lunedì 30 luglio 2012

Una Mediobanca forte non avrebbe mai accettato la fusione Unipol Fonsai


 Mediobanca e quell’aria di epurazione

lunedì 30 luglio 2012
FINANZA & POLITICA/ Mediobanca e quell’aria di epurazioneInfophoto
Sale l’aria di epurazione da 25 aprile, con tutti i partigiani dell’ultimissima ora, i trasformismi disperati e le speculazioni da Borsa nera, i tribunali del popolo già in via di auto-convocazione e la voglia di esecuzioni sommarie. Venerdì sera - in contemporanea con la mondovisione olimpica da Londra - pochissimi avranno visto La Grande Storia, su Raitre: “Si salvi chi può. I conti con il fascismo”. Era comunque in prima serata: una dettagliata inchiesta-vademecum sulla “rivoluzione incompiuta” dopo il 25 luglio ‘43.
Senza risparmiare il “responsabile” leader del Pci Togliatti, veniva veicolata una curiosa tesi “para-revisionista” sul governo (tecnico) del maresciallo Badoglio: fu presto spazzato via - diceva il parlato sulle immagini - perché la sua compromissione con il regime mussoliniano fu subito confermata dall’esitazione nell’avviare il “piazza pulita” contro il regime. E poco conta - anche a distanza di settant’anni - che lo stesso Alto commissario all’epurazione, il conte repubblicano Carlo Sforza, riconoscesse per primo che “epurare” il fascismo, in concreto, significasse decretare la morte (civile) della larghissima parte degli italiani. Le “purghe” funzionano nelle dittature ideologiche e arcaiche come lo stalinismo negli anni ‘30, non nelle società liberali, per quanto “imperfette” com’è sempre stata l’Italia.
Anche il recentissimo manifesto elettorale “Fermare il declino”, patrocinato da Oscar Giannino, si apre con un’inappellabile “dichiarazione di fallimento” della “classe politica emersa dalla crisi del 1992-94”: l’ultimo “ventennio” della storia patria. L’immancabile qualunquismo “gianniniano” - nell’Italietta di inizio ventunesimo secolo come in quella dell’immediato dopoguerra - si affretta però a sottrarre alla condanna storica “poche eccezioni individuali”.
Sarebbe curioso apprenderne qualcuna per nome: forse l’attuale presidente della Bce, Mario Draghi, il “privatizzatore del Britannia”? L’ex presidente della Fiat e di Confindustria, Luca di Montezemolo? Lo stesso Giannino, giornalista ubiquo nel “ventennio” tra La Voce Repubblicana e Libero; fra il Riformista e Tempi, fra Finanza e Mercati e Radio24? O addirittura il premier Mario Monti, inviato per la prima volta commissario all’Ue dal primo esecutivo Berlusconi? Non sorprende, comunque, che Repubblica abbia subito gettato il rassemblement in formazione nel più ampio cartello-calderone che - negli intenti - dovrebbe dare una base politica propria a Monti, di fatto candidato premier in vista di una larga coalizione post-elettorale. Ma i “cattolici di Todi” (quanti?) voteranno davvero assieme ai “gianniani” (quanti?)? E l’Udc di Pierferdinando Casini si accoderà con le sue truppe e gli interessi finanziari che lo sostengono? E Monti, infine, vorrà davvero essere il leader politico di questo “piccolo compromesso”, quanto “storico” lo si vedrà?
Nel frattempo, il vento dell’epurazione sembra soffiare più forte anche su Mediobanca. La sconfitta riportata contro il gruppo Salini nel “testa a testa” finale in assemblea Impregilo è oggettiva: per di più è costata la presidenza a Fabrizio Palenzona, vicepresidente di UniCredit, uomo forte in Piazzetta Cuccia nel proteggere una sostanziale continuità dopo la morte di Enrico Cuccia, la brusca fuoriuscita di Vincenzo Maranghi e i tentativi di Cesare Geronzi di ridimensionare il management interno (Renato Pagliaro e Alberto Nagel). Questa stessa continuità, tuttavia, ha - altrettanto oggettivamente - trasformato in un “cahier des doléances” quello che per decenni era stato - o almeno sembrato - un forziere pieno di tesori.
Sotto i riflettori, in queste settimane, la metastasi del gruppo Ligresti: per la prima volta nella sua storia, Mediobanca si è ritrovata a subire, non a imporre le sue posizioni multiple (azionista, partecipata, creditrice, advisor). I fari imbarazzanti della Procura sulla faticosissima fusione-salvataggio fra FonSai e Unipol sono solo un riflesso mediatico-giudiziario di problemi strutturali, squisitamente finanziari e imprenditoriali.
Più simbolica, ma non meno rilevante, la crisi delle Generali: la grande compagnia non solo ha costretto per la prima volta la banca d’affari controllante ad accusare minusvalenze sulla partecipazione, ma ha forzato il management Mediobanca a estromettere il loro “fratello di latte” al vertice del Leone. E Giovanni Perissinotto è stato per la prima volta sostituito con un top manager esterno alla tradizione triestina (Mario Greco).
E Telecom? Dopo aver protetto l’Opa di Colannino, nel ’99 e la lunga parentesi di Tronchetti Provera, Mediobanca è ora uno dei custodi del binario morto in cui arrugginisce un’ex Azienda-Paese. Mentre Rcs - di cui Piazzetta Cuccia resta azionista-leader - è sempre meno “media company” e sempre più specchio della guerriglia feudale fra i potentati finanziari del Paese. Metafora ultima di una Mediobanca “in cerca d’autore” è stato il singolare armistizio siglato - nella sala-convegni di Piazzetta Cuccia - con gli stati maggiori delle Fondazioni bancarie italiane.
Un approccio “epurativo” duro e puro difficilmente risparmierebbe Mediobanca, oggi, dal finire appesa in Piazzale Loreto: certamente è questo il punto di vista di una delle firme di punta del manifesto gianniniano, l’ultra-liberista Luigi Zingales. Ma chissà se Giannino - antico figlio della vasta “famiglia allargata” che ha sempre avuto in Via Filodrammatici il suo tempio focolare - “epurerebbe” davvero l’istituto che fu di Enrico Cuccia in nome delle “eccezioni individuali”. Anzi: forse la categoria dell’“eccezione individuale” è stata pensata proprio attorno a Cuccia, caso esemplare di transito indolore e vincente da una ventennio all’altro.
Funzionario della Comit salvata di peso da Mussolini attraverso l’Iri durante la crisi degli anni ‘30, Cuccia lavorò anche agli uffici valutari del sottosegretariato alle Colonie. Ciò non gli impedì - in pieno periodo “epurativo” - di partecipare alla famosa missione italiana del 1944 negli Stati Uniti, guidata dal Egidio Ortona, fino ad allora alto diplomatico mussoliniano a Londra, transitato nei ranghi badogliani.
Mediobanca, fondata nel 1946, nasce in realtà quei mesi fra New York e Washington, assieme a un nuovo reticolo di relazioni economiche “atlantiche” della futura Repubblica: tessute da uomini come Cuccia e Raffaele Mattioli, che nel ventennio “fallito” avevano costruito le loro carriere. Sui libri di storia - sempre transitori - resiste l’idea che quel sistema di banche Iri fu decisivo - anche se non da solo - per la ricostruzione industriale e il boom. E andrebbe sempre ricordato che nei primi anni il presidente del collegio sindacale di Mediobanca era Giordano Dell’Amore, cattolicissimo rettore della Bocconi e poi presidente della Cariplo: mezzo secolo prima che le Fondazioni puntellassero l’azionariato e il management di Mediobanca.

Bossi/ dopo quello che hai combinato parli ancora di seccessione??è meglio che i ladri come te vadano via dall'italia

Bossi: non possiamo restare in Italia, secessione


 

 

GOLASECCA (VARESE) - Di fronte a quello che considera il fallimento dello Stato italiano, il presidente della Lega Umberto Bossi e' convinto che ''il punto di non ritorno e' gia' passato, non possiamo restare in Italia: c'e' solo una strada, la secessione''. Bossi lo ha detto intervenendo a una festa del Carroccio in provincia di Varese.
''Abbiamo chiamato una societa' americana per controllare i conti della Lega e finora non e' emersa alcuna mancanza''. Lo ha detto il presidente della Lega Umberto Bossi, che a una festa del partito in provincia di Varese ha ribadito la sua convinzione che le inchieste siano state frutto di un complotto e che nella revisione affidata alla PriceWaterHouse non siano emerse criticita' come invece risulta da un rapporto consegnato nei giorni scorsi alla Procura di Milano (benche' Bossi non ne abbia fatto cenno).

Berlino, la crisi divide il governo il ministro dell'Economia sfida Merkel

Berlino, la crisi divide il governo
il ministro dell'Economia sfida Merkel

Il presidente della Bce Mario Draghi

 

Eurotower sotto pressione dopo le parole di Draghi. In arrivo
un vertice con la Bundesbank.
Roesler: la Bce sia indipendente

ROMA
L' uno-due assestato alla speculazione da Draghi prima e da Merkel-Hollande poi con le dichiarazioni a sostegno dell'euro ha riportato un po' di calma sui mercati. Ma la strada da percorrere per ridare stabilità all'eurozona è ancora lunga e resta in salita, come dimostra l'altolà alla Bce arrivato oggi dal ministro dell'Economia tedesco Philipp Roesler, che nella partita tutta interna alla Germania tra falchi e colombe si schiera con la Bundesbank: «La Bce deve restare indipendente", il suo compito è assicurare la stabilità dell'euro, non finanziare l'indebitamento degli Stati, ha avvertito.

A Bruxelles, tra la ristretta pattuglia di funzionari e diplomatici rimasti a presidiare istituzioni già in clima vacanziero, si respira un clima di attesa alla vigilia di un'altra settimana densa di incognite e appuntamenti importanti.

Nei prossimi giorni il presidente del Consiglio Mario Monti volerà prima a Parigi e poi a Helsinki, per approdare infine a Madrid, per un tour che si inquadra nella girandola di incontri e contatti tra le cancellerie per dare seguito alle decisioni del vertice Ue di giugno sullo scudo anti-spread e l'unione bancaria. Mentre il presidente della Bce - che affila le armi per combattere la speculazione - incontrerà il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner e il collega della Bundesbank, Jens Weidmann, prima della riunione del Consiglio dell'istituto di Francoforte, fissata per giovedì, su cui sono puntati tutti i riflettori.

Nel frattempo si vedrà se la tregua tra speculazione e eurozona reggerà. C'è chi dice che dietro la dichiarazione congiunta franco-tedesca ci sia un finalmente ritrovato spirito comune che testimonia la volontà politica di Angela Markel e Francois Hollande di sostenere insieme l'Europa. Ma la Spagna continua ad essere fonte di grande preoccupazione e instabilità. Ed anche se il ministro delle Finanze tedesco Walfgang Schaeuble ha oggi categoricamente smentito che esista un piano per l'acquisto di titoli pubblici spagnoli da parte del fondo salva-Stati Efsf, in molti ritengono che solo così Madrid potrà superare le attuali difficoltà. C'è poi la questione della Grecia. Un grande nodo politico destinato ad arrivare al pettine al più tardi a settembre, che però sta già facendo sentire i suoi effetti destabilizzanti. Un gruppo formato da almeno sei Paesi è infatti fortemente contrario all'ipotesi di un nuovo salvataggio e questo scenario rilancia l'ipotesi di una possibile uscita della Grecia dall'euro. In attesa degli sviluppi della situazione, il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, sottolinea che gli eventi di questi ultimi giorni hanno dimostrato come, davanti a segnali «forti» lanciati dalla politica (Francia-Germania) e dalle istituzioni (Bce), «la speculazione fa marcia indietro. È un fatto importante che ci fa ben sperare. Bisogna far capire che c'e una strategia condivisa da tutti - istituzioni e Paesi membri - per difendere la moneta unica».

Una strategia che deve però fare i conti quotidianamente con i `distinguo´ e le prese di distanza che arrivano da più parti, in primo luogo dalla Germania. Dove il ministro dell'Economia, il liberale Roesler, già fonte di tensioni a causa delle sue dichiarazioni sulla possibile uscita di Atene dall'euro, è nuovamente sceso in campo al fianco della Bundesbank per sottolineare la sua contrarietà all'acquisto, da parte della Bce, dei titoli di Stato dei Paesi sotto attacco. Un'ipotesi che spaventa anche il settimanale `Spiegel´, il quale agita lo spettro più temuto dai tedeschi, ovvero quello di un'inflazione fuori controllo come risultato di una politica Bce troppo accomodante.

Roma i Politici non ti danno una mano per non farti coinvolgere dalla malavita organizzata/«Ex banda della Magliana diventa consulente al Campidoglio» Pd: interrogazione al ministro

«Ex banda della Magliana
diventa consulente al Campidoglio»
Pd: interrogazione al ministro

Polemiche su Lattarulo, ex Nar. Belviso: era riabilitato, si occupò del reinserimento degli ex detenuti dal 2008 al 2010

 

 ROMA - È polemica a Roma per il contratto di consulenza stipulato dal Campidoglio con l'ex componente della Banda della Magliana e dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Maurizio Lattarulo tra il 2008 e il 2010. Lattarulo ha lavorato nell'amministrazione del sindaco Gianni Alemanno come consulente per le politiche sociali a 1.500 euro al mese. «Era riabilitato», dice il vicesindaco di Roma Sveva Belviso, che è anche l'assessore interessato. «Una vergogna» secondo il segretario Pd di Roma Marco Miccoli. Belviso accusa l'opposizione di voler strumentalizzare la vicenda in vista delle elezioni comunali del 2013. Il presidente della Commissione Politiche sociali del Comune, Giordano Tredicine (Pdl), smentisce che Lattarulo sia ora il suo segretario particolare o che abbia mai lavorato con lui. 

L'opposizione attacca. Sul caso denunciato da “Repubblica” è polemica. «Ormai il Campidoglio di Alemanno è diventato una succursale lavorativa per ex terroristi di destra, fascisti e boss della malavita», dice Miccoli. La deputata romana del Pd Ileana Argentin annuncia un'interrogazione al
ministro dell'Interno. Per il senatore Idv Stefano Pedica «con Alemanno la malavita è entrata in Campidoglio». 

Athos De Luca ha presentato una interrogazione sul caso«per sapere se sono stati rispettati i requisiti morali previsti dall'art 90 del regolamento comunale sulle assunzioni». «È una vicenda che ha dell'incredibile» afferma in una nota il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli che chiede le dimissioni del sidnaco.

«Scelta inopportuna». «Ma come è possibile che il vicesindaco Belviso abbia scelto proprio il braccio destro di De Pedis per affidargli una consulenza esterna? Non si può nascondere dietro l'importanza del recupero dei detenuti e il loro reinserimento nella società per giustificare l'ennesimo scandalo che espone - ancora una volta - il Comune a attacchi e polemiche» afferma in una nota Alessandro Onorato, capogruppo Udc in Campidoglio che parla di «scelta inopportuna». 

La replica del vicesindaco Belviso. Il vicesindaco di Roma Capitale, Sveva Belviso, commenta: «Lattarulo per il reato di banda armata legata ai Nar è stato prosciolto in fase istruttoria 20 anni fa e mai gli è stato imputato alcun reato di usura così come riportato dal quotidiano. Quando l'ho conosciuto, all'inizio del mio mandato - aggiunge Belviso - si è presentato dicendo che aveva avuto problemi con la giustizia, precisamente per un reato associativo generico, e che, a quella data, nessun carico pendente risultava in tribunale e che era iniziato il suo percorso riabilitativo, conclusosi poi nel 2010 con sentenza definitiva di riabilitazione». 

«Lattarulo quindi, nel 2008, - dice la Belviso - era un cittadino come tanti, nel pieno dei suoi diritti. Proprio per il suo passato, ho pensato potesse rappresentare un esempio concreto di persona riabilitata alla quale dare un'occasione nuova di vita. Possibilità quest'ultima, fra l'altro contenuta nelle competenze dirette dell'assessorato alle Politiche sociali previste dalla Legge 381 del 1981, dedicata proprio al reinserimento lavorativo di detenuti, tossicodipendenti ed ex detenuti». 

«Si occupava del reinserimento degli ex detenuti». «Ricordo inoltre - prosegue Belviso - che le politiche a favore dell'inclusione sociale sono state e sono tutt'oggi, un fiore all'occhiello dell'amministrazione capitolina che, con la delibera 60 del 2010, ha previsto la riserva del 5% (finanziamenti riservati alle cooperative di tipo B) per le persone in stato di fragilità e per le categorie sociali sopra menzionate. È dello stesso periodo poi anche la nascita del programma Retis, progetto che ha le stesse finalità sociali». «Per quanto detto sopra - continua Belviso - Lattarulo quindi è stato inserito nello staff dell'assessorato alle Politiche sociali a tempo determinato, con uno stipendio di 1.500 euro mensili con l'incarico di occuparsi del reinserimento degli ex detenuti e dei rapporti con il garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni (padre del capogruppo del Pd in Consiglio Comunale) che, conoscendo anch'egli Lattarulo per l'incarico avuto da me, non potrà che confermare le mie parole».

«Lattarulo - ricorda Belviso - ha poi lasciato spontaneamente l'assessorato nel 2010, dicendo che aveva trovato una soluzione lavorativa più stabile. Attualmente non conosco il suo impiego lavorativo. Alla luce di quanto fin qui ricostruito, appaiono dunque davvero vergognosi e strumentali gli attacchi verso il Sindaco, che non conosce Maurizio Lattarulo, oggi riabilitato di fronte alla legge e competente nell'incarico che gli era stato assegnato, da parte di una sinistra ipocrita e falsa che prima fa dell'inclusione sociale una bandiera e poi, quando una amministrazione comunale concretamente si attiva per il reinserimento sociale degli ex detenuti, non indugia a strumentalizzare l'accaduto, citando anche notizie palesemente false».

Il Pdl. Il capogruppo del Pdl in Campidoglio, Luca Gramazio parla di «polemiche squallide e strumentali» perché «dal 2010 Lattarulo non fa più parte dello staff dell'assessore alle politiche sociali». «L'idea che una decina di parlamentari di centrosinistra, al solo scopo di fare un po' di propaganda estiva, definiscano terrorista una persona che non è mai stata condannata per terrorismo, o che parlino di un contratto circoscritto e limitato nel tempo e ampiamente spiegato e giustificato dal vicesindaco Belviso con tono sobrio e pacato con cui Caifa trattava le cause nel sinedrio, è uno spettacolo francamente penoso» dichiara il senatore del Pdl, Andrea Augello.

La Destra. «La sinistra rimprovera Alemanno per un consulente ex Nar, poi finito nella malavita. Chi assunse la Baraldini? Veltroni parla», si chiede invece il leader della Destra Francesco Storace, riferendosi alla ex terrorista di sinistra incarcerata a lungo negli Stati Uniti, poi estradata in Italia e che nel 2003 ottenne una collaborazione con il Campidoglio.

Pareri contrastanti tra i garanti dei detenuti di Roma Capitale e del Lazio. Secondo il garante dei detenuti di Roma Capitale, Filippo Pegorari, «l'iniziativa del Campidoglio è lodevole» perché il «reintegro sociale dei detenuti è un diritto costituzionale». Di parere contrario il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo il quale la Belviso fece una scelta azzardata», «faceva molte chiacchiere, ma per quello che ho potuto vedere non combinava niente