giovedì 16 gennaio 2014

Via i parassiti della finanza, e avremo ancora un futuro

Via i parassiti della finanza, e avremo ancora un futuro


Il principale processo storico che sta segnando il nuovo secolo, cioè lo spostamento del baricentro geopolitico dall’Atlantico al Pacifico, condanna l’Europa a diventare sempre più periferica. La crescente proiezione internazionale di una Cina punta chiaramente a diventare potenza navale oltreché commerciale, in Estremo Oriente ma anche in direzione dell’Africa e del Medio Oriente. Questo impegnerà direttamente gli Usa e li obbligherà ad una scelta fondamentale: Cina o ancora Giappone, come alleati strategici? Certo, Russia e India non staranno a guardare. E’ questo lo scenario nel quale Gaetano Colonna invita ad analizzare la grande crisi che sta travolgendo l’Eurozona. Se il vecchio continente perde terreno nel forziere petrolifero mediorientale, l’influenza cinese continua a crescere in teatri strategici per gli Stati Uniti, dall’Iran al Pakistan fino al continente nero, che rappresenta un’enorme riserva di materie prime e terre coltivabili.
Di conseguenza, osserva Colonna su “Clarissa”, torna alla ribalta il ruolo del Mediterraneo: decisivo snodo geografico e culturale tra Africa, Vicino Italia, mondoOriente ed Europa, il “mare nostrum” «diverrà, se possibile, ancora più rilevante di quanto non lo sia già stato dalla fine del XIX secolo, quale linea di comunicazione vitale per gli imperi anglosassoni, oltreché frontiera fra il Nord ed il Sud del mondo». Di recente, il protagonismo neo-coloniale della Francia (appoggiato da Usa e Israele) ha relegato l’Italia a «alla semplice condizione di piattaforma logistica dei grandi alleati occidentali». Ma se l’Occidente deve comunque fare il conti con la Cina, questo influisce anche sul nuovo ruolo della Russia di Putin, la cui condizione ricorda quella dell’impero zarista di cent’anni fa, schiacciato a oriente dalla potenza giapponese e ad occidente dall’impero germanico.
Oggi, riconosce Colonna, la politica estera russa ha costruito un asse preferenziale con la Cina, dato che in Occidente la pressione della Nato e degli Usa non si è minimamente allentata, né l’Unione Europea ha saputo smarcarsi dalla vecchia politica atlantica ereditata dalla guerra fredda. Smaltita la «passeggera ubriacatura filo-occidentale» del disastroso governatorato di Eltsin, «pur non perseguendo più una politica da superpotenza» la Russia post-sovietica «non rinuncia al suo ruolo di grande potenza sullo scenario mondiale», e per questo non rinuncia «ad una propria forte capacità militare, in grado di tutelare i propri fondamentali interessi strategici». Ora, alla luce della nuova gravitazione del mondo sull’Oceano PutinPacifico, si tratta di vedere se la Russia di Putin «seguirà la propria vocazione asiatica oppure quella europea».
E’ davvero singolare, osserva Colonna, che l’Europa «continui a seguire pedissequamente i desiderata americani, rivolti ad isolare la Russia sul piano internazionale, invece di perseguire una propria assai più realistica politica di avvicinamento ed integrazione con il grande paese che costituisce la sola efficace copertura del nostro continente rispetto a qualsiasi ambizione cinese». Ma il peggio è in assoluto l’Italia: ancora una volta, il nostro paese si “scopre” collocato  – dalla geografia e dalla storia – al crocevia delle forze da cui dipende il futuro del pianeta, ma le classi dirigenti italiane non se ne sono accorte. In loro c’è una «evidente mancanza di coscienza» dell’importanza geopolitica dello Stivale. E questo è «uno dei fattori più gravi e preoccupanti della nostra attuale condizione storica». Colonna la definisce «devastante pochezza» di uomini «privi di un sentire vivamente operante e non retorico per la patria». Mezzi uomini, «colpevolmente ignari delle prove che anche l’Italia si troverà presto a dover affrontare».
Là fuori, infatti, impazza la grande crisi: ci si muove tra macerie economiche, provocate dall’oligarchia finanziaria che ha devastato la “democrazia del lavoro”. «La lezione del 2007-2008 non è stata compresa: basterebbe questa affermazione per definire lo scenario dell’economia mondiale dei prossimi mesi e anni», sostiene Colonna. «I grandi centri finanziari mondiali, che elaborano le strategie sistemiche dell’economia mondiale, dimostrano di non volere e di non potere rinunciare all’orientamento speculativo che è insieme all’origine della crisi che ha investito il sistema-mondo nell’ultimo quinquennio». Questa avidità cieca è anche «il fondamento stesso del potere dei “padroni dell’universo”, come questi oligarchi amano definirsi». Lo dimostra il fatto che «nessuna delle regolamentazioni statunitensi o europee ha affrontato le tre questioni che avrebbero dovuto essere preliminari all’adozione di qualsiasi modalità di risoluzione della crisi». Ovvero: paradisi fiscali, finanza speculativa fuori controllo e agenzie di rating che si fingono Wall Streetsoggetti terzi, ma sono in realtà pilotati e pienamente complici dei grandi speculatori.
L’Occidente ha risposto in un solo modo, cioè tutelando i monopolisti del crimine finanziario: negli Usa coi salvataggi delle banche “troppo grandi per fallire”, tenute in piedi coi dollari della Fed, e in Europa spremendo senza pietà paesi interi, con super-tasse e tagli selvaggi alla spesa vitale, cioè “fiscalizzando” le rovinose perdite del sistema finanziario internazionale, il cui conto viene fatto pagare ai lavoratori. Nessuna alternativa in campo, finora, «per il semplice fatto che, da oltre mezzo secolo, sono i centri finanziari mondiali a condizionare gli Stati-nazione dell’Occidente, grazie alla formazione di una vera e propria classe dirigente internazionale che occupa con continuità le posizioni chiave, indipendentemente dalle alternanze di governo e dalle competizioni elettorali». Classe dirigente «cui viene affidata la puntuale esecuzione di strategie economiche, monetarie e legislative costruite a livello globale». Si tratta di «una vera e propria oligarchia economico-politica internazionale, che ha progressivamente svuotato di significato la democrazia parlamentare occidentale», visto che il popolo è stato privato della sua prerogativa essenziale (la sovranità) e anche della sua principale forza politica (il lavoro).
La finanziarizzazione dell’economia ha infatti trasformato i sistemi industriali, togliendo al lavoro ogni potere contrattuale: dagli anni ’80 la finanza controlla le aziende, i cui pacchetti azionari sono diventati “merce” sui mercati finanziari mondiali, distogliendo il management dall’economia reale, cioè strategie produttive e commerciali. Conseguenza: progetti dalla vita sempre più breve, anziché investimenti, ricerca e sviluppo. Da parte della proprietà industriale, si è così «accentuata la tendenza a servirsi degli utili per entrare nel grande gioco finanziario, piuttosto che reinvestire nel futuro delle imprese». Per questo, oggi, i grandi gruppi bancari «preferiscono investire i generosi aiuti ottenuti a spese della collettività nell’acquisto di titoli di Stato piuttosto che nel credito alle Pmi». E il peggio è che tutto Bcequesto è avvenuto nel silenzio generale della politica, incapace di elaborare un’alternativa «ai dogmi dell’economia speculativa».
Risultato: «Si è persa l’occasione per prendere coraggiosamente atto della crisi come di un evento globale e non contingente, esigendo quindi, da parte delle classi dirigenti, un radicale mutamento di rotta». Pre-condizione: l’emancipazione dell’economia reale. «Imprenditori, lavoratori e consumatori» dovrebbero cioè liberarsi «dal controllo dell’oligarchia finanziaria e dalla strumentalizzazione politica dei partiti», prendendo il mano «istituzioni autonome dell’economia reale», in grado di «esigere il controllo, per esempio, della moneta e del credito». Inoltre, la crescente consapevolezza dei “limiti allo sviluppo” «impone anch’essa che le forze dell’economiareale, piuttosto che rincorrere le asticelle statistiche della “ripresa”, si impegnino a riorganizzare la produzione», in tutti i campi: energia, tecnologia, servizi, beni di largo consumo. Servono «prodotti a basso impatto, recuperabili, di elevata qualità e durata». In sostanza, per Colonna, serve una nuova alleanza strategica: imprenditori, lavoratori e consumatori devono accordarsi per sconfiggere la finanza parassitaria, e quindi «liberare l’economia dal peso congiunto del debito e della speculazione, realizzando quella democrazia del lavoro senza la quale la democraziapolitica è ormai divenuta un guscio vuoto».

Lira più euro: terza via, per evitare la morte dell’Italia

Lira più euro: terza via, per evitare la morte dell’Italia


Mantenere lo scudo dell’euro come valuta internazionale di scambio, ma tornare subito alle monete sovrane nazionali: è l’unica via per salvare l’economia dei paesi rovinati dalla moneta unica europea, cioè tutti tranne la Germania. Per Enrico Grazzini, si tratta semplicemente di recuperare lo storico progetto del Bancor, avanzato da Keynes a Bretton Woods. Prima, però, le forze politiche devono capire – una volta per tutte – che l’attuale euro-sistema non è che sia “in crisi”: al contrario, è stato progettato esattamente per funzionare così, cioè premiando solo i tedeschi a danno di tutti gli altri. Obiettivo finale evidente: indebolire l’Europa sulla scenario geopolitico. «Oggi perfino Romano Prodi, l’uomo politico che ha fatto entrare l’Italia nell’euro, riconosce che l’Europa è un disastro, una minaccia». La Germania «impone all’Europa una sorta di nuovo Trattato di Versailles». Neoliberismo sfrenato, estremistico. Risultato: milioni di famiglie sul lastrico, aziende in crisi, catastrofe sociale ed economica.
Innanzitutto, scrive Grazzini su “Micromega”, occorre «riconoscere che questa Ue è diventata esattamente il contrario di quella auspicata dai padri eurocostituenti». Ovvero: «Non è più un progetto di libertà, di democrazia, di cooperazione e di pace tra i popoli, ma il preciso disegno di centralizzare rigidamente l’economia dei paesi europei sotto la guida tedesca per imporre politiche neoliberiste di smantellamento delle economie nazionali a favore del capitale del nord Europa, Germania in testa». La dimostrazione più recente del miope disegno egemonico tedesco? «E’ il progetto fasullo di “unione bancaria”», appena approvato dai ministri delle finanze dell’Unione. Grazie all’intervento del tedesco Wolfgang Schäuble, che ha rifiutato ogni meccanismo di mutualizzazione dei rischi con copertura di fondi pubblici, il progetto peggiora drasticamente la situazione: «I privati (azionisti, obbligazionisti e i correntisti con più di 100.000 euro) si faranno carico in prima persona delle difficoltà delle banche in crisi, poi interverranno i fondi nazionali creati grazie a nuove tasse da applicare alle banche stesse, e infine tra dieci anni interverrà anche in ultimissima istanza un minuscolo fondo europeo sempre di origine bancaria».
In questo modo, cioè «senza alcuna copertura pubblica di livello europeo», secondo Grazzini «appena una banca sarà percepita come in difficoltà, i correntisti, gli azionisti e gli obbligazionisti fuggiranno, creando una spirale perversa di fuga. Il caso Cipro insegna». Così, in modo deliberato, «si incentiva il meccanismo di panico che condanna le banche dei paesi deboli a vantaggio delle banche dei paesi forti». Wolfgang Münchau, prestigioso editorialista del “Financial Times”, considera l’accordo per unione bancaria «un esercizio per prolungare il congelamento del credito bancario» inEuropa. Con questo accordo – che secondo Münchau non avrebbe dovuto neppure essere siglato dai governi dell’Eurozona, come del resto anche quello del Fiscal Compact, perché è suicida – i governi del sud Europa «si sottomettono senza condizioni ai desiderata tedeschi». Sicché, l’unione Munchaubancaria «rischia di diventare un boomerang pericolosissimo e di fare precipitare le crisi bancarie».
Anche le cosiddette “riforme strutturali” peggioreranno ulteriormente la situazione, continua Grazzini. La neoeletta premier Angela Merkel vuole imporre il suo progetto di austerità grazie ad accordi di programma per rendere “più competitiva” l’Europa – con lo smantellamento della sanità, dell’istruzione, la drastica compressione degli interventi pubblici, dei salari e delle pensioni, la diminuzione delle tasse per le corporations. «Gli accordi per le dolorose riforme strutturali, impopolari e del tutto inutili, verranno addirittura finanziati dalla Ue. Chi però non farà i “compiti a casa” andrà incontro a sanzioni automatiche imposte dalla Ue e dalla Troika – Ue, Bce, Fmi. In questa maniera si vuole imporre la sottomissione dei paesi europei». Di fronte a questo, si erge un ostacolo scoraggiante: la totale inconsistenza della politica, che in Italia non ha ancora “capito” quello che sta succedendo. «Puntare a riformare l’Unione Europea cedendo ancora quote di sovranità in campo istituzionale, finanziario ed Schaubleeconomico, costituisce un errore madornale: significa stringere la corda alla quale gli europei si sono impiccati».
Il sistema dell’euro, aggiunge Grazzini, «non è riformabile in queste condizioni politiche e in tempi compatibili con l’avanzare della crisi e della disoccupazione». Ma purtroppo – ed ecco il nostro grande problema – sembra che il ceto politico dirigente della sinistra «non sia all’altezza di comprendere la nuova realtà». Vendola «sogna ancora gli eurobond e la mutualizzazione dei debiti», e punta ad aderire (ancora senza risposta) al gruppo dei partiti socialisti europei che, a suo tempo guidati da Tony Blair e Gerhard Schröder, sono proprio quelli che più di altri «hanno promosso la deregolamentazione dei mercati finanziari e del lavoro». A sinistra di Sel, anche in Italia si tenta coraggiosamente di creare una lista di sostegno ad Alexis Tsipras, il dirigente di Syriza candidato della sinistra radicale europea alla presidenza della Commissione Ue. «Il gruppo della sinistra europea di opposizione è molto più realistico e critico verso l’euro, la Ue e le larghe intese italiane, tedesche e greche. Tuttavia anche la sinistra europea sembra orientata a mantenere la moneta unica, ovviamente riformata».
Così però l’opposizione alla politiche di austerità potrebbe diventare poco credibile agli occhi di una opinione pubblica sempre più esasperata dalla crisi, obietta Grazzini. «Beppe Grillo e il “Movimento 5 Stelle” attaccano frontalmente la Ue e l’euro ma poi non sanno ancora quale soluzione realmente proporre, a parte il referendum: in effetti il M5S sembra sicuro che prima o poi l’euro si spaccherà e che l’Italia sarà comunque costretta a uscire dalla moneta unica». Il grande pericolo è che «mentre la sinistra non capisce il dramma in cui si sta ficcando l’Europa – e, anche quando è al governo, come in Francia, fa infuriare la sua base elettorale popolare imponendo tagli al welfare e al lavoro – la destra, e soprattutto la destra estrema, quella peggiore e razzista, guadagna milioni di voti protestando contro l’euro e il capitalismo finanziario». Scenario prevedibile: «Silvio Berlusconi e Matteo Salvini punteranno astutamente la loro campagna elettorale soprattutto contro l’euro. Non è difficile ipotizzare che grazie alla protesta contro l’euro e Vendolale tasse potrebbero rivincere le elezioni. E’ quindi urgente che la sinistra riconosca finalmente che questa Ue e questo euro non hanno sbocco».
Per Grazzini, l’unica soluzione è il ritorno – immediato – alla sovranità monetaria. Per evitare un’uscita improvvisa dall’euro, che secondo l’analista metterebbe ulteriormente a rischio le nostre disastrate economie, basterebbe mantenere anche l’euro «come moneta comune di fronte alle altre valute internazionali, come il dollaro e lo yen». Un po’ come il Bancor di Keynes. Il recupero della sovranità monetaria? «E’ ovviamente un’operazione non facile, ma sarebbe meno dolorosa che continuare su questa strada senza sbocchi dell’euro attuale». La Germania ovviamente si opporrebbe. Ma poi, rinunciando all’euro come moneta unica, «non dovrebbe più temere di pagare per le altre nazioni, e l’opinione pubblica europea ne sarebbe felice». In sostanza, «si tratterebbe di convenire un sistema di cambi fissi aggiustabili tra le monete nazionali, avendo come riferimento l’euro come moneta comune (l’euro-lira, l’euro-marco, l’euro-peseta)». La Germania «potrebbe così ritornare al suo beneamato marco gestito dalla arcigna Bundesbank», ma anche gli altri paesi europei «potrebbero ritrovare la loro autonomia in campo economico».
Si tratta di una soluzione decisiva e risolutiva, perché «i paesi più deboli potrebbero inizialmente svalutare la loro moneta per riequilibrare la bilancia dei pagamenti, rilanciare l’occupazione e ridurre i debiti, e i governi europei potrebbero decidere politiche espansive per uscire dalla crisi e abbassare il rapporto debito-Pil». Moneta sovrana: benzina necessaria per uscire dalla gabbia dell’euro, che produce soltanto la tragica spirale di contrazioni – consumi, redditi, credito – nella quale stiamo precipitando. Grazzini vede strategico, di fronte a un simile scenario, il ruolo della futura Bce: la banca centrale farebbe da «camera di compensazione per le transazioni europee», come la Clearing Union progettata da Keynes, e metterebbe in piedi un meccanismo per penalizzare «sia i paesi con eccessivi surplus commerciali – come la Germania – che quelli con deficit strutturali delle bilance commerciali, come l’Italia e i paesi del sud Europa». Deficit e surplus sarebbero tassati in proporzione alla loro dimensione e alla loro durata. ProdiObiettivo: «Ridurre le posizioni creditrici e debitrici della bilancia dei pagamenti, fino ad ottenere tendenzialmente un saldo zero».
Quello è ovviamente il punto contro cui la Germania «sparerebbe a zero». Ma, grazie al meccanismo di compensazione con penalità simmetriche, «il commercio nell’area euro potrebbe aumentare in maniera equilibrata per tutti». Il nuovo euro, insomma, «funzionerebbe come una unità di conto», proprio come il Bancor di Keynes, e «non come riserva di valore». Sarebbe una “moneta virtuale” e un “paniere” delle monete nazionali europee. «La valuta comune sarebbe gestita dalla Bce e utilizzata per tutte le operazioni con i paesi extraeuropei», con l’impegno a mantenere tassi finanziari stabili. Il “nuovo euro” «rappresenterebbe la barriera comune di fronte alla speculazione del mercato monetario internazionale: questo sistema garantirebbe la necessaria flessibilità interna e la stabilità monetaria verso il resto del mondo, dal momento che un “paniere di valute” è certamente più stabile di una moneta unica».
Secondo analisti come Daniela Palma e Guido Iodice, questo tipo di “euro del futuro” «salva il mercato unico e la possibilità di una costruzione politica più solida dell’Unione Europea». Inoltre, la “moneta virtuale europea” «non richiede trasferimenti fiscali o unificazioni dei debiti dei singoli Stati, superando le principali obiezioni oggi poste alle soluzioni di tipo “federale”». Enrico Grazzini torna a rivolgersi direttamente alla politica, cioè all’unica leva democratica a nostra disposizione per tentare di salvare l’economia dall’euro-catastrofe: «Perché le forze della sinistra europea e il “Movimento 5 Stelle” non propongono questa soluzione?». Già, perché? Persino Prodi, massimo “padre” dell’euro, oggi si mostra “pentito” e propone un asse con Francia e Spagna per fronteggiare la Germania. Ma senza ancora riconoscere che il passaggio obbligato resta quello del ritorno alla moneta sovrana, a disposizione dello Stato (e senza limiti) per affrontare le emergenze e dare ossigeno all’economia.

lunedì 13 gennaio 2014

Milano, il suv parcheggia sulle rotaie e blocca il tram

Milano, il suv parcheggia sulle rotaie 

e blocca il tram

Milano, il suv parcheggia sulle rotaie e blocca il tram

ANCHE MILANO??

ANCHE MILANO??



Lavoro freelance

Lavoro freelance: le opportunità di crowdworking e clickworking

Sono freelance online. Offrono competenze per pochi cent. E vivono alla giornata. Viaggio nella nuova frontiera del lavoro.

di Giovanna Faggionato

Quando le è capitato di dover tradurre in italiano le offerte degli hotel tailandesi a cinque stelle, compagnia femminile compresa come servizio extra, Francesca Carraro non si è scomposta: è un po' arrossita, ma tanto dietro lo schermo del pc non la vedeva nessuno.
Poi, con la necessaria mediazione culturale, ha finito il lavoro entro la scadenza concordata nel contratto digitale sottoscritto con il cliente di Bangkok. A lei, specializzata nelle traduzioni dall'inglese, il portale Odesk.com offre per lo più la redazione di guide turistiche e manuali d'istruzioni.
SI LAVORA PER AGENZIE DI TUTTO IL MONDO. Sul sito, però, ogni freelance può vendere manodopera e competenze di web editing, grafica, indicizzazione, elaborazione software e sviluppo di app a imprenditori e agenzie di tutto il mondo. Qualcuno già lo chiama il lavoro del futuro, altri invece lo intepretano come la consacrazione del precariato.
Di certo è l'ultima frontiera dell'occupazione nel tempo della Rete, inquietante e promettente insieme. E come tutte le frontiere, nell'Italia del boom di disoccupati  e del Jobs Act, ancora poco esplorata.

Assunzioni on demand e controllo degli screenshot: i lavoratori del click

I siti di crowdworking, ultimo sviluppo della sharing economy, funzionano più o meno tutti allo stesso modo. «Ci si registra e si allegano un po’ di certificati: laurea, master e simili», spiega Andrea, editor freelance.
Ci sono annunci 'prendere o lasciare'. O quelli per cui si fa un'offerta, indicando al cliente quanto si vorrebbe essere pagati. Il committente sceglie tra i diversi freelance valutando profili e costo della manodopera. E per gli impieghi più complessi si possono organizzare colloqui via skype.
CENTINAIA DI MIGLIAIA DI CLICKWORKERS. Negli Stati Uniti, il primo mercato toccato dalla rivoluzione, c'è chi lo saluta come la fine del lavoro dipendente.
I siti di questo genere, infatti, si sono moltiplicati rapidamente. Elance.com coinvolge 233 mila programmatori, 30 mila sviluppatori, 170 mila designer e 254 mila tra scrittori e copywriter. Freelance.com altre 165.341 persone, Clickworker.com 450 mila, Odesk.com180 mila.
Tutti hanno slogan che sembrano appartanere a una nuova era: «Utilizziamo il potere della collettività, per impegnare il know how di centinaia di migliaia di clickworker, che ci assistono nel realizzare nel migliore dei modi i tuoi progetti». O ancora: «Assumi on demand e controlla il progresso del lavoro attraverso gli screenshot». Alle imprese viene venduta manodopera flessibile e il vantaggio di non avere costi fissi, al freelance la libertà di non avere capi e di gestirsi in proprio. 
APPESI ALLA REPUTAZIONE ONLINE. A dicembre 2013 il mercato americano ha salutato la fusione dei pionieri del settore Elance.com e Odesk.com, che insieme hanno fatturato 750 milioni di dollari. Poco per le aspettative degli analisti, ma il fenomeno si sta diffondendo rapidamente anche in Gran Bretagna, in Germania e nel nostro Paese (guarda gliscreenshot dei portali).

Sharon, inglese, costa 11,11 dollari l'ora. L'indiana Maitri 3,33

Prima di diventare freelance, Francesca era responsabile della formazione di venditori per una grossa multinazionale. Ha sempre avuto contratti precari e per sei anni non ha potuto costruire un progetto di vita. Era senza tutele, aveva capi a cui rispondere e che chiedevano sempre di più, turni nei weekend e straordinari non pagati compresi.
«Mi sono licenziata, avevo messo da parte dei soldi e volevo tornare a studiare. Poi su Odesk.com ho trovato datori di lavoro seri. Più di quelli che ho conosciuto in carne e ossa», racconta a Lettera43.it. 
I tempi di pagamento, spiega, sono proporzionali alla scadenza del contratto. Online si può trovare il ragazzo che chiede la revisione della tesi entro una notte come la multinazionale che coordina per mesi un gruppo di persone per lanciare un nuovo portale. Tutto dipende dall'accordo stipulato (e di cui il sito si fa garante). 
COMPETERE SUL MERCATO GLOBALE. La vera difficoltà è ottenere le commesse più redditizie. Francesca conosce perfettamente le regole del gioco: «L'importante è imparare a vendersi. E giocarsi le competenze migliori: ottenere impieghi in lingua inglese è l'obiettivo più ostico, perché la maggioranza dei freelance viene dal Subcontinente indiano».
L'India, infatti, è il più grande bacino di manodopera intellettuale a basso costo del mercato anglofono.
Basta dare una scorsa al portale Odesk.com: Sharon R., britannica, si propone per 11,11 dollari l'ora. L'indiana Maitri S. per 3,33. «Io cerco committenti inglesi per madrelingua italiani: il costo della vita nel nostro Paese impone un certo standard e quindi la concorrenza non può essere così al ribasso: si crea una sorta di cartello spontaneo».
Poi ci sono il profilo e la reputazione da costruire. Alla fine del rapporto, datore e freelance ricevono un feedback. Il punteggio legato a ogni utente sale e scende a seconda della qualità del lavoro svolto: «Se diventa troppo basso», spiega Andrea, «è impossibile accedere a certi tipi di ingaggio». Ma anche chi paga in ritardo viene segnalato e può essere bannato dalla piattaforma.
DA 1,5 A 2,5 CENT A PAROLA. All'inizio è dura si inizia con il data entry per entrare nel giro. Oggi Francesca si fa pagare da 1,5 cent a 2,5 cent a parola: quasi quanto guadagna un cronista sul mercato italiano.
E scrive di tutto. «Ogni tanto provo a cercare su Google i miei articoli», racconta. I suoi testi sono disseminati per le praterie del web: appaiono su portali per gli affitti con grandi flussi di traffico e su siti che si occupano di salute (ne snocciola almeno tre, tutti con nome simile). E poi ci sono gli scritti per i portali delle organizzazioni ambientaliste e le boutique di moda. E persino per blogger troppo impegnati per aggiornare i propri diari online. Alla fine la Rete è fatta di parole, creative e non. E tutti han bisogno di qualcuno che le scriva. 

 

Pagati in centesimi di dollaro all'ora

Su ClickworkerItalia si trovano molti impieghi a cottimo. Per esempio, 40coupon da scrivere per Groupon, al prezzo di 2 euro l'uno, o 30 traduzioni per un altro sito di shopping online. «I lavori vengono svolti da chi li accetta per primo e devono essere portati a termine subito, non si possono “prenotare” e svolgere in un secondo momento», precisa Andrea. «In genere sono testi commerciali che prevedono l’utilizzo di determinate parole chiave e una taggatura stile pagina web». Il testo viene revisionato da un altro clickworker e approvato o rimandato indietro all’autore per le correzioni. Più si è veloci, più si guadagna.
«Bisognerebbe riuscire a scrivere almeno cinque coupon in un'ora. Ma non è così facile», commenta il freelance.
LAVORI SENZA SFORZO INTELLETTUALE. Sullo stesso portale si trovano anche altri impieghi, come quelli dell''Universal Human Relevance System', attraverso cui, per esempio, il colosso Microsoft punta a migliorare la qualità del suo motore di ricerca, Bing.
«Si tratta di valutare “a mano” la bontà dei risultati o dei suggerimenti dati all’utente. Si lavora all'interno di un'interfaccia e la paga si calcola in centesimi di dollaro per ogni step che si compie», aggiunge l'editor. «Non è molto, ma non servono grossi sforzi intellettuali».
Su Odesk.com si trovano anche compiti più impegnativi per cui si può optare per avere un fisso all'ora. Ma, in questo caso, i metodi di controllo sono orwelliani. Per monitorare che chi ha ottenuto la commessa non perda tempo, c'è un programma che scatta uno screenshot dello schermo del freelance ogni 5 minuti. «Se qualche volta appare la homepage personale di Facebook, non è un problema», assicura Francesca, «basta non esagerare».

«Se accetti tutto sei destinato a essere perdente»

L'importante, assicura la traduttrice-copywriter, è capire la logica: «Quello che è certo è che se accetti tutto sei destinato a essere perdente». Ma i ragazzi italiani, osserva Francesca, sono tutti iperqualificati e possono farsi valere.
La riprova l'ha avuta quando ha coinvolto un amico farmacista, costretto a fare il tirocinante in ospedale senza intascare un soldo: «Ha iniziato a scrivere articoli scientifici: ha una competenza non da poco che gli permette di farsi pagare anche 60 euro a testo e per lui è stata la salvezza».
LE GARE AL RIBASSO. A Serena, grafica part time 30enne, non è andata altrettanto bene. Dopo aver partecipato alla prima asta, e aver visto la velocità con cui le offerte andavano al ribasso, ha chiuso la finestra del browser. Non era per lei.
«Le commesse scompaiono nel giro di poche ore», conferma Andrea, «riescono a competere solo i liberi professionisti che stanno spesso online e possono permettersi di interrompere quello che stavano facendo per dedicarsi ad altro».
FINO A 600 EURO AL MESE. Francesca, però, pensa ci siano opportunità da cogliere: «Io lavoro per siti diversi. E prendo il meglio, solo quello in cui posso essere efficientissima, così non diventa alienante. Impegnando 4-5 ore al giorno si possono mettere via anche 600 euro al mese». Ovviamente a patto di rimanere sotto il tetto dei 5 mila euro l'anno, se no le tasse si mangiano il grosso del guadagno. E i paradossi non sono finiti. 
«Mi hanno pagato 5 euro per un impiego di otto secondi: volevano la traduzione di tre frasi in inglese. E mi è pure capitato di essere contattata su Linkedin da una mia ex committente (a volte Francesca dice capa, come se fosse un vero ufficio) che era appena stata licenziata e voleva avere informazioni più dettagliate su come trovare lavoro online. È un mondo fluido», conclude, «e tutto può succedere».