mercoledì 27 febbraio 2013

Grillo: sana e democratica rivolta di classe


Il popolo di Grillo: sana e democratica 

rivolta di classe


C’è una strana serenità che sale dopo il terremoto elettorale, retrocedendo i tonfi sui mercati e gli allarmi delle cancellerie al rango delle note di colore. Come se i problemi fossero altri, di un’altra epoca. La sorpresa che emerge è che il signor Grillo non è un mostro a tre teste né un gerarca nazista, come da anni predicavano i partiti, a iniziare dalPd, e i loro volonterosi carnefici che oligopolizzano la stampa italiana. E’ solo un libero professionista che si è appassionato del web e di temi socio-ecologici e tre anni e mezzo fa si candidò alle primarie dello stesso Pd. Che rispose come insegnavano le Frattocchie. Col solito niet, non privo di risatine e consigli a trovarseli da solo, i voti. E con la solita pacca sulla spalla che continua a elargirsi ai giovanotti, relegati per oltre 30 anni nelle “sezioni giovanili”, ovvero nella patetica coreografia della danza del giaguaro.
Soprattutto, con la solita saccente ignoranza non solo di quel che le persone estranee ai circoli dicono, pensano e soffrono, ma anche di un briciolo di Beppe Grilloanalisi marxista (che, è bene ricordarglielo tra un revisionismo e l’altro, è ritenuta ancora attendibile nella ricerca universitaria in tutto il mondo). Se alzano gli occhi scopriranno che Grillo parla essenzialmente al proletariato e (udite udite) non fa distinzione tra le categorie del lavoro, dai precari e alle partite Iva. Non sono bastati centinaia di suicidi tra i piccoli imprenditori per spiegare ai partiti di sinistra che sono dalla stessa parte, e che lo Stato si fa complice dello sfruttamento anche quando chiede agli autonomi che non arrivano alla fine del mese tasse in anticipo e ne restituisce i crediti dopo cinque anni.
La cosiddetta antipolitica è oggi palesemente la più politica delle battaglie. In altri paesi la “lotta alla corruzione” è ambigua, perché perorata dall’interesse liberistico allo smantellamento delwelfare. In Italia no, perché la “casta” è in effetti il perno, non solo delle ruberie, ma anche di quel sistema nepotistico di stampo mafioso che fa campare figli e affiliati a detrimento degli altri e del bene comune. Come già scritto su questo portale, mentre i partiti hanno conservato i potentati dell’informazione Grillo li ha combattuti nell’unico modo civile possibile, tenendosene alla larga. Dice che l’Europa, così com’è, tra vincoli fiscali e democratici (ovvero limiti di democrazia fiscale) non va bene, se non si rovescia il tavolo esplode. Lo L'invasione dei Grillini a piazza San Giovannisanno tutti, lo ha capito perfino il Fondo Monetario, che con l’austerità e l’assalto alla diligenza dei ceti deboli finisce in una rivolta di sangue. Tutti, ma non il grosso delle segreterie di partito.
Grillo parla ossessivamente di “rete”, tra battaglie contro i grandi appalti e le privatizzazioni dei beni pubblici, nonché quale chiave per il rilancio economico. In effetti è storicamente la chiave, di ogni salto di civiltà e di ogni conquista dei ceti più deboli. Non ha torto chi teme qualche rischio. Ma i rischi sono insiti a ogni cambiamento sociale, che a sinistra teoricamente si auspica. Bersani la smetta di deprimersi. Nei contesti recessivi di solito sale l’estrema destra. In Italia resta insussistente, mentre si appalesa alla luce del sole un civile conflitto di classe. Si ricordasse delle proprie origini (come ha fatto il leader di Cinquestelle), lo riconoscerebbe e lo abbraccerebbe, anziché continuare colpevolmente a ignorarlo e reprimerlo

Bravo Presidente ,finalmente hai mostrato ai tedeschi come sono gli italiani,Napolitano,no condizioni per incontro Dopo le affermazioni di Steinbrueck su risultati del voto


Napolitano,no condizioni per incontro

Dopo le affermazioni di Steinbrueck su risultati del voto



(ANSA) - MONACO DI BAVIERA, 27 FEB - ''Mi pare non ci fossero piu' le condizioni (per un incontro con il candidato premier della Spd - ndr) viste le sue dichiarazioni del tutto fuori luogo o peggio che ha fatto'', ha spiegato il presidente Napolitano ai giornalisti a Monaco di Baviera. Il capo dello Stato ha aggiunto che invece le dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble ''sono un esempio di riserbo e rispetto''

Scoperto e denunciato falso cieco Per sette anni ha percepito indennita' da Inps per 50 mila euro


Scoperto e denunciato falso cieco

Per sette anni ha percepito indennita' da Inps per 50 mila euro



(ANSA) - MARTONE (REGGIO CALABRIA), 27 FEB - Un falso cieco e' stato scoperto dalla Guardia di finanza a Martone, nella Locride. Il responsabile, che e' stato denunciato per truffa, ha percepito per sette anni dall'Inps la somma complessiva di 50 mila euro. Nel 2007 l'uomo era stato riconosciuto invalido al 100%. Dagli accertamenti e' emerso che l'anziano guidava regolarmente la sua automobile e gestiva la sua azienda con 280 operai. Le indagini sono coordinate dalla Procura della Repubblica di Locri.

Ior, la minaccia del Vaticano


Ior, la minaccia del Vaticano

Proposta choc dei porporati stranieri: sciogliere l'istituto. E cancellare i segreti della Chiesa.


L'idea choc viene dai porporati stranieri: fare a meno dell'Istituto per le opere di religione (Ior) per far scomparire migliaia di conti riservati. E un bel numero di segreti.
A decidere il futuro dello Ior, però, è il papa e quindi il destino della banca vaticana è nelle mani del successo di Benedetto XVI che alle 20 di giovedì 28 febbraio si appresta a lasciare la Santa sede con destinazione Castel Gandolfo.
Lo Ior, secondo quanto svelato dal quotidiano La Repubblica, è indicato come uno dei temi più importanti da affrontare nelle cosiddette Congregazioni generali, le giornate di discussioni sul futuro della Chiesa e sul nuovo pontefice che sono in agenda dal 1 marzo.
SCANDALI E RIFORMA DELLA CURIA. Ma non c'è solo la banca del Vaticano tra gli argomenti in programma. Di estrema attualità anche l'evangelizzazione all'estero (il 2013 è l'anno della fede), la riforma della Curia (Joseph Ratzinger ha ammesso di non essere riuscito a rivoluzionare) e poi ci sono gli scandali che hanno segnato indelebilmente il pontificato di Bendetto XVI.
Eppure il nodo più importante è quello dello Ior. E il suo possibile scioglimento.
CORDATA GUIDATA DA SCHOENBORN. A sponsorizzare l'idea di chiudere l'istituto vaticano è un gruppo di cardinali, irritati da tempo per la gestione dello Ior, considerato come uno dei protagonisti per i danni dell'immagine della Santa sede a livello internazionale.
A farsi portavoce del malcontento è l'arcivescovo di Vienna Christoph Schoenborn, considerato un conservatore illuminato e indicato da molti come possibile successore di Ratzinger, di cui è stato allievo.
Il porporato potrebbe essere quindi in grado di riunire intorno a sé una serie di eminenze, in gran parte straniere, pronte a schierarsi contro la gestione 'italiana' dello Ior, ovvero il segretario di Stato Tarcisio Bertone e il suo predecessore Angelo Sodano. E non importa che Benedetto XVI abbia appena confermato Ernst Von Freyberg (manager tedesco) al vertice dell'istituto dopo l'uscita di scena di Ettore Gotti Tedeschi.
ACCORDO CON BANCA STRANIERA. Tuttavia, in caso di scioglimento dello Ior, i cardinali dovrebbero pensare a un'alternativa credibile. Da qui l'idea di un accordo con una banca straniera.
L'istituto vaticano, infatti, è considerato come una fonte continua di problemi per la Santa sede: dallo scandalo Enimont, al crac dell'Ambrosiano. E poi la presenza di personaggi come Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus, che ha presieduto lo Ior per 18 anni.
La banca, nata nel 1942 per volere di Pio XII, è stata quindi spesso criticata sia per la sua gestione spregiudicata sia per i suoi numerosi privilegi. Si racconta infatti, che quando Giovanni Paolo II, dopo lo scandalo Calvi, chiese la lista dei correntisti dello Ior, si sentì rispondere che non era possibile violare la riservatezza dei clienti.

S&P: «Nessun impatto sul rating dal voto»


S&P: «Nessun impatto sul rating dal voto»

Per l'agenzia, «restano incertezze: scelte del governo fondamentali».


Un ufficio di Standard and Poor's.

Il risultato delle elezioni non è destinato ad avere impatto immediato sul rating dell'Italia.
Lo ha affermato, il 26 febbraio, Standard & Poor's, sottolineando che «le scelte del prossimo governo saranno essenziali».
«Alla luce delle significative differenze fra i partiti», ha aggiunto l'agenzia di rating, «restano numerose incertezze sulla direzione delle politiche che saranno prese».
«MANDATO DEBOLE». Per Standard & Poor's ci sono rischi che il nuovo governo «possa non avere un mandato abbastanza forte per attuare ulteriormente importanti riforme strutturali che migliorino le prospettive di crescita dell'Italia», con l'economia che potrebbe restare debole per un periodo prolungato.
La nota si conclude precisando che «a prescindere dalla composizione del governo, il risanamento fiscale in Italia non deve deviare dall'attuale cammino» dato l'elevato debito pubblico, stimato al 127% del pil a fine 2012.

Elezioni, impresentabili in parlamento


Elezioni, impresentabili in parlamento

Da Cesaro a D'Alì: eletti che hanno avuto e hanno guai con la giustizia. La lista degli esclusi e degli sconfitti.

Raffaele Fitto.

Le Politiche hanno decretato l'ingresso in parlamento a molti neofiti della politica, visto il boom del Movimento 5 stelle e l'elezione degli esponenti della cosiddetta società civile. Ma non hanno cancellato dalle Aule gli impresentabili. A caccia di una rinnovata immunità.
I VOLTI NOTI: FITTO E ROMANO. Alla Camera, per esempio, spiccano due volti noti: i pidiellini Raffaele Fitto e Saverio Romano. Il primo è stato riconosciuto colpevole in primo grado di corruzione, finanziamento illecito ai partiti e abuso di ufficio. Il secondo, uomo molto vicino a Totò «vasa vasa» Cuffaro è stato sì recentemente assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ma coinvolto in una nuova inchiesta per corruzione (per la quale è stata presentata la richiesta di archiviazione).
GIGGINO 'A PURPETTA. Sempre a Montecitorio, tra le file del Pdl, siederà anche Luigi Cesaro detto Giggi 'a purpetta, ex presidente della Provincia di Napoli e indagato dalla Dda per associazione camorristica. Insieme con lui ci saranno anche Antonio Angelucci (indagato per associazione a delinquere, truffa e falso) ed Elvira Savino che nella sua regione, la Puglia, è accusata di riciclaggio.
E fin qui i confermati. Passando invece alle new entry, tra gli onorevoli della nuova legislatura si trovano anche Paolo Alli, vice dell'ex governatore lombardo Roberto Formigoni. Secondo la procura di Milano, Alli avrebbe ricevuto 250 mila euro da Mazarino De Petro, formigoniano, finito nell'inchiesta Oil for Food. E il siciliano Nino Minardo a cui la condanna a un anno per abuso di ufficio è stata ridotta a otto mesi.
INDAGATI AL SENATO. A Palazzo Madama la tendenza non cambia, anzi. Negli scranni del Senato si trovano Alfredo Messina, berlusconiano, su cui pende l'accusa di favoreggiamento in bancarotta, Paolo Romani, indagato per peculato e istigazione alla corruzione, Ignazio Abrignani, indagato per dissipazione post fallimentare. E Salvatore Sciascia, sempre pidiellino, su cui pende una condanna di due anni e sei mesi per corruzione. Senza contare Formigoni e Antonio D'Alì, Pdl, per il quale è stato chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. O Denis Verdini che guai con le procure ne ha avuti parecchi.
Sorvolando sul ritorno dei peones Domenico Scilipoti e Antonio Razzi, eletti per volere esplicito del Cav come Elena Centemero ex insegnante dei berluschini.
GLI SCHELETRI DEL PD. Anche il Pd però ha i suoi 'impresentabili'. Alla Camera sono stati eletti la giornalista anticamorra Rosaria Capacchione indagata per calunnia, e Francantonio Genovese per abuso d'ufficio. Al Senato, invece, tra i democratici è passato Bruno Astorre, nei guai sempre per abuso d'ufficio.


Effetto Grillo sulle primarie del Pd


Effetto Grillo sulle primarie del Pd
parte l'operazione «Marino sindaco»

Dopo il risultato della Regione e delle politiche, corsa contro il tempo per la scelta di Roma: «Siamo a +5 rispetto al 2010»

ROMA - Mentre Nicola Zingaretti sta terminando il suo discorso da neopresidente del Lazio, a pochi metri di distanza, là sul palco del tempio di Adriano, ci sono Ignazio Marino, il futuro vicepresidente della giunta, Massimiliano Smeriglio, e il capo segreteria di Zingaretti, Maurizio Venafro: parlano fitto fitto, sorridono, alla fine si scambiano abbracci, sorrisi, pacche sulle spalle. Origliare non sta bene ma fa parte del mestiere di chi scrive, ed è così che si scopre che l'operazione per lanciare Ignazio Marino verso il Campidoglio sta per scattare. Smeriglio (Sel) parla genericamente dei candidati già in campo, Venafro (Zingaretti) sonda l'altro, Marino annuisce, e i tre decidono di vedersi «nei prossimi giorni», alla presenza di Nicola Zingaretti. 

Ora, sia chiaro: l'operazione Marino candidato sindaco è tutt'altro che conclusa, e anzi le resistenze all'interno del Pd non sono poche. Ad esempio: «Tutti ma non lui», dice, lì nel tempio di Adriano, un importante dirigente. Ma ciò non toglie che l'operazione sia in atto. Fortemente voluta da esponenti non proprio secondari nel centrosinistra: com'è noto, dal regista del fu Modello Roma, Goffredo Bettini, e poi dal nuovo presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, solo per citarne alcuni. Il fattore tempo, ovviamente, rischia d'essere decisivo: anche perché il risultato del movimento di Grillo a Roma - sia pure meno «pesante» di ciò che era parso lunedì notte, con il Pd che in città recupera cinque punti (32,5 per cento) rispetto alle Regionali 2010 - fa sì che da più parti nel Pd si ragioni sulla possibilità che sia Beppe Grillo e non il sindaco uscente Gianni Alemanno il rivale da battere per arrivare al Campidoglio.
E allora, forse, non è per caso che, intervistato dalle tv a proposito del fenomeno Cinque Stelle, Ignazio Marino dica poche frase, ma emblematiche: «Parliamo lo stesso linguaggio, per molti aspetti: si tratta, adesso, di comunicare. Di certo se il tema è la trasparenza, o la razionalizzazione della spesa pubblica, l'intesa è facile». Certo parlava in linea teorica, e certo non si riferiva all'operazione Campidoglio. Come e se il Pd cercherà di fronteggiare l'onda grillina nella Capitale, è tutto da vedere. Sicuramente, da più parti, si fa notare che «le primarie non devono diventare un congresso»: alcuni cominciano a ipotizzare che sarebbe meglio non farle, ma sul fatto che in ogni caso non debbano essere una «conta» sembrano tutti d'accordo. Sul candidato sindaco ancora no, ma l'operazione Marino, di certo, è già scattata.

Val Susa a 5 Stelle, ora il partito No-Tav assedia Torino


Val Susa a 5 Stelle, ora il partito No-Tav assedia Torino


Val Susa a 5 stelle: «Avremo percentuali bulgare», aveva avvertito il portavoce No-Tav Alberto Perino, e così è stato. I grillini sono saldamente il primo partito in tutta la valle minacciata dalla Torino-Lione. Il record spetta a Venaus, paese simbolo della storica “resistenza” del 2005: Grillo rimedia addirittura il 58,1% dei voti, nonostante l’8,8 raccolto dal sindaco Nilo Durbiano, capolista al Senato per “Rivoluzione civile”. Va al “Movimento 5 Stelle” anche Avigliana (37,8%), capoluogo produttivo della valle e città natale di Piero Fassino, oltre che dell’ex sindaco Carla Mattioli, espulsa dal Pd per la sua posizione No-Tav e ora candidata alla Camera con Vendola. A gonfie vele anche Bussoleno, altro centro della protesta contro la Torino-Lione, dove Grillo raccoglie il 46,3% e spedisce a Roma, in carrozza, il neo-senatore Marco Scibona. Sempre a Bussoleno, dove Rifondazione è sempre stata fortemente radicata, Ingroia “supera lo sbarramento” raccogliendo il 4,6% dei voti, nonostante la mancata candidatura di Nicoletta Dosio, storica attivista No-Tav.
Si “arrendono” a Grillo anche i Comuni più coinvolti dalle recenti manifestazioni contro la Torino-Lione: Chiomonte è “5 Stelle” col 37,5%, Alberto Perino e Beppe GrilloGiaglione raggiunge il 44%, Exilles addirittura il 53,2%. Sopra il 50% anche Mattie, il paese dei due giovani arrestati a febbraio per la violazione delle reti del cantiere di Chiomonte. Campane a morto per la stessa Gemma Amprimo, sindaco Pdl di Susa, uno dei pochissimi amministratori locali pro-Tav nonostante il progetto-monstre della futura, improbabile “stazione internazionale”: persino il capoluogo storico della valle, tradizionalmente moderato, cede il passo a Grillo, primo partito col 42,7%. Tutta la valle di Susa è “5 Stelle”, spesso con percentuali superiori al 40%: sfiorano il 50% Meana di Susa, Mompantero, Chianocco, Bruzolo, Villarfocchiardo e Sant’Ambrogio, mentre lo superano Vaie, San Didero e addirittura San Giorio, tradizionale “feudo rosso”, dove ora Grillo riscuote il 51,5% dei consensi.
L’assedio grillino si estende all’imbocco della valle: Almese, Rosta, Buttigliera, Pianezza, Villarbasse. Risultati clamorosi ad Alpignano, città dell’hinterland torinese alle porte della val Susa e tradizionale roccaforte della sinistra: anche gli alpignanesi scelgono Grillo (32,7%) così come Rivalta (36,1), l’altra città della cintura torinese che, meno di un anno fa, alle comunali, umiliò centrodestra e centrosinistra premiando l’outsider No-Tav Mauro Marinari. Sorprese anche nella vicina val Sangone, ormai completamente “grillina”, da Bruino a Coazze: il “Movimento 5 Stelle” è primo partito a Giaveno superando il 32%, nonostante la prima cittadina Daniela Ruffino fosse candidata al Senato per il Pdl, mentre a Valgioie – il cui sindaco è Osvaldo Napoli, negli ultimi anni vicecapogruppo del Pdl alla Camera – lo “tsunami” grillino raggiunge addirittura il 41,8%. Caselle, Venaria Reale, Chieri, Carmagnola: la stessa metropoli torinese – dove Grillo è al secondo posto, davanti a Berlusconi – è ormai “circondata”: il “Movimento 5 Stelle” conquista addirittura Nichelino, tallona il centrosinistra a Grugliasco e Collegno, l’ex “Stalingrado” piemontese, e sfiora il primato – per un soffio – anche nei principali centri del Torinese, da Rivoli a Moncalieri. I pifferai della Torino-Lione sono avvertiti: il “partito” No-Tav ormai è maggioranza.

E questo è solo l’inizio: l’Italia prenota il diritto al futuro


E questo è solo l’inizio: l’Italia prenota il 

diritto al futuro


«Chi, dopo 5 anni di bancarotta berlusconiana, non riesce a convincere più di un terzo degli elettori non può pretendere di governare contro gli altri due terzi: anzi, dovrebbe dimettersi seduta stante per manifesta incapacità».Marco Travaglio non ha dubbi: Bersani e soci dovrebbero togliere il disturbo. «La domanda era: riusciranno i nostri eroi a non vincere le elezioni nemmeno contro un Caimano fallito e bollito?». La risposta è arrivata: ce l’han fatta un’altra volta. «Come diceva Nanni Moretti 11 anni fa, prima di smettere di dirlo e di illudersi del contrario, “con questi dirigenti non vinceremo mai”». Del resto, «era impossibile che gli amici del giaguaro smacchiassero il giaguaro». A fine 2011Berlusconi era al 7%, le elezioni lo avrebbero cancellato. «Invece, un’astuta manovra di palazzo coordinata dai geniali Napolitano, Bersani, Casini e Fini, pensò bene di regalarci il governo tecnico e soprattutto di regalare a B. 16 mesi preziosi per far dimenticare il disastro».
Peccato però che il vero disastro fosse ancora di là da venire: l’agonia ad personam del governo Berlusconi era solo un piccolo antipasto. Lo acqua pubblica manifestazione“smacchiatore”, dice Giorgio Cremaschi su “Micromega” non ha solo sbagliato campagna elettorale; ha fatto ben di peggio, cioè ha sostenuto il “massacro sociale” che i diktat di Bruxelles hanno ordinato a Monti. Il vero esito delle elezioni? Gli italiani hanno semplicemente bocciato le politiche di austerità: «Seicentomila licenziamenti in nove mesi, il più grave impoverimento di massa dalla fine della guerra, le previsioni sul futuro tutte pessimiste e gli italiani avrebbero dovuto farsi ammaliare ancora dal teatrino di Berlusconi, Bersani e Monti?». Il palazzo e anche i sondaggisti si erano illusi che sarebbe stato così, scrive Cremaschi su “Micromega”: in fondo, le terribili controriforme delle pensioni e dell’articolo 18, i tagli alla scuola e alla sanità erano passati senza quella rivolta sociale che abbiamo visto crescere in Grecia, Spagna e Portogallo.
«Si poteva credere alla rappresentazione di regime di un popolo italiano passivo e in fondo disposto a votare secondo le indicazioni di quella Troika europea che esercita la sua dittatura in Grecia – aggiunge Cremaschi – e invece sono andati in minoranza. Perché Berlusconi e Bersani, che ora comunque fanno finta di aver vinto qualcosa, raccolgono il peggior risultato della storia delle loro coalizioni, che ora rappresentano ciascuna poco più di un quarto dei voti espressi», mentre Monti si è rivelato numericamente irrisorio. Pd e Pdl «ci hanno governato in alternanza negli ultimi venti anni», prima di farlo addirittura «assieme, negli ultimi tredici mesi», ma oggi sono minoranza nel corpo elettorale e nel paese. C’è aria di rivolta, e in Italia la rivolta si esprime in modo democratico, per via elettorale: lo spiega lo stessoGrillo, che parla di «milioni di giovani senza un futuro, con un lavoro precario o disoccupati, spesso laureati». Ragazzi che vogliono «rovesciare il Napolitanotavolo, costruire una Nuova Italia sulle macerie».
E’ un popolo che cresce a dismisura, a cui appartengono anche «gli esclusi, gli esodati, coloro che percepiscono una pensione da fame e i piccoli e medi imprenditori che vivono sotto un regime di polizia fiscale e chiudono e, se presi dalla disperazione, si suicidano». Un popolo sempre più vasto, che non ha più nulla da perdere, a partire dai giovani che «non pagano l’Imu perché non hanno una casa, e non avranno mai una pensione». E meno male che c’era Grillo a intercettarli, scrive Travaglio, «altrimenti oggi il Caimano salirebbe per la quarta volta al Quirinale per formare il nuovo governo: il che la dice lunga sulla demenza di chi colloca M5S all’estrema destra o lo paragona ad Alba Dorata». L’esito delle elezioni «non è la rimonta di Berlusconi, è la retromarcia del centrosinistra: che pretende di aver vinto con meno voti di quando aveva perso nel 2008». Insieme a Pd e Pdl, aggiunge Cremaschi, è stato duramente sconfitto anche Napolitano, che viene ora sottoposto ad una dura legge del contrappasso: «Dopo aver imposto la governabilità a tutti Cremaschii costi in nome dello spread, si trova adesso a dover amministrare il più ingovernabile dei responsi elettorali, mentre lo spread risale».
Questo però è solo un voto di transizione, ammette lo stesso Grillo: «Le giovani generazioni stanno sopportando il peso del presente senza avere alcun futuro e non si può pensare che lo faranno ancora per molto». Cremaschi concorda: «Siamo solo all’inizio di un processo lungo e doloroso, dal quale si potrà uscire positivamente solo con l’eguaglianza sociale e il rovesciamento dell’austerità, con il pubblico al posto dei mercati e con la democrazia diretta per controllare il potere pubblico». E questo lo si potrà fare in un solo modo. E cioè: «Facendo saltare i calcoli e i conti dell’Italia e dell’Europa di banche e finanza: siamo di fronte ad una crisi di sistema che si può affrontare solo cambiando sistema», ovvero impedendo alla casta finanziaria di continuare a ricattare interi popoli. Quello italiano, intanto, si è prenotato per un futuro lontano anni luce dagli avvoltoi e dai loro pallidi maggiordomi.

Truffa a Telecom, arrestati tre avvocati


Truffa a Telecom, arrestati tre avvocati

Ricorsi intestati a ignari o deceduti, provento 200mila euro



(ANSA) - NAPOLI, 27 FEB - Cause civili ''seriali'' contro Telecom Italia da parte di utenti ignari o addirittura deceduti: era il meccanismo di una truffa condotta da tre avvocati che sono finiti ai domiciliari, al termine di una inchiesta della procura di S. Maria Capua Vetere (Caserta). Oltre 1.300 i fascicoli sotto esame: i risarcimenti decisi dal giudice di pace e soprattutto il rimborso delle spese legali venivano intascati dagli avvocati. Si calcola che la truffa abbia fruttato circa 200mila euro.

Un italiano su tre ha avuto il coraggio di votare Berlusconi,che vergogna

Un italiano su tre ha avuto il coraggio di votare Berlusconi,che vergogna



"Lei viene? Ma una volta sola? Ma quante volte viene? Con che distanza temporale? E' un'offerta conveniente, si vuole girare signorina. Ehh, sì, vale la pena".
Ecco alcune delle frasi che il Cavaliere ha pronunciato, sabato scorso, ad una dipendente dell'azienda Gruppo Green Power sul palco di Mirano, in provincia di Venezia, dove si stava svolgendo un incontro.
Doppi sensi continui, apprezzamenti sessisti sui quali l'ex Presidente del Consiglio provava visibilmente un certo piacere, visto l'imbarazzo della giovane donna.
Lui, infatti, non era per nulla in imbarazzo, anzi.
E non era in imbarazzo neppure la platea, composta da dirigenza e da colleghi della dipendente.
I presenti ridacchiavano, come se niente fosse e applaudivano divertirti alla performance, alla gag.
La platea rideva, compiaciuta.
Quella platea, purtroppo, rispecchia molti di noi, una Italietta che fa battute da caserma, che si dà di gomito.
È il nostro luogo di lavoro, la nostra famiglia, il nostro bar, il nostro spogliatoio quando andiamo a giocare a calcetto, la nostra palestra, le nostre strade.
È l'intesa degli sguardi tra uomini, è la paura di sentirsi essere additati come i meno virili se non si partecipa al gioco.
E il Cavaliere la conosce benissimo, quella platea.
Se non fosse così, le frasi del Cavaliere non farebbero presa.
Se non fosse così, lui si sentirebbe in imbarazzo a chiedere pubblicamente a una donna quante volte viene. Avrebbe vergogna a chiederle di girarsi un'altra volta per ammirare il suo "sedere".
Lo ha fatto perché era certo che quella platea avrebbe riso.
Perché in quella platea c'è una parte di noi, e sono purtroppo tanti.
Sono quelli che ridono di fronte a quella pubblica mortificazione, dove si ferisce, si umilia per far ridere e per alleggerire discorsi, per divertire il pubblico.
"E questo impianto cosa mi riscalda? Anche la camera da letto?" e giù con gli sghignazzi dei presenti e dei vertici della società.
E sì, il siparietto che ha offerto il Cavaliere è vomitevole, uno dei tanti.
A noi non fa ridere.
Anzi, ci fa schifo perché la violenza sulle donne incomincia proprio dal linguaggio, dall'aggressione continua alla sua immagine concimata da una cultura televisiva sessista.
Eppure, i servi sciocchi del padrone in sala ridevano alle "battute argute" del Cavaliere. Ed è per questo che è ancora più nauseabondo.
Anzi, più guardiamo e riguardiamo quel filmato e più ci imbarazziamo anche per lui.
Ma è qui l’errore, perche lui non era in imbarazzo.
Né lui, né la platea.
E lui ci conosce fin troppo bene.
Ha contribuito a rendere molti di noi così.

Cardinali, i casi che imbarazzano tra i papabili Dopo le dimissioni di O'Brien, le ombre che coinvolgono anche tre candidati al soglio pontificio.


Cardinali, i casi che imbarazzano tra i papabili

Dopo le dimissioni di O'Brien, le ombre che coinvolgono anche tre candidati al soglio pontificio.

I cardinali durante l'ultimo conclave del 2005 che portò all'elezione di Benedetto XVI.


Vangelo di Giovanni, capitolo otto, versetto uno: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra».
Con le parole che Gesù pronunciò di fronte all'adultera potrebbe aprirsi il conclave destinato a designare il successore diBenedetto XVI. Perché tra gli alti prelati il peccato è diffuso.
A partire da Roger Mahony, l'ex arcivescovo di San Francisco, accusato di aver coperto centinaia di violenze di preti pedofili, e nonostante questo destinato a sedere tra i 116 porporati destinati a eleggere il nuovo pontefice.
LE FIGURE OSCURE. «Deve partecipare al conclave», si è speso in sua difesa Timothy Dolan, autorevole arcivescovo di New York, nella rosa dei candidati al soglio pontificio: «È un cardinale e per questo ne ha tutto il diritto». 
Lo stesso diritto spetta anche il primate di Irlanda, Séan Baptist Brady, e all'ex capo della Chiesa d'Olanda, Godfried Daneels, entrambi colpevoli di aver insabbiato, più o meno attivamente, i casi di pedofilia di cui erano a conoscenza.
Solo il primate di Scozia, Keith O'Brien, ha rinunciato, dopo lunghe polemiche. Una scelta quasi obbligata per non allungare un'altra ombra sul «volto deturpato» della chiesa che, dopo le dimissioni di Benedetto XVI, è ormai condizionata dal «peso dell'opinione pubblica», come ha lamentato il segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
L'ECCEZIONE O'BRIEN. Le accuse degli abusi rivolte a O'Brien da quattro suoi seminaristi sono finite su tutti i giornali e l'arcivescovo di Edimburgo ha deciso di lasciare: «Per quanto di buono sono stato in grado di fare, ringrazio Dio. Per i fallimenti: mi scuso con coloro che ho offeso».
Se fosse stato solo per la Chiesa, forse, sarebbe rimasto. Perché anche i candidati a diventare papa hanno ombre da nascondere sotto la veste.

Dolan pagò per allontanare un prete pedofilo dalla Chiesa

Mahony e Dolan, il cardinale rinnegato e l'astro nascente della Chiesa americana, che secondo tutti gli analisti è destinata ad avere un peso rilevante al prossimo conclave, hanno un'esperienza in comune: sono stati chiamati di fronte a un tribunale americano a rispondere delle proprie responsabilità di controllo su una diocesi frequentata da preti pedofili.
LA BANCAROTTA PER I RISARCIMENTI. Timothy Dolan, il papabile che benedisse il candidato repubblicano Mitt Romney in campagna elettorale, di fronte all'abisso della pedofilia ha scelto la via del denaro. Nel 2003 la diocesi di Milwaukee in Wisconsis pagò 20 mila dollari per far lasciare la tonaca a un prete pedofilo. Quando la notizia venne alla luce, nel maggio del 2012, Dolan che era arcivescovo bollò le accuse come «false, ingiuste, pretestuose».
Eppure i pagamenti risultano dai  documenti contabili acquisiti dalla procura: nel gennaio 2011 la diocesi è andata in bancarotta a causa dei lauti risarcimenti dovuti alle vittime delle violenze.
Un portavoce ha confermato i pagamenti, definendoli un incentivo per i preti colpevoli, un modo per farli abbandonare più in fretta l'abito talare.
L'IRA DELLE VITTIME DEGLI ABUSI. Anche se le transazioni sono proseguite nel tempo: agli ex pastori è stato pagato stipendio e assistenza sanitaria. E a poco sono serviti gli interrogativi della 'Rete dei sopravvissuti agli abusi'. «In quale professione si ottiene un bonus per aver stuprato bambini?», si chiedevano.
Senza peccato non è neppure il successore di Mahony a San Francisco, José Gomez, il grande accusatore, che ha tolto ogni incarico all'ex arcivescovo. Mahony ha replicato secco: anche l'inquisitore sapeva  benissimo come gli affari di pedofilia venivano gestiti.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Dubbi anche sui papabili di Australia e Canada

Anche il cardinale australiano e arcivescovo di Sidney, Goerge Pell, considerato tra i candidati a succedere a Ratzinger, pur se con quotazioni assai basse, sembra avere scheletri nell'armadio.
Nel 2002 finì sotto inchiesta per aver abusato di un giovane, ma le accuse risultarono infondate e l'accusatore un piccolo delinquente. Tuttavia i fedeli continuano a interrogarsi.
QUALCUNO SAPEVA LA VERITÀ. La sua storia, infatti, si intreccia con il caso di Robert Charles Best, sacerdote 70enne, protagonista di 27 episodi di abusi, di cui due strupri, su almeno 11 ragazzi australiani. Secondo l'accusa, Pell sarebbe stato presente in occasione della denuncia di una delle vittime. A ottobre 2012, circolavano anche rumor su un suo coinvolgimento in un'inchiesta su 50 sucidi registrati nelle scuole cattoliche e legate alla piaga della pedofilia.
Poi c'è la vicenda di padre Kevin O'Donnell, la più opaca tra quelle che lambiscono e rischiano di sporcare il cardinale australiano 'papabile'.
O'Donnell è stato incarcerato per pedofilia nel 1993. Ma ha prestato servizio a Melbourne, diocesi di Pell, per quasi mezzo secolo, prima di ritirarsi per anzianità nel 1992. E prima di finire in prigione giusto un anno dopo, nel 1993.
La sua tomba oggi fa bella mostra di sé tra le lapidi dei preti della Chiesa cattolica australiana: mai la diocesi ha fatto mea culpa.
IL FRATELLO SCOMODO DI OUELLET. Persino il canadese Marc Ouellet, prefetto per la Congregazione dei vescovi, sconta la parentela con un fratello pedofilo: nel 2009 confessò di avera avuto rapporti sessuali con due ragazzine di 13 e 15 anni.
E a sua discolpa fece pubblicare sulla stampa un comunicato in cui si dichiarava colpevole di aver accettato le avance delle due ragazze, definite libere e consenzienti. «Avrei dovuto rifiutarle», ammise. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Bersani,il problema del PD è che non sa parlare la lingua della gente normale la colpa è di D'alema


Pier Luigi Bersani - Deluso ma non molla

Pier Luigi Bersani - Deluso ma non molla
di Cristina Ferrulli
ROMA - La delusione brucia cosi' come l'ammissione amara che il proprio messaggio politico non e' stato capito. Dopo quasi 48 ore di silenzio, Pier Luigi Bersani arriva con il fiato corto ed il volto tirato al primo incontro con la stampa dopo un risultato ''azzoppato''. Non indora la pillola, ammette subito che il Pd non ha vinto e rilancia con l'unica proposta per lui possibile: un governo di scopo che ''si concentri su alcuni punti di cambiamento'' dai costi della politica alla moralita', aperto, a parole, alle forze in Parlamento ma rivolto in realta' al M5S e non al Pdl. I fedelissimi raccontano che il leader democrat non abbia mai pensato, neanche per un minuto, di gettare la spugna. ''Non abbandono la nave, dopodiche' posso starci da capitano o da mozzo'', si mostra determinato Bersani che comunque non resterebbe alla guida del Pd, seppur a tempo determinato fino al congresso autunnale, in ogni caso. Stasera i big del partito si riuniscono per capire che cosa fare, ma per il candidato premier, che sperava di entrare a Palazzo Chigi, uno scenario e' assolutamente da escludere: un governissimo con Silvio Berlusconi.
''Non siamo qui - chiude alle 'sirene' del Cav. - a gestire per gestire, non vogliamo fare discorsi a tavolino, non credo che il paese tolleri balletti di diplomazia...si riposassero''. Al di la' del paese, sicuramente l'elettorato del centrosinistra, gia' provato dopo l'esperienza del governo Monti, non perdonerebbe piu' al Pd un'intesa di governo con Berlusconi. Ed e' dall'analisi del voto e dagli umori del paese, che premia Beppe Grillo, che deriva l'apertura di Bersani al M5s in attesa delle scelte del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. ''Noi proporremo - spiega Bersani - un programma essenziale da presentare al Parlamento per una riforma delle istituzioni, della politica, a partire dai costi e dalla moralita' pubblica e privata, fino alla difesa dei ceti piu' esposti alla crisi''. L'elenco dei temi di quello che il leader Pd definisce ''un governo di combattimento'' descrive l'identikit di un preciso possibile interlocutore: il M5s, con cui il segretario democrat immaginava di fare ''scouting'' in campagna elettorale e che ora appare come la scialuppa per dare una direzione al paese. Una sfida lanciata al comico genovese, condita anche dall'ipotesi di assegnare al M5S, ''il primo partito alla Camera'', la presidenza. ''So che fin qui - rilancia Bersani - hanno detto 'tutti a casa' ma ora ci sono anche loro, o vanno a casa anche loro o dicono che cosa vogliono fare per questo paese che e' il loro e dei loro figli''.
Una sorta di riedizione del 'modello Sicilia', dove i grillini hanno condiviso anche provvedimenti della giunta Crocetta, se non fosse per una sostanziale differenza: i governi nascono ottenendo la fiducia alle Camere. Ed e' qui che il dente duole visto che Beppe Grillo anche oggi ha ribadito che i provvedimenti saranno valutati caso per caso. ''Ragionare tema per tema - osserva Bersani che rinvia alla riapertura del Parlamento possibili faccia a faccia - e' apprezzabile ma e' anche piuttosto comodo, i governi funzionano provvedimento per provvedimento ma anche con la fiducia, cosi' dice la Costituzione''.