giovedì 5 marzo 2015

"Non ha la cravatta, non può entrare", il sindaco di Messina resta fuori dall'Ars



"Non ha la cravatta, non può entrare", il sindaco di Messina resta fuori dall'Ars




<p>Il sindaco di Messina, Renato Accorinti (Infophoto)</p>


Articolo pubblicato il: 04/03/2015
"Dalle 10.15 di stamane sono davanti l'Ars a Palermo perché convocato in commissione sulla delicatissima questione trasporti ma non mi fanno entrare perché sono senza cravatta. Siamo ancora nel Medioevo. La dignità della persona va rispettata. La dignità e il rispetto per le istituzioni è indossare una cravatta? E' un regolamento arcaico che offende la libertà di espressione di ognuno di noi. Se venisse Tsipras non lo fanno entrare?". E' quanto dice all'Adnkronos il sindaco di Messina, Renato Accorinti.

"Io ho rispetto per chi indossa la cravatta, ma anche per chi porta il turbante o la Kefia. Ho rispetto - ha evidenziato Accorinti- per chiunque voglia vestirsi per come reputa più opportuno. Ho rispetto per tutte le religioni e tutte le culture. Qua invece, ancora oggi - ha ribadito nervosamente- non entro perché non ho la cravatta. Qui rappresento un popolo di 250mila persone, Messina, la terza città siciliana, per parlare di una problematica come quella dei trasporti con un sistema ferroviario fa i peggiori d'Europa, e non mi fanno entrare? E' una cosa folle e chiedo formalmente di eliminare un regolamento così arcaico".

"Qui c'è gente, in questo palazzo - ha concluso il sindaco di Messina- che in giacca e cravatta ha stuprato la Sicilia..."

Morte ai palestinesi, questa Italia fa rimpiangere Craxi

Morte ai palestinesi, questa Italia fa rimpiangere Craxi


Bei tempi, quelli di Craxi e Andreotti – perlomeno, rispetto all’attuale disastro politico. Cartina di tornasole, il voto del 27 febbraio sul (mancato) riconoscimento italiano dello Stato di Palestina. Tutti contrari, in aula – berlusconiani e renziani, perfino Sel – con l’unica eccezione del M5S, favorevole ai palestinesi “senza se e senza ma”. «Il partito unico che ci governa, ivi compresa la Lega Nord e il cespuglio “rosafucsia” alla “sinistra” del Pd», i cui esponenti vendoliani «fingono di litigare nei vari talk-show», non è stato neanche capace di votare quella che di fatto sarebbe stata poco più di una mozione di intenti, sebbene di alto valore simbolico. Il voto, scrive Fabrizio Marchi, non avrebbe comunque comportato nessuna ricaduta concreta sulla realtà della cosiddetta “crisi” israelo-palestinese, «cioè l’occupazione neocoloniale e razzista a cui è sottoposto da decenni il popolo palestinese da parte dello Stato di Israele e di tutti i suoi governi, nessuno escluso». Forse, aggiunge Marchi, «ci sono anche modi relativamente più dignitosi per servire i propri padroni, ad esempio fingendo di avere una propria autonomia politica: in fondo a questo serviva o avrebbe potuto servire votare in favore dello Stato di Palestina».
Anche per fare questo, però, «serve un briciolo di dignità e di spessore», scrive Marchi su “L’Interferenza”. Qualità elementari, che purtroppo «questo ceto politico non possiede». Perlomeno, la classe politica della Prima Repubblica «cercava di assolvere Gazaalla funzione che all’interno dell’alleanza politico-militare occidentale le era stata affidata, con un relativo margine di autonomiapolitica, di equilibrio e di capacità di mediazione reale in quella che era la sua area geopolitica di pertinenza, cioè il bacino del Mediterraneo». Partiti come Dc, Psi e Pci credevano nel ruolo politico dell’Italia nell’area mediterranea e mediorientale. Di sicuro si sarebbero comportati «con maggiore dignità e senso dello Stato». Marchi ricorda il celebre discorso alla Camera del 6 novembre del 1985 con cui l’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, difese il legittimo diritto dei palestinesi alla lotta armata per liberare la propria terra dalla potenza occupante, «azzardando addirittura un paragone storico fa il movimento di liberazione nazionale palestinese e quello risorgimentale e mazziniano». Per non parlare del famoso episodio di Sigonella dell’ottobre dello stesso anno, dove lo stesso Craxi impedì ai marines Usa di catturare un commando palestinese del Fplp che aveva sequestrato una nave da crociera italiana, l’Achille Lauro.
Il commando palestinese aveva ucciso un passeggero americano di religione ebraica, Leon Klinghoffer, costretto sulla sedia a rotelle. Tra parentesi, la vittima «non era un anziano qualsiasi», spiega oggi uno studioso come Gianfranco Carpeoro: Klinghoffer era il capo del “B’Nai Brit”, la superloggia massonica segreta ebraica, che corrisponde alla sezione più impenetrabile del Mossad, l’intelligence israeliana. «L’aereo su cui viaggiavano i membri del commando palestinese – ricorda Marchi – fu fatto circondare dai carabinieri», che impedirono armi in pugno ai marines americani di catturare i palestinesi, per poi far ripartire l’aereo verso il porto sicuro della Jugoslavia comunista di Tito. «Un episodio che provocò un momento di grave tensione nei rapporti fra il governo italiano e quello americano», e che oggi appare lunare, incredibile. La crisi di Sigonella «rilanciava il ruolo dell’Italia nello scacchiere mediorientale come paese non ostile ai popoli arabi, in continuità con una Yasser Arafat, storico leader palestinese politica di cooperazione e collaborazione con i paesi maghrebini e mediterranei già iniziata a suo tempo dal presidente dell’Eni, Enrico Mattei, che per questo fu assassinato dalle multinazionali del petrolio Usa».
C’è chi sostiene che Usa e Israele non avessero dimenticato quell’affronto, aggiunge Marchi. Si ritiene infatti che la successiva caduta in disgrazia di Craxi avesse in qualche modo a che vedere con la sua politica di apertura nei confronti dell’Olp e in generale dei governi nazionalisti laici arabi, ben oltre le vicende di Tangentopoli. «Questo ovviamente non fa di Craxi, così come di Andreotti e in generale di quel ceto politico da loro rappresentato, degli eroi della lotta dei popoli del mondo contro l’imperialismo, però ci offre una testimonianza reale di quale sia il livello dell’attuale classe politica». Un panorama desolante, che comprende a pieno titolo anche la Lega Nord di Salvini, che «ha votato contro lo Stato di Palestina con una dichiarazione esplicitamente filoisraeliana». La Lega si rivela così «una forza di finta opposizione al “sistema”, schierata in realtà su posizioni filo-atlantiste». Le simpatie per Putin e la Corea del Nord? «Nero seppia da buttare in faccia alla parte culturalmente più debole del suo elettorato». Morte ai palestinesi, dunque, ora e sempre, anche da parte del Salvini che spande odio verso i migranti più disperati. «E’ bene non farsi ingannare da questa gente, molto abile in queste operazioni di maquillage dalle quali purtroppo molte persone in buona fede tendono a farsi condizionare – conclude Marchi – soprattutto in assenza di un’alternativa politica solida».

Il Qe di Draghi toglie altri soldi all’economia reale

Il Qe di Draghi toglie altri soldi all’economia reale


Superare l’odierna situazione di crisi è possibile, basterebbe semplicemente attuare una politica di espansione del deficit pubblico al fine di ridurre le tasse o di incrementare il livello degli investimenti effettuati dallo Stato nell’ambito dei servizi pubblici, oppure di promuovere un abbinamento di questi due obiettivi insieme, in modo da riuscire a ripristinare quelle condizioni di piena occupazione e di prosperità che erano già state conosciute dall’Italia in passato. Si tratta di traguardi molto facili da raggiungere, in realtà, visto che sarebbe sufficiente che il Parlamento votasse in favore di una politicafiscale espansiva. La difficoltà, però, consiste nell’arrivare alla comprensione che il passo giusto da compiere è questo, che i suoi effetti saranno quelli promessi e che tutto funzionerà come previsto. Bisogna che i politici esaminino più da vicino la Teoria della Moneta Moderna e magari s’incontrino con gli attivisti per capire come funziona l’economia, quale sia la causa reale della disoccupazione e cosa sia possibile fare per porre termine al fenomeno della disoccupazione e ripristinare la prosperità per tutti gli esseri umani.
È completamente innaturale che persone che sarebbero capaci e disponibili a lavorare siano costrette ai margini della società poiché a loro è impedito di contribuire all’economia e al benessere della società. Si tratta di una situazione creata Mario Draghiartificiosamente, per mezzo di politiche sbagliate, quindi è importante che la gente comprenda che bisogna votare per dei legislatori che capiscano che cosa fare e, in particolar modo, qual’è il passo avanti da fare onde invertire l’attuale stato di cose il prima possibile. I politici devono capire che cosa significhi il denaro – che si tratti di euro, lire, dollari, yen – come funziona lapolitica monetaria, che cosa succede operativamente quando lo Stato spende e quando lo Stato tassa, e quindi cosa avviene quando la spesa pubblica è più elevata rispetto al gettito fiscale, che cosa genera i depositi bancari e da dove deriva la disoccupazione. Una volta compreso tutto questo, allora è possibile intraprendere passi semplici che invertano la situazione attuale completamente.
Analizzando con attenzione il piano di studi che attualmente è insegnato in tutti i gradi d’istruzione, si scopre come esso si basi integralmente sul periodo in cui vigeva il sistema aureo, ossia quando l’obiettivo principale dell’intera economianon era di ottenere prosperità per tutti, bensì consisteva nell’accumulare oro a favore dello Stato, indipendentemente dai costi sociali che gravavano sulla popolazione a causa di tale sistema. In altre parole, tutta la politica economica, a prescindere dall’onere che questa costava ai cittadini, era elaborata e giudicata in base a quanto più oro riuscisse a venire accumulato a favore dello Stato. Sebbene il sistema aureo non esista più nei fatti da quasi un centinaio di anni, i piani di studi e le politiche pensate nell’ottica di quel periodo economico continuano a sussistere. Non è ancora avvenuto, cioè, quel cambio di forma mentis necessario per comprendere come oggi l’economia possa servire a migliorare la vita delle persone e non ad accondiscendere alle richieste che Orogli Stati fanno, come se dovessero accumulare sempre più oro. Richieste che oggi sono completamente prive di senso, visto che attualmente non siamo più nella necessità di dover accumulare oro.
Questo tipo di organizzazione non è in grado di aiutarci a superare la crisi. Anzi, io ritengo che la peggiori. E, man mano che si va avanti, la situazione peggiorerà sempre di più. Prendiamo come esempio questa politica di “quantitative easing” che serve per assicurarsi sia che gli Stati non dichiarino default e che i tassi d’interesse si mantengano bassi, l’economia rimanga stagnante e la disoccupazione resti elevata. In altre parole siamo sull’orlo di sommosse e rivolte sociali poiché gli europei vengono sospinti sempre di più verso la disperazione. Così, se in teoria Bruxelles può mostrare di aver ottenuto dei numeri positivi su un bilancio, all’atto pratico si tratta invece di un crimine contro l’umanità. Ciò che si sta perpetrando è un disastro, una catastrofe. E non vedo cambiamenti positivi. L’annuncio del “quantitative easing” di Draghi? Si tratta di un atto sedizioso, sia nel caso in cui Draghi stia deliberatamente cercando di danneggiare l’Eurozona, sia qualora egli probabilmente non si renda di fatto conto di come davvero funzioni la politica monetaria. Gli do il beneficio del dubbio. Quando una banca centrale s’impegna nell’acquisto di titoli, che siano Btp o Cct, tale acquisto è né più né meno che un deposito in euro presso questa banca centrale. Quando si acquista un Cct, ad esempio, invece che tenersi degli euro su un conto bancario commerciale si hanno deglieuro su un conto presso la banca centrale chiamato Cct. Si ricevono degli interessi ed è possibile riottenere il denaro depositato come fosse un qualsiasi altro processo bancario.
Quando le banche centrali acquistano i tuoi Cct, e quindi ti pagano in euro, succede che il processo appena descritto s’inverte. Invece di avere un deposito chiamato Cct presso la banca centrale, ti viene restituito il deposito che avevi originariamente. Perciò il “quantitative easing” non fa altro che trasferire degli euro da un conto bancario, che si chiama Cct, a un altro conto bancario, che si chiama semplicemente conto bancario commerciale. Non cambia alcunché. Eccezion fatta che il tasso d’interesse sui Cct, o sui Btp, che è di una certa entità, viene perso, in quanto non si riceve più. Di conseguenza questa politica di acquisto di titoli toglie il reddito da interesse dall’economia. Non molto, ma un po’ di soldi li rimuove. In più c’è anche il problema dei pagamenti degli interessi da parte degli Stati: se questi soldi potessero essere spesi altrove, allora andrebbe tutto Moslerbene. Ma invece no! Difatti si richiede che questi soldi vengano usati per abbassare il deficit pubblico. E così i pagamenti effettuati dal settore pubblico verso il settore privato semplicemente si riducono.
Si riduce la spesa totale sui beni e i servizi nell’economia, e per questo il “quantitative easing” è un’ulteriore tassa che sottrae denaro all’economia. La maggior parte delle opportunità di ottenere dei prestiti si basa sulla possibilità: tu chiedi un prestito perché hai un fatturato in espansione, perché lavori di più, perché hai nuovi prodotti e quindi perché hai più possibilità di fare utili. Possibilità significa, dunque, la possibilità di vendere qualcosa. In altre parole, l’economia moderna si basa per l’appunto sulle vendite: se le vendite aumentano ci sono più posti di lavoro e ci sono maggiori possibilità di avere accesso a prestiti e mutui. Quando invece togli denaro dall’economia, come avviene con il “quantitative easing”, le vendite non salgono, anzi rimangono stagnanti. Sicché le prospettive di investire e di conseguire maggiori vendite di beni e servizi si riducono. Perciò, sebbene i tassi d’interesse si abbassino, i fatturati che sono necessari per poter guidare le possibilità d’investimento non ci sono più. E così gli investimenti di fatto si abbassano.

Nuovo tentativo di suicidio nel carcere di Marassi:

Nuovo tentativo di suicidio nel carcere di Marassi: “Escalation di emergenze e sempre meno agenti”


carcere marassi

Marassi. Ennesimo tentativo di suicidio nel carcere di Marassi. Un giovane detenuto straniero ha tentato di togliersi la vita mediante impiccagione ed è stato salvato grazie dalla tempestività dell’agente di Polizia Penitenziaria addetto al controllo.
“Ennesima tragedia sfiorata – commenta Michele Lorenzo, segretario del Sappe ligure – l’episodio non è da sottovalutare benché l’evento critico sia stato risolto positivamente. Se il compito della sicurezza penitenziaria è demandata alla Polizia Penitenziaria la quale dell’incolumità dei detenuti ne ha fatto non solo una mission istituzionale ma anche e soprattutto morale, di contro non vengono forniti utili strumenti per eseguire al meglio il nostro mandato. Basti pensare che non sono stati mai programmati di corsi di formazione in tema di pronto soccorso, di BLSD o di difesa personale, corsi che consentono un migliore impiego della Polizia Penitenziaria sia all’interno che all’esterno degli istituti”.
Secondo Lorenzo, nemmeno l’organizzazione interna voluta dal vertici romani, denominata vigilanza dinamica, aiuta la Polizia Penitenziaria ad interventi di maggiore efficacia.
“In questo episodio – continua – l’unico agente di servizio doveva controllare anche i cortili passeggi e solo un caso ha voluto che l’agente abbia udito un tonfo provenire da una cella che ha allertato la sua attenzione ed il suo intervento per salvare la vita al giovane detenuto. Ricoverato in ospedale è stato dimesso perché, fortunatamente non si sono riscontrati danni di nessuna natura. L’escalation di eventi critici che si stanno verificando in Liguria  mantiene alto il nostro livello di attenzione, ma è solo la Polizia Penitenziaria ad essere sottoposta ad un livello di continua allerta sempre con una minore presenza di personale; e di numeri a Marassi se ne parla sempre in negativo, con 110 agenti in meno che, nel 2014 hanno gestito quasi 90 urgenze un centinaio di casi autolesionismo 10 tentativi di suicidio. Numeri che oggi più che mai deve svegliare le coscienze degli amministratori e dei politici per un impegno concreto sul fronte sicurezza penitenziaria, cosa che ad oggi non ci risulta essere attuato”.