giovedì 31 ottobre 2013

Un orto ti allunga la vita

Un orto ti allunga la vita

I benefici del fai-da-te dopo i 60 anni
http://www.televideo.rai.it/../Contents/immagini/2013/1/1_296_orto_citta.jpgColtivare un orto potrebbe bastare ad assicurarsi una vita più lunga e più sana, riducendo di quasi un terzo il rischio di morte. Lo dimostra sul 'British Journal of Sports Medicine' un gruppo di scienziati svedesi del Karolinska University Hospital di Stoccolma, che dimostra come, dopo i 60 anni di età, per assicurarsi salute e longevità non bisogna per forza sudare su tapis roulant e cyclette: è sufficiente alzarsi dal divano e dedicarsi a piccoli lavoretti fai-da-te come il giardinaggio, la cura della casa oppure dell'auto, tagliare l'erba, cogliere frutti di bosco o anche andare a caccia.

Dalla ricerca, condotta su 4.232 persone seguite per un anno, emerge che i più attivi nella vita di tutti i giorni hanno un minor rischio di attacchi di cuore, e che anche chi coltiva quotidianamente piccoli hobby casalinghi senza fare sport ha un pericolo inferiore rispetto ai sedentari. In particolare, essere attivo riduce del 27% la probabilità di attacchi cardiaci o di ictus, e del 30% la mortalità per tutte le cause.

"Una vita generalmente attiva ha importanti associazioni benefiche con la salute cardiovascolare e la longevità negli anziani, indipendentemente dall'esercizio fisico regolare", sottolineano gli studiosi svedesi. "Nonostante questo studio abbia riguardato persone ultra 60enni - commenta sulla Bbc online Tim Chico, cardiologo consulente onorario agli Sheffield Teaching Hospitals - è ragionevole concludere che più una persona è attiva nel corso della vita, minore è il rischo di malattie cardiovascolari".

martedì 29 ottobre 2013

Foggia, dipendente dell’Agenzia delle Entrate

Foggia, dipendente Agenzia Entrate aggredito in via Ortovecchio

Foggia, dipendente dell’Agenzia delle Entrate aggredito in via Ortovecchio

La vittima è stata aggredita alle spalle da due persone. Stava per effettuare una verifica fiscale presso l'abitazione di un imprenditore


Foggia, dipendente Agenzia Entrate aggredito in via Ortovecchio
Brutta disavventura ieri mattina per un dipendente dell’Agenzia delle Entrata aggredito in via Ortovecchio nei pressi dell’abitazione di un imprenditore, che di lì a poco sarebbe stato sottoposto a una verifica fiscale. Ad aggredirlo, prendendolo alle spalle, stando a quanto ha riferito dal malcapitato ai carabinieri, sarebbero state due persone, che però la vittima non avrebbe riconosciuto e che si sarebbero persino impossessati della documentazione del dipendente, rimasto leggermente contuso.

Potrebbe interessarti:http://www.foggiatoday.it/cronaca/aggressione-via-ortovecchio-foggia-dipendente-agenzia-entrate.html
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giovedì 24 ottobre 2013

Troika vuole privare Grecia di settori difesa e auto

Troika vuole privare Grecia di settori difesa e auto

Commissione Ue, Bce e Fmi mostrano i muscoli. Se Atene vuole ricevere altri aiuti deve vendere le sue controllate statali. Così Atene importerà auto e vetture da Berlino?


NEW YORK (WSI) - È da ormai quattro anni che va avanti la sinfonia della Troika scontenta dei progressi e della lassività della Grecia in materia di conti pubblici. Ma alla fine Bruxelles, Francoforte e Washington contoinuano a fornire i finanziamenti che il Paese travagliato e indebitato chiede. 

Nell'ultima parte di questa infinita saga, la Troika ha iniziato a mostrare i muscoli e messo bene in chiaro che se Atene vuole ricevere la prossima tornata di aiuti finanziari, dovrà rinunciare alle controllate statali Hellenic Defense Systems (EAS) e Hellenic Vehicle Industry (ELVO).

A riportarlo è il quotidiano ellenico Kathimerini. In breve quello che Bce, Fmi e Commissione Ue stanno dicendo è: chiudete i settori nazionali di difesa e auto e poi possiamo discutere del piano di salvataggio. 

E se poi dovrete importare armi e vetture dalla Germania e dagli altri Paesi esportatori dell'area euro, i cui soldi vi hanno tenuto in piedi in questi ultimi anni difficili, e se dovete chiedere prestiti aDeutsche Bank per pagarli (sembrano dire le autorità europee al Governo Samaras), "prego fatevi avanti".

Condannati dall’euro, come Atene e Lisbona

Condannati dall’euro, come Atene e Lisbona


Il Portogallo sprofonda come la Grecia e anticipa quello che potrebbe accadere all’Italia. Uno schema micidiale: gli Stati europei si indebitano, esattamente come tutti gli altri Stati al mondo, ma «non potendo emettere moneta (a differenza del Giappone, degli Usa, dell’Inghilterra e della Svizzera) chiedono aiuto alla Troika». Bce, Fmi e Unione Europea ben volentieri concedono prestiti, ovviamente a condizioni-capestro: indietro non vogliono solo i soldi che prestati (più gli interessi usurai) ma impongono anche un insieme di misure antisociali per “snellire” il welfare. Così, riassume Massimo Ragnedda, lo Stato non più sovrano è costretto a comportarsi come i cittadini «indebitati e disperati», che chiedono “aiuto” agli strozzini. Si accettano i vincoli e i tagli più drammatici alla spesa pubblica, pur sapendo che non faranno che aggravare la crisi. E’ tutto orribilmente semplice: «Gli Stati un tempo sovrani sono così costretti a vendere i gioielli di famiglia (come fanno gli strozzati dagli usurai), licenziare dipendenti pubblici, ridurre la sanità pubblica, tagliare i finanziamenti alla scuola e alla ricerca, ridurre le pensioni».
La politica economica dell’Eurozona, scrive Ragnedda su “Tiscali” in un intervento ripreso da “Megachip”, è ordinata e imposta da oscuri burocrati e Portogallo, proteste contro la Troika europeabanchieri che vivono in un mondo dorato senza nessun contatto con quello che un tempo si sarebbe definito “il popolo”. «A noi rimane l’illusione che, votando, possiamo scegliere da chi essere governati». Ora, dopo aver schiacciato la Grecia, è il turno del Portogallo: in cambio del generoso piano di “salvataggio”, la Troika ha imposto al conservatore Passos Coelho di tagliare gli stipendi pubblici. Dal 2014 tutti i dipendenti pubblici portoghesi che guadagnano più di 600 euro si vedranno tagliare lo stipendio da un minimo del 2,5% ad un massimo del 12%, annota Ragnedda. Ma non basta: «La Troika ha imposto il licenziamento del 3% dei dipendenti pubblici, in un paese in cui la disoccupazione ha già superato quota 17,4%». In più, il super-potere europeo ha anche ordinato di aumentare l’orario settimanale dei lavoratori pubblici da 35 a 40 ore. Misure ora al vaglio della Corte Costituzionale di Lisbona: in mancanza di Passos Coelhoalternative, lo Stato sarà costretto ad applicarle.
La Troika, continua Ragnedda, chiede anche che vengano privatizzate le aziende in attivo, come la Rete Energetica Nazionale. «Privatizzare significa vendere a prezzi di saldo, agli amici della Troika ovviamente, le aziende che producono. I soldi che si ricaveranno dalla vendita (un po’ come i nostri soldi dell’Imu che sono serviti a salvare il Monte Paschi di Siena) serviranno per salvare dal fallimento il quinto gruppo finanziario del paese, la Banif». Ma il debito non andrebbe pagato? Certo: quello di famiglie e aziende. Quanto al debito pubblico, quello dello Stato, dipende: se si tratta di un paese libero, come il Giappone che emette moneta sovrana, il debito può tranquillamente arrivare al 250% del Pil (più del doppio dell’esposizione italiana) senza che si scateni nessuna tempesta finanziaria. Motivo: gli speculatori sanno che lo Stato giapponese è in grado di ripianare il deficit in qualsiasi momento, ricorrendo all’emissione di valuta. L’Eurozona, senza più alcun potere di autodifesa monetaria, è invece in balia del ricatto finanziario: il deficit italiano è Shinzo Abeattualmente attorno al 3% del Pil, mentre quello nipponico è al 10%.
In regime di moneta sovrana, debito pubblico significa, letteralmente: soldi che lo Stato anticipa ai cittadini, in termini di servizi, stipendi e infrastrutture, assicurando in tal modo il necessario supporto all’economia, in termini di fatturati e consumi, oltre che di stabilità sociale. Infatti, nonostante il suo elevatissimo debito virtuale, il Giappone non solo non ha tagliato la spesa pubblica (come invece la Grecia che ha dovuto chiudere ospedali e università, fabbriche e uffici) ma ha lanciato un ulteriore piano di espansione della spesa statale con un primo intervento da 85 miliardi di euro, con l’obiettivo di creare 600.000 nuovi posti di lavoro, secondo i piani keynesiani del premier Shinzo Abe. «Mentre in Grecia si registra un drastico aumento della povertà, casi di malnutrizione minorile, aumento dei reati legati alla “sopravvivenza”, sistema educativo e sanitario ridotto all’osso, in Giappone il tasso di disoccupazione è del 4.5%», precisa Ragnedda. Dopo la Grecia, ora tocca al Portogallo: il paese è costretto a licenziare i dipendenti pubblici, tagliare loro lo stipendio, ridurre la spesa pubblica elargendo meno servizi vitali per i cittadini.
Dov’è il trucco? Nella moneta: a differenza di noi sventurati “sudditi” della Bce, i giapponesi sono proprietari del loro denaro, che può essere liberamente emesso dalla Bank of Japan, così come fanno la Federal Reserve statunitense, la Bank of England e la Banca centrale svizzera. Il rischio è l’aumento dell’inflazione, continua Ragnedda, ma il vantaggio è che non si è costretti a chiedere prestiti usurai alla Troika e farsi dettare la politica economica e sociale da oscuri banchieri. Attenti poi a maneggiare lo spauracchio dell’inflazione, sempre agitato dal super-potere neoliberista che, dopo quarant’anni di guerra ideologico-economica, sta finendo di distruggere lo Stato democratico come “sindacato dei cittadini” e loro grande sponsor economico. Secondo Paolo Barnard e Warren Mosler, in base alla “teoria della moneta moderna” ci si cautela facilmente dell’iper-inflazione se Ragneddalo Stato crea posti di lavoro produttivi, e non assistenziali, vincolando quindi la maggiore liquidità all’incremento del Pil, cioè dell’economia reale.
Per un vero piano di piena occupazione, abbonderebbero gli spazi nei settori con elevato impiego di personale, dai servizi alla persona alle opere di ripristino del territorio. Senza contare i posti di lavoro – centinaia di migliaia, forse milioni – ricavabili da un grande piano nazionale di riconversione ecologica dell’economia, dalle fonti rinnovabili alla ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio pubblico e privato. Lo Stato, però, può tornare a tutelare la comunità nazionale a una sola condizione: rientrando in possesso della propria moneta sovrana. Giochino piuttosto semplice, conclude Ragnedda: «Il Giappone, l’Inghilterra e gli Usa possono finanziarie il loro debito direttamente, emettendo moneta. Noi no. E per poter pagare il debito siamo perciò costretti a chiedere i soldi alla Bce e aprirci alla speculazione internazionale». Se l’Italia è ancora sospesa nell’anticamera dell’inferno, la micidiale road map di Bruxelles – Atene, poi Lisbona – indica che sta per toccare a noi, perché nessun governo (senza moneta, e quindi senza potere di spesa pubblica) potrà fare nulla di importante per invertire la rotta e opporsi alla catastrofe. Domanda: c’è qualche forza politica che osi porre la questione, in Parlamento?

lunedì 14 ottobre 2013

Facciamo esplodere la Siria, poi piangiamo per gli sbarchi

Facciamo esplodere la Siria, poi piangiamo per gli sbarchi


Era completamente falsa la “notizia” strombazzata per due giorni, in primis da “Repubblica”, degli “scafisti siriani” che, a cinghiate, avrebbero costretto i migranti a uccidersi, gettandosi dal gommone proveniente dalla Libia nel mare davanti Scicli. Una notizia vera ha trovato, invece, pochissimo spazio sul mainstream: secondo l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono sempre di più i siriani che approdano sulle nostre coste: lo fanno per fuggire dalle bande di mercenari che stanno insanguinando quella nazione, e dalla conseguente reazione dell’esercito siriano, ma soprattutto, per fuggire dalla fame e dalla miseria esplose in Siria col feroce embargo decretato due anni fa dall’Unione Europea, Italia compresa. E i motivi di questo embargo, accusa Francesco Santoianni, sono politici e scritti nero su bianco: l’obiettivo è costringere la popolazione a ribellarsi ad Assad. «Una “primavera araba” dettata dall’Occidente, che ha già fatto 100.000 morti e due milioni di profughi».
Una tenaglia spietata che si prolunga ogni giorno, «dopo le lacrime di coccodrillo e l’ipocrita adesione al “digiuno di pace” della Bonino e di Siracusa, lo sbarco di profughi siriani assistiti da bagnantiMauro», il ministro della difesa. Sicché, anche la sua collega agli esteri oggi annuncia che l’Italia continuerà – insieme a Usa,Francia, Turchia e Arabia Saudita – a far parte del “Gruppo Amici della Siria”, «quello che, per intenderci, sostiene e arma i “ribelli”», mentre Mauro «si appresta ad inviare in Giordania batterie antimissili e soldati». Il tutto, «condito da elargizioni ad una pletora di omertose organizzazioni “umanitarie”, impegnate nell’assistenza (fuori dalla Siria) ai disperati siriani e ad una sempre più pressante richiesta di “corridoi umanitari” per “soccorrere la popolazione”». Secondo Santoianni, «sarà proprio questa richiesta (ovviamente inaccettabile per Assad) il casus belli dei futuri bombardamenti sulla Siria».
Ma c’è qualcuno, Italia, disposto a protestare per questo? Tralasciando la manifestazione del 12 ottobre difesa della Costituzione e quella del 19 ottobre (NoTav, diritto alla casa, lotta alla precarietà) c’è la giornata del 18 ottobre con lo sciopero contro il governo. «La piattaforma non fa cenno alla politica estera, né tantomeno alla Siria», come fu per il “No-Monti Day” dell’anno scorso, con solo l’ovvia condanna delle spese militari. Il “Comitato No-Debito”, ricorda il blogger, annoverava tra le sue fila anche formazioni come “Sinistra Critica” e il “Partito Comunista dei Lavoratori”, all’epoca favorevoli alla “rivoluzione siriana” contro Assad. La “confusione” sulla vera natura dei “ribelli”, ormai smascherati come jihadisti finanziati dalla Nato e dalle monarchie del Golfo, secondo Santoianni ha molto indebolito il “fronte della pace”: difficile che la verità sulla Siria possa trovare spazio il18 ottobre a Roma. «Peccato. Perché se così fosse, di fronte ai continui sbarchi di disperati che giungono sulle nostre coste», spesso in fuga da tragedie «pianificate dai nostri governanti», l’unico argomento che rimarrebbe da usare «sarebbe quello, logoro e rituale, della denuncia della legge Bossi-Fini».

martedì 8 ottobre 2013

Twoorty: la prima knowmunity italiana,articolo di Stefania Ferri

Twoorty: la prima knowmunity

in BLOG scritto da   
Twoorty lancia un nuovo modello di social network, basato su condivisioni che affondano le radici su substrati differenti, vediamo come funziona e quali vantaggi può portare ai singoli utenti o agli esercizi commerciali.
Twoorty nasce da un’idea di Carlo Crudele nel 2011, che ha poi portato avanti insieme alla sua co-fondatriceAlice Cimini.
All’inizio il progetto era ovviamente differente da quello che poi ha preso forma nell’estate del 2012, e che è stato possibile attuare anche grazie anche all’investitore, che ha creduto nella loro idea, e che in tutta la sua lungimiranza ha compiuto un ottimo investimento!

Twoorty: un altro modo di essere social network

Il nodo centrale attorno a cui si costruiscono tutte le relazioni e le interazioni è la conoscenza.
Per questo viene definito, con un neologismo, che io mi auguro diventerà un leitmotiv per il web a tutto tondo,Knowmunity, una vera e propria community fondata sulla condivisione di conoscenze ed interessi.
Si riesce ad entrare in contatto con persone che hanno gli stessi interessi e competenze, per creare dei legami che possono essere di grande valore dal punto di vista personale e lavorativo.
Un social network, secondo il mio modesto parere, che permette di ottimizzare il tempo speso e di capitalizzarlo in contatti ed informazioni di pregio e sopratutto targetizzate secondo le specifiche aree di competenze.
Non sono più costretta a scremare, con pazienza da certosino e con fatica, tutto quello che viene pubblicato sui social network, ma posso affidarmi alla rete selezionata di contenuti specifici per la mia personale necessità.
Al momento dell’iscrizione si possono scegliere i contenuti da cui si vogliono ricevere aggiornamenti e che sono ripartiti secondo piccole aree semantiche.
Attraverso l’algoritmo di Twoorty viene categorizzato ogni contenuto pubblicato con un sistema di analisi e ricerca che si fonda su 8 milioni di termini della lingua italiana.
Sulla base di quanto selezionato inizialmente come interessi si ricevono aggiornamenti, solo ciò di cui ci interessa realmente.
Il gradimento e la pertinenza dei post e degli interventi viene comunicata tramite dei cuori, da uno a tre cuori per manifestare interesse e gradimento, un dislike per un parere negativo.
Anche i signoli utenti hanno una scala di rating per recensire il loro contributo e l’interesse e peso che ha avuto su Twoorty.
“Il rating generale Utente
E’ un rating assegnato globalmente all’utente e che indica il valore complessivo che la community attribuisce all’utente in termini di partecipazione, originalità e qualità dei contenuti pubblicati.”
Viene dato un grande peso alla qualità, ed alla originalità dei contenuti pubblicati, ed io aggiungerei, finalmente un social network che restituisce un pò di valore ai contenuti ed alle persone che hanno realmente qualcosa di cui vogliono parlare e non si prodigano solamente per l’autompromozione.

Esercizi commerciali su Twoorty

Ad ogni modo Twoorty lascia spazio anche agli esercizi commerciali, che possono registrarsi e promuovere le loro iniziative tramite volantini digitali, per lasciar cogliere agli utenti opportunità commerciali o offerte.
Sulla bacheca dell’attività commerciale è possibile pubblicare opinioni, foto,video, link ed articoli redatti dall’esercizio stesso.
Naturalmente anche qui sussiste il rating, sia sulle promozioni ed iniziative, che globalmente, come sintesi dei giudizi ricevuti dalle singole Promozioni ed Iniziative promosse dall’Esercizio.
Ottimo il sistema di vigilanza per evitare comportamenti commercialmente scorretti, infatti Twoorty
“con un sistema automatico blocca i Volantini Digitali che non costituiscono una reale opportunità per gli utenti o che sono pubblicati da quegli esercizi il cui rating è sceso, in modo permanente, al di sotto di una determinata soglia”.
Ci sono dei vantaggi sfruttabili dall’attività commerciale, Twoorty consiglia costantemente ai propri utenti gli Esercizi ed Iniziative che sono state giudicate le più interessanti dalla community, in linea con gli interessi del singolo utente e che sono geograficamente più vicini.

Twoorty ed il tuo blog

Grazie all’aggegazione dei feed è possibile inserire sul personale blog un codice, e così tutti i post pubblicati sono inseriti automaticamente su Twoorty, ciò consente il collegamento sul social network e di avere persino una scansione per argomento di tutti i post, un lavoro assolutamente unico e che non richiede alcuno sforzo!

Twoorty come piazza per il coworking o il crowfunding

Tutto su Twoorty è altamente profilato, è quindi molto più semplice ed immediato trovare persone che possono essere interessate ad un progetto, ad una collaborazione, sviluppare sinergie interessanti, o anche molto più banalmente sponsorizzarsi per le proprie competenze, che su questo social network sono ben evidenziate, e perchè no, trovare un lavoro.
Inoltre sembra ancora possibile un regno senza spam e proprio Twoorty ci ha regalato questo sogno, che avevamo smesso di sognare da un bel pò!

Conclusioni

La knowmunity vanta ora 8.000 utenti , di cui oltre 400 blogger, dovrebbe svilupparsi ulteriormente offrendo contenuti sempre più granulari ed una pubblicità mirata (a pagamento) per gli operatori professionali, che hanno a loro disposizione una platea davvero molto targetizzata!
Le novità non finiscono qui, prossimamente anche un app mobile per una geolocalizzazione mirata e su misura per noi!
Un successo sicuro nel mondo dei social e del web, io ci credo e lo sto provando in prima persona e voi?

lunedì 7 ottobre 2013

I cittadini normali hanno dfficolta' a raggiungere fine mese e Befera: "Guadagno 304mila euro, più di Obama, ma non mi sento ricco"

Befera: "Guadagno 304mila euro, più di Obama, ma non mi sento ricco"


Con meno tasse ci sarebbe meno evasione. Il presidente di Equitalia, Attilio Befera, che già nei giorni scorsi al salone della Nautica di Genova aveva già ammesso l'eccessiva pressione fiscale nel nostro Paese, ne è convinto. Ma questo non può essere una giustificazione a non pagare: "Che l'evasore sia un parassita nella socieà rispetto a chi paga le imposte è un dato di fatto", ha detto a Giovanni Minoli che lo intervistava per Radio 24nel programma 'Faccia a faccia'.  "Siamo un popolo in cui evasione fa ancora parte di una cultura e bisogna cambiarla", puntualizza lo sceriffo dell'Erario. "Bisogna insegnare agli italiani, specialmente alle nuove generazioni, che evedere non è furbizia". Per Befera "se non ci fosse Equitalia non le pagherebbe nessuno". Anzi, dice: "vorrei un aggiornamento di quei 100 miliardi di euro" di cui si parla sempre, "mi pare che qualcosa l'abbiamo recuperato, è stata abbattuta la forbice tra il reddito percepito e il reddito dichiarato". 
Lo spot contro la pressione fiscale - Befera non eslcude che possa esistere l'evasione da "sopravvivenza" come affermato nei mesi scorsi dal viceministro dell'Economia, Stefano Fassina: "Penso di sì, anche se non so bene, non essendo un evasore". Nell'intervista a Radio 24, il presidente di Equitalia non si sottrae alle domande più personali. Dice di guadagnare quanto il primo presidente della Corte di Cassazione e quindi 304.000 euro l'anno. A Minoli che gli fa notare che Obama guadagna meno, Befera risponde: "Non so quanto guadagna Obama". E alla domanda se si senta ricco, risponde "No". Del resto al netto delle tasse, nelle sue tasche rimangono poco più che 150 mila euro l'anno: questo sì che è un bello spot contro la pressione fiscale. Befera, che oltre ad essere direttore dell'Agenzia delle Entrate è anche il presidente di Equitalia, ammette di camminare "scortato" ma le eventuali paure "devono essere gestite". Minoli gli ha chiesto anche delle case: sono solo due, una a Roma e una in Abruzzo; la prima comprata con il 17% di sconto come tutti gli inquilini del palazzo. 

venerdì 4 ottobre 2013

Giovani, competenti e ‘garganici’: a loro sarà affidato il Centro Visite di Torre Mileto

Torre Mileto: affidato il servizio del centro visite

Giovani, competenti e ‘garganici’: a loro sarà affidato il Centro Visite di Torre Mileto

Il presidente dell'Ente Parco, Stefano Pecorella: "Spero si possano porre le basi per realizzare una emancipazione del territorio da tanti anni di disattenzione, di abusivismo ed occupazioni indebite"
Torre Mileto
Torre Mileto
Sarà l’Ati composta dalle associazioni “Penelope” e “Gruppo Argod” a gestire il centro visite di Torre Mileto. Un atto concreto che va a consolidare sempre di più il binomio giovani e valorizzazione del territorio che sta caratterizzando questa fase dell’Ente Parco Nazionale del Gargano sotto la guida di Stefano Pecorella.
Quelle che erano criticità stanno diventando punti di forza dell’Area Protetta. Così, dopo quelli di Oasi Lago Salso, Borgo Celano e Foresta Umbra, un altro Centro Visite diviene opportunità per giovani validi professionisti innamorati della propria terra, del Gargano, per dimostrare di essere all'altezza di promuovere le nostre bellezze paesaggistiche e naturalistiche.
Stiamo parlando di Torre Mileto, storico ed imponente avamposto di avvistamento della costa del Gargano nord, sito in agro di San Nicandro, ristrutturato ed arredato con attrezzatura informatiche e multimediali all’avanguardia per soddisfare la voglia di conoscenza delle peculiarità territoriali non solo dei cittadini dell'area ma, soprattutto, dei turisti che nelle varie stagioni attraversano il Parco Nazionale del Gargano.
A gestirlo sarà un pool di giovani sannicandresi riunitisi in un’ATI composto dall’Associazione ‘Penelope’ e dal ‘Gruppo Argod’, guidata da Giovanna Soccio. "Sono soddisfatto, assieme al sindaco di San Nicandro, Pier Paolo Gualano, per aver consegnato il centro visite del Parco a Torre Mileto ad una associazione che  ha manifestato, nei suoi componenti, grande consapevolezza e voglia di impegnarsi per diffondere la cultura della tutela ambientale e di promozione delle nostre eccellenze paesaggistiche, monumentali, archeologiche, storiche”, dichiara il presidente.
“Con questo affidamento spero si possano porre le basi per realizzare una emancipazione del territorio da tanti anni di disattenzione, di abusivismo ed occupazioni indebite che lo hanno consegnato alle più pericolose logiche di investimenti speculativi, i cui nefasti risultati sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo aggiunto un altro tassello al mosaico della strategia di valorizzazione del nostro territorio." Il Centro Viste avrà un orario minimo di apertura al pubblico: dal 1 giugno al 30 settembre con un orario di 4 ore giornaliere dal lunedì al venerdì e 8 ore nei fine settimana e giorni festivi ad esclusione del 15 agosto; nel restante periodo tutti i fine settimana e giorni festivi, ad esclusione dei giorni dall’1 al 6 gennaio, Pasqua e lunedì dell’Angelo, 1 e 2 novembre, 8 dicembre e dal 24 al 31 dicembre, con un orario di almeno 4 ore giornaliere.


mercoledì 2 ottobre 2013

Missione compiuta Giovani, addio lavoro: spezzare l’Italia

Giovani, addio lavoro: spezzare l’Italia, missione compiuta


Allarme, dramma, tragedia. Sono i vocaboli con cui giornali, sindacati e Confindustria definiscono la catastrofe della disoccupazione indotta dalle politiche di rigore volute da Bruxelles. In Italia quasi un giovane su due non ha lavoro e, nel complesso, gli italiani disoccupati sono oltre 3 milioni. Un dato in continuo aumento: situazione desolante, fotografata dall’Istat e da Eurostat. Un record storico, addirittura, per i giovanissimi tra i 15 e i 24 anni: la massa dei senza lavoro supera il 40%, raggiungendo una soglia mai toccata dal 1977, anno d’inizio delle rilevazioni trimestrali. Peggio di noi, solo Spagna e Grecia. E’ la resa del Sud Europa al micidiale “economicidio” decretato dall’Eurozona: niente moneta sovrana e quindi tagli alla spesa pubblica, terremoto sul sistema di welfare, frana del credito, crollo dei consumi, agonia delle aziende e lavoratori a spasso. Da Monti a Letta, la musica non cambia: anzi, rispetto allo scorso anno la disoccupazione è cresciuta ancora, dell’1,4%, mentre la politica non accenna a riconoscere la causa del problema.
Buio pesto anche dai sindacati, che si limitano a registrare la gravità della situazione senza avanzare nessuna analisi. Luigi Angeletti, della Uil, non Saccomanni e Lettatrova di meglio che invocare una generica «crescita economica», sostenuta da «un governo che prenda decisioni». Per il collega della Cisl, Raffaele Bonanni, serve «un sussulto di responsabilità». Obiettivo, allentare la pressione fiscale sul lavoro. Con che soldi? Non è dato saperlo. Non una parola, dai sindacati, sulla tragedia del sequestro europeo della sovranità finanziaria. Con un lessico analogo, che in altre circostanze sarebbe comico, il vicepresidente di Confindustria, Aurelio Regina, sostiene che serve «un governo che lavori per consentire l’aggancio dell’Italia alla ripresa». Tradotto: meno tasse su lavoro e aziende, per riattivare i consumi. Peccato che il ministro dell’economia sia l’ex banchiere centrale Fabrizio Saccomanni, fedele interprete delle direttive Ue. Nonostante ciò, Regina chiede che nella “legge di stabilità” – la mannaia con cui Bruxelles condanna i suoi sudditi, in primis l’Italia – il governo «dia spazio a un deciso taglio del cuneo fiscale», perché Aurelio Reginail paese «ha bisogno di risposte urgenti». 
Secondo il Cnel, i ragazzi italiani che hanno di fronte questo sfacelo, prodotto dal mix infernale tra globalizzazione selvaggia e smantellamento della democrazia (il golpe finanziario chiamato Eurozona), si vedono costretti ad essere «più attivi, ma più disoccupati». Non si arresta il fenomeno dei Neet (“not in employment, education or training”): la quota di ragazzi che non hanno un’occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione si attesta al 23,9% della popolazione giovanile, con punte di 35% nelle regioni del Mezzogiorno, rileva il “Fatto Quotidiano”. Più attivi sul mercato, ma più disoccupati o sotto-inquadrati rispetto ai livelli di istruzione conseguiti, i giovani confermano ancora una volta il vuoto che esiste tra i risultati del sistema formativo, la domanda di lavoro e il progressivo incremento del fenomeno dell’over-education. «I giovani sono inoltre più frequentemente working poor, lavoratori a basso salario, che accettano condizioni lavorative che li espongono al rischio di indigenza, pur di entrare nel circuito produttivo». In Europa, sta meglio solo la Germania coi suoi satelliti (Austria, Lussemburgo), cioè l’economia basata sull’export che – proprio grazie all’euro – in dieci anni h

Salvare l’Italia? Dimentichiamoci Letta, Renzi e Berlusconi

Salvare l’Italia? Dimentichiamoci Letta, Renzi e Berlusconi


La parola d’ordine è una sola: vincere. Così Mussolini dal fatale balcone, tanti anni fa. Oggi che il Duce non c’è più, resta comunque una parola d’ordine – un’altra: sopravvivere – ed è sempre l’indizio di un gioco truccato. Chi parla per proclami, oggi più di ieri, sta barando: sa benissimo che la verità è lontana anni luce dalle parole. Non solo non si può “vincere”, ma non si può più nemmeno sopravvivere. E’ matematico, pallottoliere alla mano: se non hai più moneta da creare e quindi da spendere, e se ormai è lo straniero a gestire addirittura la tua borsa, le speranze di continuare a galleggiare – lavoro, consumi, servizi – sono ridotte a zero. La beffa suprema è che la verità seguita e restare fuori dalla porta, oscurata con zelo dai mattatori della disinformazione, oscuri manovali e pallidi eredi del Solista del Balcone. Agli ordini delle grandi lobby che dominano le comparse della democrazia – cartelli elettorali e semi-leader, sindacati e ras industriali complici della finanza – giornali e televisioni parlano di Letta, Napolitano e Berlusconi come di autorità politiche in grado di gestire davvero la crisi italiana, senza mai neppure domandarsi da dove venga, questa maledettacrisi.
La parola tabù, mai pronunciata nei momenti che contano, è sempre la stessa: moneta. Ci è stata sottratta, la moneta, con un gioco di prestigio che Mussoliniaveva in palio un grandioso traguardo civile, l’unificazione storica del continente che insieme a Galileo, Leonardo e Voltaire seppe partorire lo schiavismo e il colonialismo, le guerre di religione, il nazifascismo, la Shoah e due conflitti mondiali. Risultato: all’inizio degli anni ’90 abbiamo applaudito, mentre ci sfilavano di tasca il portafogli. Ancora non lo sapevamo, ma i padroni della Terra avevano già capito che la breve festa del dopoguerra – lo sviluppo, il progresso, il benessere, i diritti – era praticamente finita. Era terminata, la ricreazione, anche nella critica trincea italiana, il paese del “miracolo” che – grazie al debito pubblico dosato in modo strategico – aveva raggiunto risultati straordinari in brevissimo tempo, nonostante la forte corruzione della classe politica, tollerata perché indispensabile a cementare il sistema atlantico in funzione anti-Urss.
Così, sorridemmo sollevati alla caduta del Muro di Berlino, anche perché l’alba della nuova era sembrava sorvegliata dalla presenza rassicurante di un grande della storia come Mikhail Gorbaciov. Appena qualche anno dopo saltarono in aria Falcone e Borsellino, mentre i reggenti della transizione avevano appena ceduto lo scalpo dell’Italia – cioè il nostro – all’assise di Maastricht. Oggi, vent’anni dopo, del panfilo Britannia con a bordo Mario Draghi e gli squali della finanzaparassitaria anglosassone parlano liberamente, in seconda serata, Gianluigi Paragone e Loretta Napoleoni, mentre – nel giorno del crac della larghe intese – Lucia Annunziata chiede invano al preoccupato Enrico Mentana che si racconti finalmente tutta la storia degli Illuminati, il grande retroscena dei veri clan onnipotenti, la filiera delle svendite e delle cessioni-fantasma che si snocciola ininterrotta fino ai nostri giorni con le vicende Telecom e Alitalia, infrastrutture nazionali finanziate con glorioso ed efficiente debito pubblico per fare Gorbaciovdell’Italia un paese moderno, una delle prime 7 economie mondiali.
Tutto finito, da tempo: non solo perché Slovenia e Croazia non sono più nemiche dell’America, ma anche perché potrebbe diventare atlanticamente inaffidabile persino la docile Italia, così come la Grecia e le altre vittime sacrificali dell’Eurozona, se solo diventasse un po’ più amica della Russia, cioè del maggior forziere energetico di tutta la latitudine eurasiatica. Meglio tenerla al guinzaglio, l’Europa, magari premiando l’immancabile kapò tedesco – ovviamente a insaputa dei tedeschi stessi, a cui provvede la relativa disinformazija, quella che racconta loro, mentendo, che il Sud Europa è un continente di irresponsabili scrocconi. Vedono lungo, i signori della Terra: una sfera orbitante che ormai ospita sette miliardi di esseri umani non può più essere il paese della cuccagna per il “miliardo d’oro”, anche perché l’impero occidentale declina, i Brics reclamano la loro parte e all’orizzonte c’è un subcontinente sterminato che si chiama Cina.
Acqua e cibo, clima e terra. I limiti dello sviluppo smentiscono la fiaba della crescita infinita, su cui si basa l’ottuso credo bugiardo di tutti gli addetti alla narrazione ufficiale, quelli che hanno sempre sparso nebbia sulla scienza dell’economia, come fosse un’arte magica per iniziati, incomprensibile e fuori dalla portata dei comuni mortali. Il loro capolavoro: farci credere che il debito dello Stato sia paragonabile a quello di famiglie e aziende – che, a differenza dello Stato, il denaro non possono crearlo dal nulla, ma solo guadagnarlo. I dominus sono abilissimi nell’arte della prevenzione: hanno annientato le vecchie barricate, smantellato le opposizioni, accecato e comprato gli avversari, plastificato l’immaginario collettivo, desertificato le coscienze pubbliche. Oggi sono in grado di presentare la cosiddettacrisi come un evento ciclico, una calamità naturale inevitabile e rimediabile solo con la sottomissione, la tolleranza illimitata del disagio crescente. Fino all’estrema depravazione italiana: prima il brutale gauleiter Monti, poi le larghe intese fangose tra gli ultimi boss di una sotto-casta di affannati Jorge Mario Bergogliocamerieri, tra i quali già si fa largo il sorriso impaziente dell’ultimo erede dinastico, Matteo Renzi.
Mentre il regime del pensiero unico presidia ancora saldamente la comunicazione, è proprio l’urto della crisi economica a spalancare nuovi crateri nel tessuto sociale, seminando innanzitutto paura. Il frangente è feroce e richiede parole adeguate, ferme e inequivocabili: le trova coraggiosamente un uomo soltanto, il Papa di Roma. Verità dolorose, pronunciate in solitudine da Jorge Mario Bergoglio, di fronte all’indecente silenzio di partiti e ministri, politici e sindacalisti. Tutti gli altri, gli attivisti estranei al circuito, i potenziali costruttori dell’alternativa – italiana e necessariamente internazionale, almeno europea – appaiono ancora dispersi, ognuno concentrato su singoli aspetti della catastrofe incombente: le malefatte delinquenziali del piccolo clan nazionale di potere, la grande tragedia della carenza di energia e materie prime, la relativa geopolitica della guerra, il disastro ambientale dietro l’angolo: secondo l’Onu, entro cent’anni il clima impazzito solleverà i mari fino a sommergere le città rivierasche.
Al centro della scena, naturalmente, resta l’aspetto più pratico e immediato della sciagura, la piaga della disoccupazione che rivela la gravità della cosiddetta crisi economico-finanziaria dell’Occidente: da una parte l’Eurozona, con gli Stati privati della loro moneta e quindi costretti a tosare i cittadini, e dall’altra Londra e Washington, che invece il denaro continuano giustamente a fabbricarlo. Peccato però che quello stesso denaro venga usato dallafinanza per taglieggiare gli sventurati che la sorgente del denaro l’hanno perduta. A noi, i paesi dell’Eurozona, si impongono tangenti su un debito pubblico non più sovrano ma comprato e venduto a tasso di usura, con la piena collaborazione della Bce (quella di Mario Draghi, l’uomo del Britannia) che in virtù del trattato-capestro di Maastricht continua a negare Draghialle nostre repubbliche il legittimo accesso alla moneta, ovvero l’ossigeno necessario a produrre investimenti, lavoro, consumi, benessere.
La prima alternativa imprescindibile, per evitare che la situazione precipiti definitivamente nella disperazione, è quella della parola: servono narrazioni oneste, spiegazioni chiare e sincere. Solo oggi emerge appieno il ruolo-chiave delle élite nelle nostre recenti disavventure, in realtà frutto di una oscura e accurata premeditazione almeno trentennale. E il peggio, dice uno storico dell’economia come Giulio Sapelli, non è neppure lo strapotere occulto dei grandi clan mondiali: il peggio è che persino loro hanno ormai smarrito la bussola, e quindi ci aspettano turbolenze mai viste. Quelle, peraltro, a cui stiamo cominciando regolarmente ad assistere. In condizioni di crescente pericolo, in cui la pace sociale potrebbe rapidamente crollare anche in Italia al livello greco, servirebbe quindi uno sforzo straordinario per unire forze e costruire alleanze attorno a un’intelligenza collettiva democratica, in grado di affrontare l’emergenza nella quale stiamo sprofondando.
Punto primo: pervenire finalmente a una lettura univoca e condivisa della grande crisi, che è la somma di più crisi. Da sola, la riconquista di una sovranità politico-monetaria non può risolvere il dramma storico della grande recessione, la fine della crescita occidentale. Per contro, senza potere di spesa pubblica non è neppure lontanamente pensabile nessun programma di investimento capace di costruire futuro. Verissimo: senza gli F-35 e la linea Tav Torino-Lione si potrebbero aprire centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma i disoccupati sono milioni. Per il loro futuro, cioè il nostro, serve una riconversione generale dell’economia: lavoro utile e pulito, nei settori chiave dell’energia rinnovabile, dell’edilizia verde, dei servizi alla persona e delle filiere corte. Una riconversione efficace, sostenuta da uno Stato sovrano funzionante e democraticamente governato, con pieno potere di spesa. Tutto si può fare, ma servono soldi: i nostri, quelli che ci hanno sottratto a Maastricht, a tradimento. Ovviamente, in televisione non se ne parlerà neppure stavolta. Ma sarà bene che qualcuno cominci a farlo: qui si tratta di salvare l’Italia, non il destino di Letta, l’avvenire di Renzi o la malinconica vecchiaia di Berlusconi.

Larghe intese e larghi affari, a cominciare dal magico Tav

Larghe intese e larghi affari, a cominciare dal magico Tav


Si fingono avversari in televisione, ma dietro le quinte sono amici. Anzi: soci. Negli ambienti giudiziari la chiamano «larga intesa degli affari». Destra e sinistra: «Tutti insieme appassionatamente, in un gioco abilissimo e sotterraneo di nomi e prestanome», rivela Lirio Abbate in un reportage su “L’Espresso”. Professionisti e tecnici, segretari di partito e ministri, capi-corrente, deputati e senatori. «I pupari e le marionette. Per muovere affari di milioni, velocizzare pratiche di appalti pubblici, approvare decreti per favorire imprese amiche, cambiare componenti di commissioni di vigilanza e authority». Di fatto, questo significa «svuotare le istituzioni e piegare le regole democratiche in uno spoil system che genera un sistema viziato», che diventa «un magma rovente che fonde gli appetiti meno nobili, una suburra in cui tutti si scambiano favori e dialogano per concretizzare interessi senza badare a casacche e stemmi di partito», a cominciare dalla madre di tutti i subappalti, la famigerata Tav.
E’ l’inchiesta di Firenze sull’alta velocità, costata l’arresto a Maria Rita Lorenzetti, esponente Pd e presidente di Italferr nonché ex governatrice Anna Finocchiarodell’Umbria, a far emergere la “larga intesa degli affari”. Prima ancora che nascesse l’esecutivo Letta, racconta Abbate, lungo l’alta velocità andava già in scena una “grosse koalition” tessuta da personaggi che si presentano come uomini di fiducia e consulenti di esponenti politici di primissimo piano, amici di Massimo D’Alema e Marcello Dell’Utri, Anna Finocchiaro e Angelino Alfano. «Al centro di questo giro c’è un geologo siciliano del Pd, Walter Bellomo, arrestato dai carabinieri del Ros di Firenze». Componente della commissione per la valutazione dell’impatto ambientale del ministero dell’ambiente, secondo gli inquirenti ha avuto un ruolo strategico: facilitatore di appalti. I pm scrivono che «ha tenuto una condotta assolutamente spregiudicata, svendendo la propria funzione non in maniera occasionale ma permanente», mettendosi «a disposizione del gruppo criminale» di cui faceva parte anche la Lorenzetti.
«Non molleranno, sul Tav, perché è il bancomat dei partiti», accusa il leader No-Tav valsusino, Alberto Perino. Le indagini di Firenze sembrano dimostrarlo con assoluta precisione. Per il Pd, quelle di Bellomo erano azioni «meritevoli di riconoscimenti», al punto che il funzionario “strategico” venne presentato alla senatrice Anna Finocchiaro, con la quale avviò un dialogo spesso mediato dal consigliere politico dell’esponente dalemiana, Paolo Quinto. «L’ex capogruppo delPd al Senato – continua Abbate – negli ultimi due anni si è mossa spesso per favorire Bellomo: intercedendo con l’allora ministro Corrado Clini perché lo riconfermasse nella commissione Via, o tentando anche un pressing sul governatore siciliano appena eletto, Rosario Crocetta, suggerendolo come assessore». Questo, ovviamente, avveniva nell’ombra. Alla luce del sole, invece, Anna Finocchiaro si espose nel febbraio 2012 per elogiare il giovane carabiniere che, in valle di Susa, evitò di reagire alle provocazioni di un No-Tav che l’aveva chiamato “pecorella”. Un clamoroso polverone mediatico, per tentare di far dimenticare il fretta l’incidente quasi mortale appena occorso all’anarchico Luca Abbà, precipitato dal traliccio sul quale si era D'Alema con la Lorenzettiarrampicato per protesta.
Un anno e mezzo dopo, ecco che – più che di “pecorelle” e insulti – il gioco è fatto di maxi-appalti di cui non c’è da andare fieri. «Dalle carte degli inquirenti – prosegue il reportage dell’“Espresso” – emergono dettagli interessanti. Si comprende che Bellomo ha mire politiche e pensa, in base alle promesse e ai complimenti che riceve dall’ambiente del Pd, di poter aspirare a un’importante carica istituzionale. Dopo le ultime elezioni ne parla con l’ingegner Mauro Patti, altro componente della commissione Via, amico e testimone di nozze del ministro dell’interno Angelino Alfano». Bellomo e Patti, come annotano gli inquirenti, «sembra che abbiano affari in comune relativi a coinvolgimenti in progetti oggetto di valutazione della stessa Via di cui fanno parte», tra cui un Club Med a Cefalù. Il Ros intercetta la loro conversazione: è dicembre 2012 e i due prima scherzano sull’esito delle primarie del Pd e poi Mauro Patti si sbilancia, ritiene molto probabile che Bellomo possa essere chiamato a ricoprire l’incarico di sottosegretario: «È capace che tu vai a fare il sottosegretario, compà! all’ambiente». Bellomo si compiace e non esclude l’ipotesi: «Tutte le porte sono aperte, diciamo che la Finocchiaro è questo che vorrebbe che io facessi… però non è che lei ha solo me, c’è tutta una squadra da mettere in campo».
La Lorenzetti ha rivelato che durante il governo Monti alcune nomine istituzionali venivano decise ancora da Gianni Letta, l’ex sottosegretario di Berlusconi. «Ne parlò con il consigliere politico della senatrice Finocchiaro, il quale non apparve scandalizzato». Sempre la Lorenzetti puntava all’Authority dei Trasporti, per la quale però – secondo Enrico Letta – suo zio Gianni puntava su Pasquale De Lise, ex presidente del Consiglio di Stato. Così la Lorenzetti al telefono con il consigliere della Finocchiaro: «Secondo me devono acchiappare qualcuno del Pdl. Se la linea è quella che diceva Anna (Finocchiaro ndr) che Letta le ha detto, bisogna che ‘chiappino questi del Pdl, ma in particolare Gianni Letta. Me lo diceva ieri durante una Gianni ed Enrico Lettatelefonata imbarazzata Enrico Letta. Da parte sua ovviamente l’imbarazzo che suo zio, Gianni Letta, non vuole sentire ragioni a mollare De Lise».
Walter Bellomo, continua “L’Espresso”, lo scorso gennaio era intenzionato a giocarsi tutto pur di trovare un posto in lista per le elezioni nazionali. In Sicilia ilPd aveva eliminato dalle candidature Wladimiro Crisafulli e Antonio Papania. Il geologo pensava che, con tutti i favori politici assicurati, fosse la volta buona per approdare in Parlamento. Decise di puntare su un referente nuovo, Roberto De Santis, un imprenditore considerato molto vicino a Massimo D’Alema. Per Bellomo il tramite è un collega del ministero dell’ambiente, Giuseppe Chiriatti, che assicura il suo interessamento per procurare il contatto con De Santis: «Faccio io». Dopo un paio di ore è tutto fatto, scrive Abbate: «L’amico di D’Alema è disponibile a incontrare Bellomo». Dalle intercettazioni «emerge l’esistenza tra i due di un rapporto di confidenzialità se non di amicizia». De Santis non è un politico, ma avrebbe potuto introdurre Bellomo a D’Alema. «E a proposito di grandi alleanze – scrive Abbate – occorre ricordare che nel consiglio di amministrazione della società svizzera Avelar, che commercializza metano, Roberto De Santis sedeva accanto a Massimo De Schifani e AlfanoCaro, che le cronache giudiziarie indicano molto vicino a Marcello Dell’Utri».
Lorenzetti & C. vanno in fibrillazione anche nel luglio 2012, perché si ventila il taglio dei posti dei cda nelle società parastatali. «È una persona molto vicina a Renato Schifani (all’epoca presidente del Senato) ad avvertire la presidente di Italferr della manovra del governo. Lorenzetti sembra nel panico – continua “L’Espresso” – e chiama subito il consigliere politico della senatrice Finocchiaro, al quale espone “il pericolo” a cui vanno incontro: il taglio di manager nella pubblica amministrazione». Il consigliere della Finocchiaro tenta di consolare Lorenzetti: «Ho parlato con Anna e ho due novità: uno che si interesserà personalmente con Schifani per sapere se questa cosa è vera, però lei non ne sa nulla. Sicuramente nel partito non c’è stata nessuna discussione e quindi non è una linea del partito. È una linea del governo Monti, di Bondi, il super-consulente di taglio delle spese degli enti pubblici. Il partito non ha fatto assolutamente nulla. Assolutamente non è niente di certo». Così parlano, intercettati, i personaggi-ombra dei politici che, in televisione, raccontano di voler salvare l’Italia.