lunedì 28 aprile 2014

Halevi: liquidare il Pd e l’euro-regime che taglia i salari

Halevi: liquidare il Pd e l’euro-regime che taglia i salari


Non penso assolutamente che l’euro sia un progetto con orizzonti mondiali. Nasce in Europa e nemmeno tanto inEuropa. Nasce in Francia, la Germania non lo voleva. E morirà tra la Francia e la Germania. L’euro ha creato un consenso politico ed economico, non solo da parte dei gruppi capitalistici con più voce in capitolo, per una gara tra chi riesce ad imporre con maggior successo la deflazione salariale. È questo l’elemento che cementa le diverse componenti del capitale europeo. Se non fosse per quest’aspetto, l’euro sarebbe già saltato per reazione del resto dei paesi dell’Eurozona alle azioni unilaterali della Francia e della Germania, come ad esempio l’annuncio di Parigi e Berlino sul finire del 2002 di non voler rispettare i parametri di Maastricht. E infatti Olanda e Austria protestarono, ma Francia e Germania non li presero nemmeno in considerazione. Italia zitta, ovviamente. Purtroppo non si può uscire dall’unione monetaria se non si esce anche dall’Ue.
Per poter permettere l’uscita soltanto dall’Ume sarebbe stato necessario includere nei Trattati una separazione tra Eurozona e Ue – cosa che non c’è, Cuperlo e Renzicome non c’è alcuna clausola di uscita nei testi che legalizzano l’unione monetaria. In Italia il risparmio delle famiglie – al 3,6% del reddito disponibile secondo l’ultimo “economic outlook” dell’Ocse – è crollato per via della crisi aggravata dalle politiche di austerità, e quindi per via del connesso calo degli investimenti. Non si può tornare a Keynes, perché a Keynes non ci si è mai arrivati se non attraverso il “keynesismo militare” del periodo 1947-71 o forse ‘47-74. Infine, con o senza riferimento a Keynes, anche dopo la fine di Bretton Woods gli Usa non hanno mai abbandonato unapolitica fiscale attiva, finalizzata agli obiettivi dei gruppi capitalistici che, di volta in volta, controllano il governo. Durante Bush il Piccolo, la presidenza Usa non ha mai posto un veto alle proposte di espansione della spesa federale inoltrate dai repubblicani.
Tutte queste spese hanno avuto sì degli effetti “keynesiani”, soprattutto l’ulteriore militarizzazione lanciata da Reagan, ma non vennero effettuate con obiettivi keynesiani di piena occupazione. Servono però a dimostrare che le idee secondo cui il neoliberismo ha implicato meno Stato, meno spesa pubblica, e più mercato sono sbagliate. C’è stato più Stato e più capitale privato. La fase apertasi col 2007 mette in crisi anche le visioni secondo cui dal 1980 in poi, cioè con Ronald Reagan e Margaret Thatcher, il sistema economico sarebbe stato gestito da politiche neoliberiste volte a ridurre il ruolo dello Stato a favore del mercato. Invece, per molti versi organismi statuali insindacabili (come quelli dell’Ue) hanno aumentato la loro azione ed ingerenza negli affari economici, intervenendo attivamente nelloReaganspostamento dei rapporti economici e sociali a favore non solo del capitale in generale ma dei gruppi capitalistici prescelti.
Infine si è dimostrata errata l’idea che la crisi sia il prodotto della moderazione e stagnazione dei salari, negli Usa prima e progressivamente anche in Europa, che ha spinto le famiglie a indebitarsi. Credo che la dinamica sia stata differente. La stagnazione salariale e le trasformazioni finanziarie, sempre appoggiate dallo Stato fin nei minimi particolari, hanno permesso di acchiappare due piccioni con una fava. Da un lato la stagnazione salariale riduceva la pressione sul costo del lavoro e – cosa ben più importante del costo del lavoro – riduceva soprattutto la possibilità di resistenza organizzata alle decisioni manageriali. Negli Stati Uniti, le delocalizzazioni industriali – prima verso il Messico e poi massicciamente verso la Cina – sono andate di pari passo con l’indebolimento salariale e sindacale, che sono stati gli strumenti sociali usati per effettuare tali delocalizzazioni.
In parole povere: non avrebbero potuto traslocare con questa facilità se i dipendenti non fossero stati già in crisi profonda, tale da non poter offrire grande resistenza. Dall’altro lato le trasformazioni finanziarie, l’invenzione di nuove forme di moltiplicazione dei titoli, sempre rese possibili dalle politiche degli organismi statali, hanno creato ciò che Riccardo Bellofiore ha chiamato keynesismo finanziario privatizzato. In altri termini l’indebitamento non è stato soltanto l’elemento che ha controbilanciato la stagnazione salariale. È andato molto più in avanti. Il sistema giuridico statale ha dato facoltà alle società finanziarie di cercare e creare i soggetti da indebitare anche nelle classi di reddito più basse, che altrimenti non avrebbero potuto accedere ad una tale massa di prestiti. In questo modo dagli Usa è stata sostenuta la Operaie in Cinadomanda effettiva mondiale: tramite le delocalizzazioni e con le conseguenti importazioni dal resto del mondo.
A ben guardare, i paesi che negli anni 1985-2007 hanno avuto un tasso di crescita degno di questo nome sono Cina, India, Usa e pochi altri. Negli Usail tasso di crescita pro capite è stato moderato, ma quello aggregato – che include l’aumento di popolazione – è stato maggiore che in Europa o Giappone. Pertanto il processo che è sfociato nella crisi del 2007 evidenzia come sia erronea la contrapposizione di capitalismo finanziario ad economiareale. La fase iniziata con le politiche reaganiane si basa sull’integrazione dei due aspetti, al punto che è impossibile fare delle distinzioni. A Keynes non si può ritornare perché non ci si è mai arrivati, né ci si arriverà. Lo predisse Keynes stesso in un articolo apparso sulla rivista americana “The New Republic” nel 1940. Keynes sostenne che le democrazie liberali non avrebbero mai accettato di aumentare la spesa pubblica ad un livello tale da poter convalidare la sua concezione Marine Le Pendell’economia. Nei fatti questo livello venne però raggiunto e superato, ma grazie al pilastro rappresentato dal keynesismo militare.
Oggi non è questione di andare oltre Keynes né di ritornarci, dato che le probabilità di un ampio consenso sociale interclassista intorno alle politiche dette keynesiane si allontana sempre di più, a meno che non sorgano delle esigenze militari globali che coinvolgano sia gli Usa che l’Europa e l’Asia capitalistica. Allo stato attuale la crisi ha allontanato ulteriormente la possibilità di un compromesso interclassista keyensiano. Non ci credono gli imprenditori, non ci credono i think tanks, non ci credono politici e banchieri centrali; mentre il lavoro dipendente, il precariato e i disoccupati non hanno espressioni politiche coerenti rilevanti nell’ambito degli schieramenti parlamentari. Di fronte a ciò abbiamo la concreta prospettiva di un massiccio voto operaio a formazioni di destra come nel caso del Front National in Francia. Ritorno ai cambi flessibili? L’horror story dell’euro non risiede nell’impossibilità di svalutare o rivalutare. A mio avviso su questo terreno ha valore l’affermazione di Lenin riguardo il secolare scontro tra libero scambio e protezionismo. Né l’uno né l’altro, sostenne Lenin, bensì monopolio statale sul Joseph Halevicommercio estero.
Precaria la precaria posizione dei sindacati di oggi – sono pessimi organismi, spesso corrotti e imboscati nei meandri della politica. Però sono necessari: senza di loro, come argomentò un grande economista matematico metà neoclassico e metà marxiano, Michio Morishima, la società capitalistica tenderebbe verso la schiavitù. Comunque, se oggi si vuole ascrivere allo Stato un ruolo di datore di lavoro, dovrebbe essere quello di datore di lavoro di prima istanza. Le società europee stanno tendendo verso la piena disoccupazione e precarizzazione. Il toro lo si può affrontare solo prendendolo per le corna: organizzare lotte con idee chiare in testa. Cioè la socializzazione pianificata degli investimenti e, necessariamente, per delle politiche monetarie e fiscali subordinate a quest’obiettivo. Tuttavia per queste lotte non ci sono le condizioni. In Italia la formazione di tali condizioni deve passare per una radicale trasformazione della Cgil e per la dissoluzione del Pd. I nuovi quadri dovranno inoltre essere altamente preparati sui temi economici di cui abbiamo discusso. Impossibile.

Quegli 80 euro, il prezzo della paura che hanno di noi

Quegli 80 euro, il prezzo della paura che hanno di noi


L’importante, per decidere il nostro futuro, è che tutti sappiano come ci si è arrivati e perché, a questi 80 euro. Ci si è arrivati cioè come misura emergenziale a fronte di una situazione sociale che incuteva, ormai, vero terrore nelle classi dirigenti economiche, finanziarie e mediatiche di questo paese. Vale a dire che dopo trent’anni di lotta di classe dall’alto verso il basso e di aumento della forbice sociale, dopo cinque anni di austerità, precarizzazione e disoccupazione, ci si è accorti di avere un po’ esagerato. E che, esagerando, si rischia di far crollare tutto. Di far cadere a pezzi tutto il sistema. Alle urne o fuori dalle urne. In modi imprevedibili ma comunque paurosi.
E allora, da sempre, si fa così: dare qualcosa – non molto, ma qualcosa – per vedere cosa succede. Se basta a calmare le acque. Se fra un anno questa Renzidonazione si può togliere o ridurre. O se, al contrario, le tensioni saranno tali da doverla aumentare o estendere ad altri. È così, da sempre. E «il potere vestito d’umana sembianza che volge lo sguardo a spiar le intenzioni degli umili, degli straccioni». Quindi, di nuovo, fanno schifo questi 80 euro, fa ridere il fatto che il governo abbia rinunciato (ad esempio) a un solo F35 per finanziare questa dazione? No, non fanno schifo – e non fa ridere la rinuncia a Alessandro Gilioliun solo aereo, perché un F35 in meno è meglio di un F35 in più.
Basta sapere che accontentarsene e appagarsene – anziché esigerne altri 800, altri 8.000 da parte di chi ha meno – cambierà di nuovo la tendenza, farà ripartire la lotta di classe dall’alto verso il basso, riallargherà la mostruosa forbice sociale che si è creata da tempo: e lo farà molto oltre questi 80, benedetti, euro che dal mese prossimo arriveranno in tasca a una fetta di italiani.

lunedì 14 aprile 2014

L’unità segreta che provoca gli incidenti in piazza

L’unità segreta che provoca gli incidenti in piazza

L’unità segreta che provoca gli incidenti in piazza
Scontri a Roma il 12 aprile 2014 
Scontri a Roma il 12 aprile 2014
Genova: chi è il black bloc? 
Genova: chi è il black bloc?
Black bloc a Genova  luglio 2001 
Black bloc a Genova
luglio 2001
Un gruppo segreto che agisce dietro le linee dei cortei. Uomini che si mettono nelle ultime file dei manifestanti e tirano pietre, biglie di ferro con la fionda, molotov (ma anche altro) verso la polizia. I poliziotti in divisa, in tenuta antisommossa, non sanno che quei “giovani“ antagonisti sono loro colleghi. Oggi si mettono la kefia o la sciarpa per coprirsi la faccia, ieri usavano il mefisto. Oggi si vestono di nero, ieri si mascheravano con l’eskimo. Sono loro che hanno ucciso Giorgiama Masi, sono loro che hanno provocato gli incidenti durante il G8 a Genova, nel luglio 2001, sono loro che ieri a Roma hanno dato il via alla guerriglia. Questo non significa che non esistano le reti internazionali di gruppi violenti organizzati, di “autonomi“ o no global, significa piuttosto che serve qualcuno che inneschi la miccia, per poi spegnere l’incendio con la forza. Non sempre entrano in azione. Soltanto quando il Ministero degli Interni ritiene che vi siano le congiunture che lo richiedano. Non hanno alcuna connotazione politica: possono apparire di estrema destra o di estrema sinistra. Loro sono addestrati all’intossicazione della piazza, alla guerriglia urbana e accettano di far parte di questa unità molto particolare perché sono convinti di rendere un servizio di difesa alla democrazia. In linea di massima sono persone molto preparate e in buona fede e non c’entrano nulla con le vicende come quelle genovesi della scuola Diaz o della caserma di Bolzaneto. La strategia della tensione, per quel che riguarda le manifestazioni di piazza, è stata possibile anche grazie all’esistenza di questo gruppo di agenti che si infiltrava. Da quanto sono riuscito a ricostruire l’ispiratore di questa metodologia fu Francesco Cossiga: quando fu uccisa Giorgiana Masi, 18 anni, era lui il ministro degli interni. E qualcuno diede l’ordine di sparare quel colpo di pistola durante la manifestazione del Partito radicale a favore dell’aborto. Questi uomini ombra usati per i lavori sporchi in ottemperanza alla “ragion di Stato“, non comparivano e nhon compaiono in nessun elenco ufficiale, in un nessuna delle “burocrazie ministeriali“, anche se hanno le dotazioi d’ordinanza. Spesso venivano e vengono mandati anche all’estero a supportare le missioni di pace. Nessuno sapeva e sa della looro presenza nel teatro di operazione, pero’ c’erano, aizzavano, sparavano, colpivano e sparivano. Il punto è questo: hanno capito. E non è escluso che il prossimo ordine lo eseguiranno nei confronti di chi gli lo ha dato
Marco Gregoretti

venerdì 4 aprile 2014

Gay intolleranti

Gay intolleranti



Altro che caso Barilla, il patron della pasta costretto alla pubblica umiliazione per aver detto che credeva nel matrimonio naturale. Con Brendan Eich, capo di Mozilla e creatore di software, l'intolleranza gay friendly ha raggiunto un nuovo traguardo. Eich aveva donato, nel 2008, mille dollari alla campagna in favore del “sì” al referendum della California per vietare i matrimoni gay. Bene, dopo una settimana di offese personali, richieste di scuse e oltraggi verbali e ideologici da parte di orrendi social network e militanti omosessualisti, Eich ieri si è DIMESSO. Andrew Sullivan, icona gay americana con la testa sulle spalle, ha difeso Eich, dicendosi "disgustato". La libertà di parola in occidente è a rischio non soltanto a causa dell'islamicamente corretto di orridi penpensanti e orrendi tagliagole, ma anche a causa di questi felloni gay che vogliono imporci il loro modo di vivere.

La Cgil esaudisce il sogno di Renzi: fine dei sindacati

La Cgil esaudisce il sogno di Renzi: fine dei sindacati


Quel terribile applauso che nella trasmissione di Fazio ha sottolineato un passaggio particolarmente reazionario di Renzi fa venire i brividi. Il presidente del consiglio ha affermato che farà lavorare i disoccupati, e se i sindacati si opporranno pazienza. Quindi secondo Renzi e il pubblico di Fazio i sindacati sarebbero contrari a far lavorare i disoccupati, quindi i disoccupati ci sono anche per colpa loro. È una vecchia baggianata che periodicamente percorre gli umori della destra: i sindacati hanno rovinato l’Italia e ora il presidente nuovo e moderno la fa sua, approfittando della crisi evidente e della burocratizzazione di Cgil, Cisl e Uil. In questo modo Renzi strizza un occhio a chi verrebbe sindacati più forti ed efficaci e un altro a chi non li vorrebbe in nessun modo. È questo il suo modo di non essere né di destra, né di sinistra, cioè di essere di destra stando formalmente a sinistra.
Avendo passato un bel pezzo di vita sindacale a contestare la concertazione, posso ben dire che non sono a lutto per la sua fine, però non posso non tenere Giorgio Cremaschiconto del fatto che essa cade dal lato della finanza, delle banche e delle multinazionali, e non da quello dei dirittidel lavoro. Socialmente cade da destra. Noi che la contestavamo da sinistra abbiamo più volte denunciato il fatto che lo scambio che stava alla base della concertazione, rafforzamento del ruolo istituzionale di Cigil, Cisl e Uil in cambio della loro disponibilità ad accettare la regressione del mondo del lavoro, aveva qualcosa di insano. Questo scambio, il sindacato come istituzione stava meglio mentre per i lavoratori andava sempre peggio, non poteva durare all’infinito. Renzi e il sistema di potere che lo ha messo lì e che oggi lo sostiene sono ingenerosi. Grazie alla collaborazione o non opposizione dei grandi sindacati abbiamo avuto la caduta dei salari, la precarizzazione di massa per legge, il peggioramento delle condizioni di lavoro, un sistema pensionistico che è tra i più feroci ed iniqui di Europa.
Appena insediato come ministro dell’economia, Tommaso Padoa Schioppa spiegò che il suo governo, quello di Prodi, aveva gli stessi obiettivi di quello della signora Thatcher, solo li voleva realizzare con la collaborazione e non con lo scontro con i sindacati. Fino alla crisi la concertazione ha funzionato e lor signori dovrebbero essere riconoscenti alla moderazione sindacale. Ora però non serve più, con le politiche di austerità e i diktat della Troika, anche la sola immagine di essa non piace ai signori dello spread, per i quali il sindacato è negativo in sé. Come diceva il generale Custer degli indiani, per chi guida la finanza e ci giudica sulla base dei propri interessi, il solo sindacato buono è quello morto. Già nel libro verde del ministero del lavoro gestione Sacconi, si chiedeva il passaggio dal regime della concertazione a quello della complicità Tommaso Padoa Schioppacon le imprese. E questa è stata la richiesta dalla lettera Bce del 4 agosto 2011, assunta da Berlusconi che sperava così di salvarsi, e poi resa operativa da Monti.
Renzi è un puro continuatore di questa politica, ma è lì perché ha il compito di costruire attorno ad essa quel consenso che non ha mai avuto. Per questo dopo aver sostenuto Marchionne contro la Fiom, ora cavalca lo scontento sacrosanto che c’è verso la passività di Cgil, Cisl e Uil, ma per colpire il sindacato, non per rafforzarlo. Renzi ha lamentato che la Cgil si svegli dopo aver dormito venti anni, ciò che vuole è che quel sonno continui per sempre. Allacrisi e alla ritirata dell’azione sindacale Susanna Camusso e Maurizio Landini stanno reagendo in due modi conflittuali tra loro e comunque sbagliati. La segretaria generale della Cgil difende la linea ed i comportamenti della Cgil di oggi, ne nega la burocratizzazione e la passività e ripropone la concertazione su scala ridotta, come azione comune delle cosiddette parti sociali, sindacati eLandini e CamussoConfindustria tutti nella stessa barca.
L’accordo del 10 gennaio è una disperata difesa della casa che crolla, ma in realtà aggrava la crisi democratica del sindacato attraverso regole autoritarie e corporative. La risposta di Landini parte dalla giusta denuncia di questa crisidemocratica, ma poi finisce per scegliersi con interlocutore proprio quel Renzi che è avversario politico di un sindacato davvero rinnovato. Camusso, per non cambiare, si aggrappa all’intesa con Cisl, Uil e Confindustria, così prestando il fianco alla demagogia renziana contro le caste sindacali. Landini, che afferma di voler cambiare, si aggrappa a Renzi, così compromettendo tutto il senso della sua battaglia. Entrambe queste scelte sono il segno che la Cgil è una organizzazione in piena crisi, i cui gruppi dirigenti hanno sinora tentato tutte le strade tranne una. Quella di rompere con i palazzi della politica e del potere e con ogni collateralismo con il centrosinistra, per ricostruire la piena autonomia di azione sociale. Il sindacato deve cambiare e la sfida di Renzi va raccolta, ma proprio per lottare meglio contro il suo governo, ultimo esecutore delle politiche di austerità.

martedì 1 aprile 2014

Renzi, svolta autoritaria in vista della macelleria 2015

Renzi, svolta autoritaria in vista della macelleria 2015


Che c’azzeccano il Senato e l’Italicum con la crisi economica? Qualcuno si stupisce che il governo Renzi, in una situazione così drammatica, dia invece la priorità alla riforma di Palazzo Madama e della legge elettorale? «La spiegazione di questa apparente incongruità è chiara, purtroppo». Renzi, sostiene Marco Della Luna, è stato scelto «non certo per dimostrate capacità, ma per la sua immagine di bravo ragazzo a capo di un governo di giovani rassicuranti». E’ un’immagine che «lo rende idoneo, con l’aiuto di contentini demagogici su tasse e bollette, a far passare una riforma elettorale e del Senato estremamente pericolosa e aggressiva verso la democrazia e lo stesso impianto della Costituzione». Una riforma, dice Della Luna, che «prepara l’ambiente giuridico-costituzionale adatto in cui il successivo premier potrà esercitare una dittatura formalmente legittima per gestire un prevedibile e imminente periodo di peggioramento economico e di protesta sociale».
Quel premier, aggiunge Della Luna nel suo blog, «non sarà un ragazzotto inoffensivo», ma un uomo degli interessi finanziari, dei poteri forti, un Napolitanodelegato della Troika, che «macellerà l’Italia come la Troika ha macellato la Grecia, senza però che la Troika debba metterci la faccia», quindi scaricando sugli italiani la responsabilità di ciò che essa farà a loro. «Il peggioramento economico arriverà l’anno prossimo, con le decine di miliardi che annualmente l’Italia dovrà togliere ai contribuenti per l’abbattimento forzoso del debito pubblico (Fiscal Compact) in un trend già di avvitamento fiscale pluriennale». Prevedibilmente, continua l’avvocato Della Luna, l’Italia dovrà allora invocare l’aiuto, il bail-out, della Troika, accettare le sue “cure” e quindi reprimere l’ampio scontento popolare che, a quel punto, scoppierà. E allora «servirà una mano dura, un governo autoritario con poteri forti. Ecco a che cosa servono la riforma elettorale e del Senato. Ecco perché per questo governo sono prioritarie e vengono prima dei problemi economici».
In una situazione come la nostra, in cui l’Italia è indebitata sempre più – e il debito pubblico è denominato in euro, cioè «in una moneta praticamente straniera e tutta sbilanciata su poteri esterni alla repubblica» – avremmo bisogno di tutt’altro. Per esempio, di una riforma sovranista «che prevenisse da altre sospensioni della democrazia come quelle imposte ben tre volte dai manovratori del rating e dello spread attraverso Napolitano». E invece, arriva esattamente l’opposto. «Riflettete bene: sotto la pelle d’agnello di Renzi e dei suoi ragazzi un po’ ingenui, con le loro riforme, e con l’aiuto di un Berlusconi sempre più condizionabile giudiziariamente, stanno istituendo una nuova architettura costituzionale», in cui il capo del partito di maggioranza relativa – magari eletto solo da qualche milione di italiani – si prende praticamente tutto. Con le “riforme” imposte da Renzi, infatti, il segretario del partito si sceglie i candidati che gli vanno bene, e col voto di meno di un terzo degli elettori si prende la maggioranza assoluta nell’unica camera legislativa, Renzi e Padoanblindando a priori la fiducia al proprio governo.
Sempre il premier, con un pugno di voti, designerebbe anche il presidente della Repubblica (che a sua volta nominerebbe buona parte del Senato), ma anche «il presidente dell’unica camera legislativa, i giudici costituzionali, i membri laici del Csm e altre cariche di garanzia». Il neo-premier potrebbe anche revocare a piacimento i ministri e lasciare senza rappresentanza parlamentare partiti che raccolgono milioni di voti, ponendosi quindi «al di sopra di ogni controllo». La giustificazione, continua Della Luna, è che i tempi richiedono un premier forte e decisioni rapide. «E’ una giustificazione bugiarda perché queste esigenze di efficienza-rapidità e insieme di democraticità-legalità sarebbero molto facilmente soddisfatte senza rinunciare alle garanzie e alla rappresentatività vera del corpo elettorale: basta mantenere, accanto a una Camera dei deputati eletta con un sistema maggioritario e con sbarramenti, un Senato elettivo, riformato in modo che sia l’organo della rappresentanza fedele dell’elettorato e delle garanzie».
Per Della Luna, il Senato ideale potrebbe essere eletto con sistema proporzionale su base regionale e rinnovato per la metà ogni 3 anni. Non dovrebbe poter essere sciolto, non parteciperebbe alla normale attività legislativa e non voterebbe la fiducia (queste funzioni spetterebbero alla sola Camera dei deputati), salvo «un diritto di veto che può esercitare con maggioranza dei 3/5 dei membri su proposta di 1/3 di essi». Il nuovo Senato democratico, in compenso, avrebbe «competenza legislativa esclusiva per riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi sulla cittadinanza, leggi elettorali, ratifica di trattati limitanti la sovranità nazionale, messa in stato di accusa del presidente della Repubblica, decisioni su eleggibilità e decadenza di deputati e senatori, commissioni d’inchiesta, nomina del presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali, dei membri laici del Csm, dei capi di tutte le istituzioni di garanzia». Un tale sistema bicamerale, conclude Della Luna, sarebbe «così semplice e chiaro, lineare ed efficace nell’assicurare tutte le funzioni, l’efficienza e le garanzie, che il fatto stesso che non sia nemmeno proposto prova il pericoloso obiettivo del governo in carica e la corresponsabilità di chi lo sostiene in qualsiasi modo».

giovedì 20 marzo 2014

IL SEGRETO DI STATO SUL DELITTO DI ILARIA ALPI E MIRAN HROVATIN. ECCO LA VERITA' INDICIBILE

IL SEGRETO DI STATO SUL DELITTO DI ILARIA ALPI E MIRAN HROVATIN. ECCO LA VERITA' INDICIBILE






di Gianni Lannes



Il 20 marzo 1994 a Mogadiscio (Somalia), un commando somalo uccideva la giornalista inviata del Tg3 della Rai Ilaria Alpi e l'operatore tv Miran Hrovatin poco prima che mandassero in onda un servizio televisivo che a dir poco avrebbe ribaltato la prima Repubblica.

Il 22 marzo 1994 la procura della Repubblica di Roma apriva un'inchiesta. Il 17 gennaio 1995, si insediava la Commissione bicamerale di inchiesta sulla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. La citata Commissione si occupò anche del «caso Alpi», tant' é vero che, nel corso di in un'audizione, veniva alla luce che la giornalista Ilaria Alpi era impegnata in un'inchiesta giornalistica su un traffico di armi, che coinvolgeva la flotta di pescherecci italosomala denominata «Shifco».

La procura della Repubblica di Roma, in data 25 giugno 1996, ordinava una seconda perizia balistica, che contrastava radicalmente con la prima perizia e che induceva a concludere che il colpo d'arma da fuoco, che aveva ucciso Ilaria Alpi, fosse stato sparato a bruciapelo ad una distanza ravvicinata. Alla stessa conclusione arrivò anche la terza perizia (18 novembre 1997), che sostenne che si trattò di una vera e propria esecuzione.

Tale Gianpiero Sebri, coinvolto in indagini sul traffico internazionale per lo smaltimento di rifiuti tossico-nocivi, nel dicembre del 2000, in un'intervista rilasciata al settimanale Famiglia Cristiana, affermava che l'allora direttore del Sismi, il generale Luca Rajola Pescarini, nella primavera del 1994, lo aveva informato che la questione dei due giornalisti Rai era stata «sistemata»; versione questa confermata nel 2002 davanti ai giudici della Corte di assise di Roma, titolare del processo d'appello bis al somalo Hassan. Nel corso dell'interrogatorio, il signor Sebri riferiva di due distinti incontri con il generale Rajola e con l'imprenditore Giancarlo Marocchino, nel corso dei quali si sarebbe discusso dell'interesse dei giornalisti per i traffici illeciti in Somalia. L'incontro più importante sarebbe avvenuto con Rajola e Marocchino (imprenditore con interessi in Somalia) nell'ottobre del 1993.

 audizione di Faduma Aidid (9 novembre 2000)

Il direttore del Sisde, generale Mario Mori, durante l'interrogatorio davanti alla Corte d'assise di appello di Roma, confermava l'esistenza di rapporti del servizio segreto civile nei quali si faceva riferimento all'organizzazione del duplice omicidio da parte di un gruppo di mandanti. Al generale Mori il collegio della Corte d'assise chiedeva se intendesse rivelare la fonte delle notizie, ma il generale Mori si rifiutava di rispondere, rifacendosi all'articolo 203 del codice di procedura penale, che consente al personale dipendente dei servizi di non rivelare i nomi dei propri informatori.

Matteo Renzi l’attuale presidente consiglio dei ministri pro tempore, di fronte a vicende gravissime quali quelle considerate, non ritiene di assumere iniziative immediate affinché la ricerca della verità non sia subordinata alle esigenze dei servizi segreti?

In questi giorni convulsi più di prima imperversano sui mass media - anche fintamente critici - i soliti depistatori di professione: essi, ora chiedono a gran voce la desecretazione di un fantomatico dossier dei servizi sulla morte di Ilaria e Miran. In realtà, c'è un generale dell'Arma, che in sede processuale si è avvalso della facoltà di non rispondere. Le sue fonti coperte sono a conoscenza dell'identità dei mandanti del duplice omicidio. L'unica persona che avrebbe potuto sollevarlo dal segreto, ossia il presidente del consiglio dei ministri (un tessera P 2 numero 1816, condannato con sentenza passato in giudicato a 4 anni di reclusione e a due anni di interdizione dai pubblici uffici), però non ha fiatato, anzi non ha neanche risposto ad alcuni atti parlamentari in tal senso. A parte una manciata di deputati, tanto tempo fa, nessuno ha obiettato alcunché anche e soprattutto nel fronte che a parole reclama la verità. Ma quale?


In Italia il segreto di Stato - unitamente a quello militare - viene sovente utilizzato per coprire ogni genere di crimini e di illegalità. Allora: dall'Italia armi e rifiuti; e dalla Somalia disponibilità di territorio per occultare le scorie pericolose e bambini. Almeno è quello che emerge dal racconto di Faduma Aidid, amica e fonte informativa di Ilaria Alpi. La sua esplosiva audizione, però, è rimasta sepolta in un cassetto del Parlamento.


  audizione di Faduma Aidid (9 novembre 2000)




Il generale dei carabinieri Mario Mori è un pò come il prezzemolo, ma invece che nelle pietanze, lo si trova negli intrighi di Stato: trattativa Stato & Mafia, oppure l'omicidio su commissione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il 21 marzo 2012 avevo scritto e pubblicato il seguente articolo:


ILARIA E MIRAN: assassinati dallo Stato italiano 

  

 hl

Relazione parlamentare.

Ilaria e Miran (foto Raffaele Ciriello).


  audizione di Faduma Aidid (9 novembre 2000)