giovedì 28 giugno 2012

Ustica 32 anni dopo


Ustica 32 anni dopo

27 giugno 2012
Cora Ranci
No del Belgio alla richiesta di collaborazione con la nostra magistratura. E i famigliari delle vittime chiedono alla magistratura di interrogare l’ex primo ministro libico Jalloud: si troverebbe in Italia
Ricorre oggi il 32° anniversario della strage di Ustica. Era il 1980 quando un aereo civile della compagnia Itavia in volo da Bologna a Palermo scoppiò in aria, con ottantuno persone a bordo. Ci vollero 19 anni prima che la magistratura riuscisse ad arrivare al primo punto fermo sulla vicenda. Nel 1999, il giudice istruttore Rosario Priore depositò una sentenza ordinanza di oltre cinquemila pagine. “Il DC-9 – si legge nelle conclusioni – è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti”.
Il DC-9 è stato dunque abbattuto. Quella tranquilla sera di giugno, nel cielo sopra Ustica c’è stata una battaglia aerea. È partito un missile. Chi l’ha lanciato? A chi era destinato? Di certo, non contro l’aereo dell’Itavia, che non aveva nessuna personalità importante a bordo, ma solo gente comune, in partenza per le vacanze, o di ritorno a casa, in Sicilia. E allora cos’è successo? Un fatale errore? Già, ma perché? Interrogativi che accompagnano la storia di Ustica sin dal suo inizio. E che pian piano, grazie soprattutto alla tenacia dell’Associazione dei parenti delle vittime della strage, animata dalla sua presidente Daria Bonfietti, si sono svelati, rivelandoci i tratti di una vicenda tragica quanto inquietante.
Lo ha ribadito oggi anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano: “È indispensabile che le istituzioni tutte profondano ogni sforzo – anche sul piano dei rapporti internazionali – per giungere a una compiuta ricostruzione di quanto avvenne quella drammatica notte nei cieli di Ustica”. Di ipotesi ne sono state fatte diverse. Francesco Cossiga nel 2007, a processo concluso, fu molto preciso: il missile sarebbe stato francese, e il vero obiettivo dell’attentato un aereo libico su cui avrebbe dovuto trovarsi Gheddafi. Poi, qualcosa sarebbe andato storto.
Comunque, erano ventuno gli aerei in volo intorno al DC-9 quella sera, come ci ha comunicato la Nato. Cosa ci facevano sui nostri cieli? Ma soprattutto, di che nazionalità erano? È questo ora l’interrogativo che la magistratura sta ponendo a Stati Uniti, Francia, Libia, Belgio, Inghilterra e Germania, paesi amici di cui attendiamo da anni risposte che non arrivano. Il muro di gomma sembra avere confini molto ampi. Un primo diniego è arrivato proprio in questi giorni dal governo belga, che ha motivato il rifiuto di collaborare con la nostra giustizia adducendo non meglio precisati “interessi militari essenziali”.
Constatando l’inerzia dei governi, i famigliari delle vittime hanno annunciato oggi la presentazione di un’istanza alla Procura di Roma affinché si interroghi Abdel Salam Jalloud, ex primo ministro libico. Durante la guerra in Libia, stando a quanto riportato dal Corriere della Sera del 22 agosto 2011, il numero due del regime di Gheddafi si sarebbe infatti rifugiato in Italia. “Si può ritenere che Jalloud, per la posizione ricoperta all’epoca del regime – si legge nell’istanza – possa essere al corrente di dati molto utili alla ricostruzione dei fatti”. Secondo Daria Bonfietti, si potrebbe anche tentare di attivare una rogatoria per conoscere se l’attuale governo provvisorio della Libia sia venuto a conoscenza di documenti e di fatti utili per conoscere la verità su quanto accaduto quella maledetta sera.

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