lunedì 16 luglio 2012

Ecco il video degli anziani portati a loro insaputa al comizio di Berlusconi


Ecco il video degli anziani portati a loro insaputa al comizio di Berlusconi

14/07/2012
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Hotel Ergife di Roma. Presenti tutti i big del Pdl. Ma la grande attesa è tutta per lui, Silvio Berlusconi, che qui  dovrebbe aprire la campagna elettorale dopo l’annuncio della nuova discesa in campo. Circa 300 persone in una sala riempita con tre pullman di ignari anziani del “centro sociale anziani Don Giorgio Talkner” che, però, pensavano di andare in gita e non al comizio di Berlusconi. Alla luce di quest’episodio risulta ancora più folle la sparata del vicesegretario del Pd, Enrico Letta, che proprio ieri al Corriere della Sera dice: “Preferisco che i voti vadano al Pdl piuttosto che disperdersi verso Grillo”. Ecco il video:

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Francia: tra democrazia sociale e licenziamenti di massa


Francia: tra democrazia sociale e licenziamenti di massa

16 luglio 2012
E’ stata una settimana intensa. Erano ancora calde le sedie della conferenza sociale tra governo socialista, sindacati, padroni piccoli e grandi, associazioni varie della società civile per tentare un dialogo in vista di un nuovo patto tra produttori, quando la direzione di PSA, la company dell’auto Citroen – Peugeot, ha comunicato che per l’anno prossimo è prevista la soppressione di 10.000 posti di lavoro, di cui 8000 in Francia, con la chiusura totale della fabbrica di Aulnay sous Bois, in Seine St. Denis, banlieue rossa di Parigi, dove lavorano a tutt’oggi 3000 operai. Con l’indotto i posti in meno aumentano fino a 40.000 (si calcola che ogni posto nella fabbrica madre corrisponda a 3- 4 posti nelle officine esterne).

MARTIN BUREAU/AFP/GettyImages
Un annuncio “brutale” per i lavoratori, per dirla col presidente Hollande, che è anche una martellata a qualunque ipotesi di cosiddetta “democrazia sociale”, su cui il governo ha scommesso molto, nonché una radicale messa in discussione, se non riduzione quasi a zero dell’autorità dello stato e del presidente, una riduzione, quasi disprezzo, dell’autorità politica democraticamente eletta, da parte dei grandi capitalisti, in nome delle leggi del mercato e del profitto. Il governo aveva infatti anche annunciato un piano di aiuti al settore auto per la fine di luglio, ma PSA ha fatto orecchie da mercante, è proprio il caso di dirlo, lanciando con fracasso mediatico la sua ristrutturazione. Intanto arriva il 14 luglio, festa della Rivoluzione e della presa della Bastiglia, con una mega parata militare e un presidente sull’attenti di fronte a un profluvio di generali e di armi di tutti i tipi che sfilano lungo i Campi Elisi. Poi in televisione Hollande scandisce: lavoro, giustizia, crescita queste le mie priorità, e da questo punto di vista il piano di PSA è del tutto inaccettabile, e non sarà accettato , aggiungendo: i dirigenti di PSA hanno mentito ai lavoratori e a tutti i francesi, nascondendo la situazione durante la campagna elettorale per non nuocere a Sarkozy (il PDG di PSA aveva più volte detto che nessuna fabbrica sarebbe stata chiusa). E rincarando la dose: si parla del costo del lavoro, ma non delle centinaia di milioni di euro (250 circa), che gli azionisti si sono spartiti l’anno scorso. Stando alle parole comincia un braccio di ferro del tutto inedito tra autorità politico statale e un grande gruppo industriale.
Già le parole. Durante la conferenza sociale ministri/e hanno bandito le dizioni “austerità” e “rigore”, così come “costo del lavoro” e “flessibilità del mercato del lavoro”. Insomma il primo cambiamento è nel linguaggio, e nell’ordine del discorso. Prima vengono les salaries et le travail, i salariati e il lavoro, poi protezione sociale e crescita, quindi ricerca sviluppo e produzione, perfino la riconversione ecologica sopravanza su produttività e profitto, quasi cancellate. E ogni volta che un ministro viene intervistato c’è la buffa situazione di domande su austerità e rigore, cui l’intervistato risponde con giustizia, eguaglianza, crescita. Oltre le parole e l’ordine del discorso, ci sono alcuni annunci significativi. Il primo, ribadito di fronte alle parti sociali in modo solenne, come si dice qua, la Francia non metterà nella sua Costituzione la “regola d’oro”, cioè il pareggio di bilancio, e chissà come la prenderà madame Merkel. Invece per legge costituzionale diventerà un obbligo la consultazione tra le parti, essenzialmente padroni e sindacati, in caso di ristrutturazione che metta in discussione il lavoro, i posti di lavoro, nonché l’obbligo dell’avvio di una fase di concertazione. Non è chiaro cosa accada in caso di fallimento della stessa. Infine è stato detto e ridetto che cambierà in profondità la politica fiscale, in particolare “ la protezione sociale non può pesare solo sulle spalle dei lavoratori salariati”, ma anche padroni e ricchi di ogni dove dovranno fare la loro parte, con a cascata nuove tasse sul patrimonio, sui capitali, sulle transazioni finanziarie. Certo per ora si tratta solo di intenzioni, ma destinate a pesare nel dibattito pubblico. Si chiude la conferenza e poche ore dopo, guarda caso!, l’ordine capitalista del discorso torna a occupare la scena con l’annuncio di PSA, 8000 posti di lavoro soppressi in Francia. In particolare colpisce la chiusura degli stabilimenti Citroen a Aulnay-sous-Bois, la fabbrica degli operai ribelli per antonomasia. Per anni viene gestita dalle assunzioni ai turni al cottimo, attraverso un sistema clientelare che viaggia tra il paternalismo e la repressione, con un sindacato aziendale CSL braccio diretto del padrone a fare il bello e cattivo tempo, e la CGT ridotta a pochi militanti semiclandestini. Poi nel 1982, un anno dopo che la sinistra, PCF e PS, ha vinto, Mitterand è il nuovo presidente della Repubblica, al governo siedono socialisti e comunisti, per un motivo che nessuno più ricorda, scoppia uno sciopero selvaggio che dura cinque settimane, e in fabbrica, per dirla con le parole di uno dei protagonisti “torna la libertà” “uno sciopero per la dignità” dice un altro, uno sciopero che ottiene anche consistenti aumenti salariali. Il blocco è durissimo, la direzione organizza addirittura voli di elicotteri che atterrano sul piazzale interno sbarcando crumiri per rompere lo sciopero, ma non basta. Il CSL viene letteralmente spazzato via quando tenta di opporsi anche fisicamente, i suoi militanti buttati fuori a forza, alle elezioni dei delegati successive la CGT conquista il 52% dei voti, il CSL si annichila.
Lotte quelle degli operai di Citroen Aulnay che continuano, fino ai grandi scioperi del 2005 e 2007, insomma la direzione di PSA vuole chiudere uno dei luoghi dove la lotta di classe abita in permanenza, e la rivolta operaia è sempre lì a un pelo. Il senso della chiusura è tutto politico, se i padroni sfondano a Aulnay l’intera classe operaia francese, e quindi l’intera sinistra, sarà più debole, lo dicono e lo urlano gli operai che entrano in sciopero subito dopo l’annuncio, i deputati socialisti e comunisti, il sindaco di Seine St Denis, accorsi ai cancelli. La discussione è accanita, poi a fine giornata si decide di aspettare per lo sciopero il rientro dalle vacanze agli inizi di settembre. I lavoratori rientrano in fabbrica, ma la produzione va molto a rilento, in più punti è interrotta. E arriva l’arte francese della guerra con la sfilata militare del 14 luglio, mentre in cielo volano le frecce tricolori francesi, e vien in mente che non più tardi di una decina di giorni fa, i piloti della protezione civile erano in sciopero perché non hanno i soldi per la benzina dei loro aerei. E’ un’orgia di armi e soldati, coi paracadutisti che calano nel centro di Parigi, e i cavalieri che caracollano sull’asfalto, il presidente impettito a bordo di una jeep contornato da generali. Il fatto è che la sinistra francese fin dalla Rivoluzione dell’89 passò direttamente dalla presa della Bastiglia alla difesa della nuova patria rivoluzionaria contro i nemici reazionari e realisti che la minacciavano dentro e fuori i confini, arruolandosi in massa nell’esercito comandato da un oscuro tenente d’artiglieria fatto in fretta e furia generale, Napoleone Bonaparte. Lo stesso accadde al tempo della Comune, quando la borghesia spalancò le porte di Parigi insorta alle truppe prussiane, ma lì la guardia nazionale comunarda fu purtroppo sconfitta. Sinistra patriottica, il patriottismo è l’amore verso i propri concittadini, distinto se non opposto, dal nazionalismo che è invece l’odio verso gli altri, questa la definizione che danno. Il che nulla toglie al grottesco di questa pomposa messa in mostra degli arnesi della guerra, molto amata va detto dai francesi che applaudono, e quest’anno anche Marsiglia ha avuto diritto alla sua mostra d’armi. Infine il discorso di Hollande in TV, di cui abbiamo in parte già detto. Adesso lo scontro è aperto, tra il governo e PSA, tra operai e padroni di PSA, ma anche altri un po’ ovunque in Francia, e poi l’Europa dove Hollande ha confessato, sorridendo ma non troppo, di sentirsi un po’ solo in quanto unico capo di stato appartenente alla sinistra.
Se questo scontro troverà dei punti di mediazione, e quando, è difficile dire. Dopo le dichiarazioni del presidente, accusato da molti liberisti e non di mettere i piedi in un piatto, quello delle scelte economiche e di mercato di una grande multinazionale, che non è il suo, la direzione di PSA tace, ma settembre è dietro l’angolo e a fine luglio il governo presenterà il suo piano per l’auto. Perché una domanda inevasa rimane: quale sia il futuro dell’auto in Francia, e nel mondo. Forse un futuro non esiste, e allora? Insomma viva la lotta di classe e viva la lotta istituzionale volta a limitare i poteri del grande capitale, ma senza un nuovo modello di lavoro, produzione, sviluppo e vita associata, il che implica nuovo modello energetico e di consumo e uso delle risorse, nonché nuovo modello di mobilità eccetera, il discorso rischia di rimanere monco e zoppicante. Un nuovo modello non nell’utopia, il luogo che non esiste, ma nell’oggi, al massimo domani, e nella pratica. Qui il contributo di forze come il Front de Gauche e dei verdi potrebbe essere importante, speriamo.

Ecco come rompere l'oligopolio delle agenzie di rating


Ecco come rompere l'oligopolio delle agenzie di rating


lunedì 16 luglio 2012
FINANZA/ 2. Ecco come rompere l'oligopolio delle agenzie di ratingInfophoto
Le agenzie di rating tornano nel mirino di governi, media e opinioni pubbliche negli stessi giorni in cui la “banda del Libor” subisce un colpo durissimo: certamente per alcune carriere e per la reputazione di certe piazze. Due oligopoli, quello dei rating e quello dei tassi-benchmark del mercato monetario. Il primo fatto di sole tre sorelle, tutte americane; il secondo un po’ più esteso nella globalità, ma sempre incardinato sull’asse Wall Street-City.
Ma del resto cos’era la finanza derivata alla vigilia del crac di Lehman Brothers? Le emissioni di collaterali di crediti immobiliari (quelli che hanno caricato mercati e banche di rischi esplosivi) era sostanzialmente un duopolio articolato: da un lato le due agenzie para-pubbliche (Fannie Mae e Freddie Mac), dall’altro molte major newyorchesi “dead walking” (Bear Sterns e Lehman) o poi salvate dal piano Paulson (Goldman Sachs, JP Morgan, Bank ok America). La cosiddetta finanza globale, in ogni caso, è ancora un mondo in cui sopravvive egregiamente il fixing dell’oro a Londra, tutt’ora elaborato quotidianamente dal “Club dei Cinque”: non più un oligopolio “old” di broker in bombetta come Samuel Montagu, ma un oligopolio “new” di cinque colossi bancari (ancora Barclays, Deutsche e SocGen, oltre a Hsbc e ScotiaBank). Pur sempre “Square Mile” come nel 1919: una rete ristretta di uffici e club nel cuore della City.
L’oligopolio finanziario “troppo grande per fallire” - avversario “duro a morire” per l’America di Obama come per l’Europa della Merkel - rimane dunque al centro del confronto intellettuale e politico più serio (ne è però fuori il ministro Fabrizio Barca, fino a ieri senior economist di Bankitalia e Ocse e dirigente generale del Tesoro: i giudizi di Moody’s, dall’oggi al domani, raffazzonano «chiacchiere da salotto»? Il tecnocrate neopopulista-snob si disilluda in fretta: come candidato-premier nel 2013 - Barca è stato preconizzato da alcuni come “nuovo Prodi” - Beppe Grillo è già avanti di dieci punti).
 Sulla distruzione dell’oligopolio duellano comunque da tempo - in modo particolarmente leggibile riguardo le agenzie di rating - la critica antimercatista (“di sinistra”) e quella ipermercatista (“di destra”) La prima - molto europea - ripete che il collasso dei mercati è stato causato dai suoi eccessi liberisti e che la ricostruzione “antisismica” esige più regole, freni più stretti, nuovi/vecchi muri. Opposto, ma non meno severo, l’approccio dei critici “mercatisti” (come, ad esempio, Luigi Zingales, italiano di Chicago): la crisi è stata originata da “troppo poco mercato” e la cura del pur grave “incidente di crescita” non può che essere l’immissione delle dosi mancanti di tutto ciò che avvicina all’archetipo della “concorrenza perfetta”.
Esemplare, pochi giorni fa, il commissario Ue al mercato interno, Michel Barnier: «Lei ha ragione - dice il commissario francese all’intervistatore - nel mercato dei rating c’è troppo poca concorrenza, favoriremo la nascita di nuove iniziative private. Ma la questione chiave è ridurre l’importanza delle valutazioni nei parametri usati dalla regolamentazione dell’attività creditizia». Ineccepibile: lo sanno per prime le banche italiane quale cocktail micidiale possa derivare dall’immissione di rating “privati” (generati dal mercato) in momenti di regolamentazione “pubblica” o “semi-pubblica” (principi contabili Ias, Basilea 3 e stress-test Eba, ecc.). In ogni caso la “vision” (comprensibile e in parte rilevante condivisibile) è “poteri pubblici contro poteri di mercato”. È la stessa che periodicamente mette sui tavoli del G-20 la “Tobin tax” (la tassa sulle transazioni in funzione di freno e “punizione” alla speculazione) o varie forme di messa al bando degli hedge fund.
Ma proprio nel caso dei rating è più visibile quanto i tentativi dei poteri pubblici di “ri-contenere”, almeno, i mercati, abbiano il sottile e proverbiale irrealismo di chi vorrebbe ricacciare il genio nella lampada o il dentifricio nel tubetto. Fino a un quarto di secolo fa, in un sistema finanziario spezzettato in aree valutarie nazionali fatte funzionare essenzialmente da Stati e banche con prodotti elementari (depositi e titoli di Stato) la vigilanza delle banche centrali sulla solidità degli intermediari era più che adeguata: svolgeva di fatto la funzione di assegnare “merito di credito”. È nei primi anni ‘80 che tutto cambia: i mercati finanziari diventano adulti, si aprono, si integrano, assumono dimensioni e complessità prima sconosciute.
I “supervisor” nazionali entrano in crisi e (come purtroppo si è verificato) perdono via via la capacità di controllare i rischi assunti degli stessi intermediari sottoposti alla loro vigilanza (lo stesso progetto Unione bancaria, fresco di firma, certifica l’obsolescenza delle vigilanze pubbliche nazionali, con buona pace dei nostalgici anti-mercatisti) Certamente, comunque, non era e non può essere compito dei “vigilantes” pubblici supportare le scelte degli investitori: dei piccoli risparmiatori privati o i grandi gestori istituzionali. Chi può dire a un fondo pensioni australiano quanto una banca italiana, uno Stato sudamericano, una multinazionale indiana è affidabile?
Alla fine riesce a dirlo, ha interesse a dirlo, solo il mercato medesimo: generando “arbitri” professionali e privati pagati dal mercato stesso, senza necessità di authority pagate dai contribuenti. Strutture che canalizzano il classico “passaparola”, che danno contenuto tecnico di giudizio e comunicazione riconosciuta al “nome su piazza” di una società, di una banca, di uno Stato. Standard & Poor’s e Moody’s nascono così nella Wall Street “d’antan”: un po’ gestori di dati e indici di Borsa, un po’ editori di newsletter, un po’ analisti, un po’ consulenti. Gli investitori sono disposti a comprare i loro servizi fino a quando risultano attendibili e aggiornati; gli emittenti di titoli sono disposti a pagare per fregiarsi del rating S&P’s in quanto giudicato attendibile, accettabilmente professionale e indipendente: sulla carta il modello “di mercato” sta in piedi. E l’impresa “profit” sembra vincere su tutta la linea: sollecitata dal mercato, produce servizi più efficienti e di qualità rispetto a un’authority burocratica, che non risponde al mercato ma allo Stato.
I conflitti d’interesse, i rischi di “cattura” da parte delle autorità pubbliche o del mercato? Il manuale del libero mercato dice che possiamo stare tranquilli: gli azionisti privati delle agenzie di rating (benché possano essere essi stessi attori del mercato) sanno che il valore del loro investimento (profitti e capitalizzazione di Borsa) è esclusivamente legato alla costante capacità “imprenditoriale” delle agenzie di stare sul loro mercato: di non sbagliare un colpo, di non essere sospettabili.
All’inizio del secolo ventunesimo la realtà - come quasi sempre - ha smentito sia teoria che la fantasia. Cinque giorni prima di un default epocale, nel settembre 2008, i rating di Lehman sono alti e stabili. Tre anni dopo è lo stesso presidente degli Stati Uniti a stracciarsi le vesti perché S&P’s ha tolto la tripla A al debito sovrano di Washington, mettendo in dubbio le capacità di governo del primo capo di Stato del pianeta (e questo, a rigore, potrebbe perfino essere un grosso punto di merito per l’oligopolio del rating: ma non per un presidente alla vigilia delle elezioni di riconferma e dopo aver fallito tutti i tentativi di rifare un po’ d’ordine a Wall Street). Già nell’estate 2011, comunque, una procura periferica del meridione italiano indaga sui metodi delle “tre sorelle” con criteri che - almeno per ora - né Sec, né Fbi hanno utilizzato. E i magistrati di Trani - attraverso intercettazioni e altre azioni investigative - scoprono che nel “mercato dei rating” c’è - come minimo - molta più approssimazione e molta meno trasparenza di quanto i manuali prescrivono e la “vulgata” dei mercati hanno fin qui raccontato. Sono i vizi tradizionali dell’oligopolio: che fare?
Non per coincidenza, il primo tentativo di portare nuova concorrenza a S&P’s, Moody’s e Fitch è venuto dalla Cina. Pechino non sarà la capitale di un sistema economico “di mercato”, ma - certamente più dell’Ue - ha chiare oggi tutte le dimensioni della “competizione globale” per averle sperimentate nel farsi largo sui mercati del pianeta. Dagong, l’agenzia di rating cinese, è un caso esemplare: è stata fondata nel ‘94, per alcuni anni ha compito una sorta di lungo “stage” presso Moody’s (naturalmente per “copiare l’arte”). Oggi la sua proprietà non è nota (ma è quasi certo un aggancio sostanziale con le autorità monetarie cinesi). I suoi rating sono ultra-severi e vengono citati dei media euroamericani ancora in chiave folkloristica: ma non più del tutto, dopo che Pechino ha investito porzioni crescenti delle sue riserve in debiti sovrani Usa-Ue.
In ogni caso, la Cina non ha ancora un’economia finanziaria di mercato compiuta , ma ha già la “sua” agenzia di rating (per ora semipubblica). L’Europa (o meglio: l’eurozona) rimane uno dei principali terreni di gioco della finanza globale, ma non ha sua agenzia di rating. Crearne una (o meglio ancora: due) da zero non è impossibile: la Bce è nata dopo pochi anni di incubazione nell’Ime e ha dato buona prova di governo monetario sotto stress. Ma stavolta sarebbe il mercato alla prova: UniCredit, SocGen, Santander, Deutsche Bank saprebbero impiantare un’agenzia competitiva? (Per una volta lasciamo stare la City: sono fuori dall’euro, remano contro sul “fiscal compact”, su Basilea 3 e su molto altro: se vogliono essere offshore, ci provino per davvero).
Chissà, il mercato stesso - da cui evidentemente indietro non si torna - apprezzerebbe altrettanto che le tre sorelle di Wall Street aprissero il capitale a investitori europei. Oppure che la più giovane (Fitch) riscoprisse le sue radici europee (e un pezzetto erano perfino italiane: Ibca). Vi fidereste di una nuova superagenzia “Moody’s-Dagong”? Chi scrive queste brevi note non sarebbe così diffidente: ovviamente quando le informazioni fossero interamente e indifferentemente accessibili attraverso Google e Baidu.


Ammutinamento su peschereccio italiano, ritrovati tre naufraghi

Motopescherecci
Un motopeschereccio sparito nel nulla con il suo comandante e parte dell’equipaggio: la Guardia costiera di Siracusa e quella greca indagano in queste ore per capire la dinamica dei fatti.
Le ricerche sono partite verso le ore 16.00, quando un membro dell’equipaggio del Fatima II, di Portopalo di Capo Passero (Siracusa), ha telefonato con il suo cellulare ad un familiare per avvertirlo di essere a bordo di una scialuppa di salvataggio, mentre altri due suoi compagni si trovavano nelle vicinanze, su un’altra zattera.

La centrale operativa delle Capitanerie di Porto, messa al corrente dell’accaduto, ha subito diramato una ricerca di soccorso, chiedendo collaborazione alle guardie costiere di GreciaMaltaTunisiaEgitto e Libia. Tre ore prima effettivamente il proprietario del motopesca Fatima II si era recato alla Guardia costiera di Siracusa dicendo che non riusciva più a contattare l’imbarcazione, impegnata nella pesca a 95 miglia dalle coste libiche.
I tre pescatori italiani sono stati avvistati da un mercantile delle isole Marshall che ha 
allertato la Guardia costiera greca, la quale li ha poi presi a bordo e condotti in salvo a Creta.
 I tre naufraghi hanno raccontato che nella notte fra venerdì e sabato, mentre loro si 
trovavano sotto coperta, hanno udito degli spari e si sono precipitati fuori, trovando tuttavia il boccaporto chiuso; dopo essere riusciti ad aprirlo, si sono però ritrovati di fronte gli altri tre membri dell’equipaggio, due egiziani e un tunisino, che li hanno aggrediti, minacciati e abbandonati sulle scialuppe di salvataggio, allontanandosi con il motopeschereccio.
L’ipotesi più plausibile per gli inquirenti è che sia nata una discussione fra i marinai stranieri e il comandante italiano, di cui non si hanno ancora notizie, e che in seguito alla lite sia avvenuto l’ammutinamento.
Il Fatima II è ora ricercato da tutte le guardie costiere dell’area, in particolare da quella egiziana, poiché si sospetta che i fuggiaschi siano diretti in Egitto.



Ancora su g8 di Genova


Contenti loro, contenti tutti?

Questo titolo andrebbe formulato diversamente. Nel senso che avreste dovuto leggere, più correttamente: se sono contenti loro, devono essere contenti tutti? Per quali motivi?
Chi sono “loro” e perché dovrebbero essere “contenti”?
“Loro” sono le vittime della “macelleria messicana” – così fu definita dai media di sinistra e da quelli “progressisti” – che caratterizzò le manifestazioni svoltesi a Genova nell’ormai lontano 2001, in occasione del G8.
E la ragione per cui le “vittime della macelleria  messicana” durante il G8 di Genova  del 2001 dovrebbero essere “contente” è che, nei giorni scorsi, la Corte di Cassazione ha confermato le condanne dei principali responsabili, nelle fila delle cosiddette “forze dell’ordine” (come no? al solito, l’ordine dei cimiteri), della mattanza alla scuola Diaz..
In realtà, l’impudenza degli incapaci e dei vigliacchi (non alludiamo, in questo caso, alla sbirraglia) è pari soltanto alla loro fellonia.
Gli stessi che, a Genova, nel 2001, condussero un intero movimento di massa al massacro prima fisico e poi, di conseguenza, politico (essendo l’uno il presupposto e la condizione dell’altro, come dimostra una varietà di episodi e di esperienze storiche), le canaglie senza ideali, senza idee e senza fama che, al pari della sbirraglia la quale vide premiata la propria ferocia belluina con la promozione ai vertici della Polizia, entrarono in Parlamento, europeo o nazionale poco importa, la differenza consistendo soltanto nella differenza di reddito percepito, sulla spinta delle lotte e… delle manganellate dei Soliti Noti (e lo fecero grazie al voto degli Utili Idioti dei Centri Sociali); ebbene, costoro, dicevamo, oggi sono tornati ad essere per l’appunto, contenti.
E’ contenta Heidi  Giuliani, la madre del “ragazzo Carlo”, il black blok che si tenta ancora disperatamente di considerare una “vittima innocente della Violenza”, ovviamente con la V maiuscola, come avviene per tutti i fenomeni aclassisti e dunque generici ed astratti alla stregua dei precetti morali e dei principi della religione cattolica..
Giustizia c’è benché incompleta (bontà sua!, ndr), anche se le responsabilità sono più ampie e penso all’assoluzione dell’allora capo della Polizia e al mancato processo per la morte di mio figlio”, ha dichiarato ai giornalisti, ovviamente tutta (o quasi) “contenta”.
“Contento” anche ‘immancabile Niki Vendola, per il quale “la nube tossica che per undici anni ha coperto la mattanza di Genova si è dissolta”.
Peccato solo che, a ritardare la (presunta) “dissoluzione” della (reale) “nube tossica” sia stata non solo la Sinistra parlamentare dalle cui fila l’esponente pugliese proviene, la quale impedì, nel 2007, la formazione di una Commissione di inchiesta sui “fatti di Genova del 2001”, ma lo stesso Partito della Rifondazione Comunista, di cui Vendola è stato dirigente. Rifondazione, infatti, insieme con il PDL l’UDC ed il PDmenoL (leggi: le canaglie ex piciste), nel 2006 votò il famigerato indulto-Mastella, salvando in tal modo dalla galera la sbirraglia responsabile dei pestaggi alla Diaz.
Tutti “contenti”, dunque.
Sicuramente anche il “compagno”-rabbino Fini, all’epoca vice-presidente del Consiglio, che era presente nella sala operativa della Questura a dirigere le operazioni.
E il leghista Castelli, questo nano da giardino avanzo di una letamaia bergamasca, che, mentre erano ancora in corso i pestaggi, alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se era giusto tenere in piedi e con la faccia contro il muro per tutta la notte un giovane, rispose che non c’era nulla di cui scandalizzarsi, visto che anche i suoi operai stavano in piedi tutto il giorno.
Ed il reparto della Celere di Roma noto per i suoi picchiatori.
E gli sbirri tanto cari a al “compagno” Pasolini ed alla “Società per la protezione degli Animali” con i telefoni con “faccetta nera” come suoneria, esibiti e suonati a scherno ai ragazzi a cui erano stati strappati dalla carne viva i piercing…
E, per concludere questa carellata disgustosa di orrori e di mostri, contento lo stesso Mario Placanica, il carabiniere responsabile dell’assassinio di Carlo Giuliani che, negli stessi giorni della sentenza della Cassazione, è stato rinviato a giudizio dal GIP di Catanzaro per “pedofilia ed abusi sessuali nei confronti della figlia della sua seconda moglie, una ragazzina di 11 anni”…
Contenti loro, contenti tutti, allora?
“Ma fateci il piacere” (Totò), fateci…

Motocross: Cairoli vince in Lettonia


Motocross: Cairoli vince in Lettonia



Tony Cairoli vince il Gran premio di Lettonia e ritorna cosi’ in testa al mondiale della MX1 di motocross, con 12 punti di vantaggio su Clement Desalle. A rovinare la festa del pilota siciliano della Ktm, primo in gara 1, la caduta nella seconda manche con la rottura di un legamento del polso sinistro che non gli ha comunque impedito di concludere al secondo posto gara 2. ”In settimana faro’ un po’ di fisioterapia per essere in piena forma gia’ dalla prossima gara”, ha spiegato a fine gara.