banca italiana da Ignazio Visco, il neo-governatore fedelissimo di Draghi e Monti, non appare dunque così “micro” se collocata sullo sfondo di un confronto-scontro decisivo tra forze politico-finanziarie globale: uno sfondo nel quale la stessa crisi greca - o quella italiana - appaiono macro-pretesti per regolamenti di conti strutturali.
Su queste colonne abbiamo proposto più volte modesti spunti di riflessione: il cancelliere Merkel continua ad aver ragione - in linea di principio - quando contesta (anche al presidente Usa Obama) il lassismo monetario se questo deve servire alle JP Morgan di turno per continuare a speculare contro i debiti pubblici europei, con la complicità sempre più aperta delle agenzie di rating. La liquidità in abbondanza - contro ogni annuncio, più o meno in buona fede - continua a non servire per ricreare crescita e occupazione, ma solo a mantenere i rischi di instabilità finanziaria e inflazione (peggio: stag-flazione).
È contro questa intransigenza tedesca che i leader italiani (Monti e Draghi) sembrano essersi riposizionati in fretta su una sponda presidiata ora dal neo-presoidente francese Hollande a fianco di Obama, ormai in campagna elettorale. Ai socialisti francesi la posizione dialettica rispetto al rigorismo tedesco ha portato bene sul piano politico-elettorale, ma è ancora tutto da vedere se ciò sarà di beneficio a tutti i francesi (disoccupati, contribuenti, ecc.).
Ai cristiano-democratici tedeschi il rigorismo della loro leader è finora costato molto sul piano politico locale, ma l’Azienda Germania resta la locomotiva economica europea e i conti elettorali si tireranno solo nella primavera 2013. Allora già si saprà se la condiscendenza di Obama verso il sistema bancario globale sarà stata la sua fortuna o la sua rovina: se i contributi elettorali di Wall Street (e sarebbe anche questa una notizia) avranno definitivamente la meglio sull’opinione pubblica democratica.
Nel frattempo anche i tecnocrati italiani - che in Italia o all’estero del tutto “tecnici” non sono mai stati - dovranno vedersela: con il loro passato di rigoristi europei in teoria, “ma anche” di mercatisti globali in pratica; con il loro presente di apprendisti stregoni, premuti dai loro storici mentori americani, dagli italiani che ora amministrano loro, dal cancelliere tedesco che ha affittato loro la stanza dei bottoni Bce e Palazzo Chigi, cacciando lei Berlusconi.

Lombardo/Lettera aperta Di Antonella Borsellino

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Lombardo/Lettera aperta  Di Antonella Borsellino
Scritto da Antonella Borsellino   

Gentile sindaco di Montevago (AG), Calogero Impastato,

tutta Italia in questi giorni si prepara a celebrare nel modo più degno possibile il ventennale delle stragi di Capaci e via D'Amelio. Da Nord a Sud sarà tutto un fitto calendario di eventi per ricordare due grandi magistrati e due grandi uomini, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e con loro Francesca Morvillo e i ragazzi delle scorte, che coscientemente hanno sacrificato il bene più grande per assicurare la nostra libertà.

Eventi che avranno ospiti importanti come magistrati, rappresentati delle forze dell'ordine, giornalisti in prima linea, ad un unica condizione: che non abbiano problemi giudiziari in ambito mafioso. Già, molti potrebbero pensare che sia superfluo, ma a chiarire le cose c'ha pensato Maria Falcone che ha espressamente chiesto, per esempio, al presidente della Regione Sicilia, di non partecipare alla commemorazione del fratello: “Abbiamo invitato tutte le principali autorità locali”, spiega Maria Falcone. Con l'eccezione, appunto, di Raffaele Lombardo, accusato dalla procura di Catania di concorso esterno all'associazione mafiosa. “Lombardo – dice Maria Falcone – è imputato per mafia. La Fondazione Falcone, per lo spirito che la anima, non può invitare un esponente politico che ha avuto contatti di questo tipo”.
E anche lo stesso Lombardo, bisogna ammetterlo, ha avuto il buon gusto di declinare tutti gli inviti in questo senso: “Ho deciso di non prendere parte alla celebrazioni in ricordo del magistrato Falcone per evitare imbarazzi, soprattutto miei e per rispetto alle vittime della mafia che si ricordano”.

Pensavamo tutti fosse finita qui, prima di apprendere dalla stampa che a Montevago sono in programma una serie di eventi per ricordare il 23 maggio e si dà come certo l'intervento dell'imputato per mafia Lombardo all'intitolazione dell'aula consiliare alla memoria dei due giudici; eventi a cui Libera, unica associazione antimafia presente sia a Montevago che a Santa Margherita di Belice, non è stata in alcun modo invitata. Ognuno, per carità, invita chi vuole: c'è chi vuole accanto a sé le vittime, chi gli imputati per mafia.

Pare che questa idea blasfema, volgare e arrogante sia venuta al giovane presidente del Consiglio comunale, che in virtù di qualche centinaio di voti capitalizzati alle elezioni, pensa di potersi permettere di stravolgere le regole del buon senso e della memoria. Un giovane (per fortuna che sono loro la speranza...) che non esita, pur di far colpo sul capo del suo partito politico, ad invitare un uomo che ha avuto rapporti, secondo l'accusa, con la mafia catanese. Per fortuna molti altri giovani sono diversi da lui.

Con questa lettera aperta le chiedo, signor sindaco, di annullare immediatamente l'invito al presidente Lombardo e di non attendere che sia egli a rinunciare. Di questo gesto dovrete spiegazioni ai vostri concittadini e soprattutto ai familiari dei due magistrati che sono stati da noi prontamente avvertiti.

In attesa di un suo riscontro,
si porgono saluti di circostanza.

Antonella Borsellino,

Venturi/ la colpa non è sua ma di quei cretini come Bossi che esaltano i deficienti!!!


Un, accorato, appello alla famiglia di Stefano Venturi leghista di Rovato: ricoveratelo, proteggetelo dalla sua ignoranza.

Si sa che la satira, le battute, perchè abbiano un senso devono essere feroci ma la ferocia dissacrante non a niente a che vedere con l’idiozia del segretario della lega nord di Rovato.
Mi domando che livello mentale abbiano gli iscritti della sezione leghista di Rovato che hanno eletto un segretario del genere, un sottoprodotto, scadente, del genere umano.
Commentando il terremoto che ha colpito l’Emilia ha scritto sul suo profilo Facebook: la padania si sta staccando, ci scusiamo per i disagi. La prossima volta faremo più piano.
Fortunatamente il suo post ha raccolto quantità industriali di critiche e di offese confermando che anche dalle cose peggiori si può cogliere un momento di speranza, positivo, nella lega non sono tutte trote, Manuela Del Lago,uno dei triumviri della Lega, chiede scusa “per quanto accaduto”. ”Il segretario Rolfi ha fatto benissimo a sollecitare le dimissioni di questo Venturi – dice il deputato all’Adnkronos -. Di imbecilli il mondo e’ pieno, e purtroppo ce ne sono anche tra noi… Chiediamo scusa , la Lega si stringe attorno ai familiari delle vittime del terremoto in Emilia Romagna. Siamo profondamente addolorati, abbiamo massimo rispetto per le popolazioni colpite dal sisma”.
Pera la prima volta, da quando è nata la lega nord di Bossi, mi trovo d’accordo con una di loro, il mondo è pieno di imbecilli, ci sono ovunque ed a tutte le latitudini, diciamo che nella lega nord c’è un concentrato di imbecilli che va oltre l’immaginazione.
Se paragoniamo l’imbecillità ad un pomodoro, coltivato ovunque, diciamo che la presenza della lega nella lega nord padania è al livello del triplo concentrato di pomodoro.
Prendo atto che l’hanno fatto dimettere ed attendo che i due o tre leghisti di comando, come Manuela Del Lago che sembra provvista di materia cerebrale, provvedano all’espulsione dei vari Borghezio, Salvini, Lancini, trote ed avannotti vari, insomma spero che dal triplo concentrato/imbecillità della padania si passi, almeno, al concentrato semplice.
So che la stupidità è impossibile da sradicare, proviamo almeno a contenerla ed a renderla inoffensiva, anche se l’impresa ha dell’impossibile.
A questo proposito mi torna in mente il Gen. De Gaulle al quale, durante un  comizio, un suo elettore gridò: mio generale, a morte i cretini!
Al quale il Generale rispose: caro amico, il suo programma è troppo ambizioso.
Dato che nella lega ultimamente va di moda la scopa mi accontenterei che imbecilli come Venturi venissero spazzati via, per il bene loro ed il nostro.
Mi permetto solo una osservazione, la faccia da pirla l’ha tutta, qualcosa si poteva intuire già prima che arrivasse a scrivere enormi cazzate.
Prevenire è meglio che curare. Proteggerlo dalla sua ignoranza è volontariato.Dargli dell’imbecille, mentre crede di essere spiritoso non è un’offesa, è volontariato.

Save The Children chiama in causa Mario Monti da bimbo


Save The Children chiama in causa Mario Monti da bimbo 

"Caro Mario, ricordati dell'infanzia. In Italia 1 bambino su 4 è a rischio povertà". È la pubblicità di Save The Children, con un testimonial d'eccezione: un giovanissimo e occhialuto Monti in uno scatto del 1953

Un bambino occhialuto interrompe una conferenza stampa del premier Monti: 
"Sono Mario, ti ricordi quando eri me? Quante speranze e quanti sogni avevi... lo sai che oggi molti bambini quei sogni potrebbero non realizzarli mai?"
È la nuova campagna pubblicitaria di Save The Children, l'associazione internazionale a difesa dei diritti dell'infanzia che, per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della povertà in Italia ha scelto un testimonial d'eccezione: Mario Monti da bambino. Partendo da una vecchia foto che ritrae il Premier sui banchi di scuola, scattata nel lontano 1953, l'associazione ha realizzato un video con un bimbo straordinariamente somigliante al ragazzino che fu.
E non soltanto Monti: Save The Children ha realizzato anche altre locandine che ritraggono i ministro Corrado Passera ed Elsa Fornero da bambini.