giovedì 5 luglio 2012

Altro che Barclays, ecco le "truffe" Usa di cui nessuno parla


Altro che Barclays, ecco le "truffe" Usa di cui nessuno parla

giovedì 5 luglio 2012
FINANZA/ Altro che Barclays, ecco le truffe Usa di cui nessuno parlaInfophoto
Oddio, che scandalo! A Londra i principali gruppi bancari taroccavano il Libor, ovvero il tasso di riferimento per i mercati interbancari! Addirittura il presidente di Barclays, Marcus Agius, ha dato le dimissioni travolto dall’ondata di sdegno! Scusate, cari lettori, ma voi credevate ancora a Babbo Natale? Di cosa vi stupite: del fatto che la finanza, all’80%, sia fatta di mascalzoni e manipolatori? È la realtà e se permettete oggi parlerò di alcune notizie che non troverete sui giornali, né sui telegiornali e dubito fortemente anche su molti siti e blog.
Cominciamo dalla prima, ovvero la denuncia senza precedenti di Joe Saluzzi, esperto di trading algoritmico - meglio conosciuto come HFT (High-Frequency Trading) -, secondo cui i “parassiti”, questo il termine che usa, del trading ultra-veloce rappresentano ormai, mediamente, il 50-70% del volume registrato sui mercati Usa. Di più, il 2% dei traders di molte operazioni, specificatamente in HFT, rappresentano l’80% del volume, una singola azienda operante in HFT può pesare per più del 10% del volume di mercato quotidiano negli Usa, le principali aziende di HFT guadagnano tra gli 8 e 21 miliardi di dollari l’anno, il tutto tradando alla velocità di un millisecondo (una micro-frazione di tempo rispetto al battito delle palpebre), ovvero creando attività di negoziazione fittizie volte a inserire ordini sui quali poi non c’è un reale interesse a negoziare.
Paradossalmente, questi parassiti stanno costruendo le condizioni per la loro estinzione, visto che la loro corsa per incrementare i margini, oramai, comincia a cozzare contro i limiti della fisica (leggi, la velocità della luce) e il costo marginale per il prossimo incremento di vantaggio sul resto del mercato sta crescendo esponenzialmente. Quindi, la profittabilità del trading sta subendo una squeeze tale, già oggi, che un giorno, di colpo, potrebbe sparire del tutto. Bene, direte voi, eliminati i parassiti, il mercato tornerà a essere market maker e a prezzare realmente azioni che vengono tradate realmente.
Vero, peccato che all’orizzonte c’è un piccolo effetto collaterale: cosa accadrà al prezzo degli assets una volta che tutto quel volume fittizio, ma che pesa ormai tra il 50% e il 70% del totale, di colpo sparirà? Non sarà che il flash crash dello scorso anno sia stato nulla più che una prova generale della Sec - un worst case scenario per testare la tenuta del sistema - in vista del d-day per l’high-frequency trading? E noi ci scandalizziamo per il taroccamento del Libor? Ma andiamo avanti.
JP Morgan avrebbe accumulato perdite su derivati per 9 miliardi di dollari, tre volte la cifra che la banca d’affari è stata costretta ad ammettere a denti stretti. Il problema è che da più parti si comincia a definire JP Morgan la nuova Enron, ovvero una potenziale mina per il sistema finanziario globale. Il perché è presto detto: senza l’aiuto di Stato, la banca d’affari avrebbe un rating reale molto ma molto più basso, esattamente tre livelli in meno per il rating dei depositi a lungo termine e due per il debito senior. Ma, nella patria del libero mercato, il governo ha già detto che si schiererà in tutela di creditori e detentori di bond della banca, in caso questa dovesse fare default sul suo debito. Insomma, garanzia federale: buoni tutti a fare i capitalisti così, no? Insomma, JP Morgan è un pollo che i soldi dei contribuenti Usa continuano a trasformare in aquila.
Non ci credete? Già oggi, JP Morgan riceve sussidi governativi per 14 miliardi di dollari l’anno, stando a una ricerca pubblicata dal Fondo monetario internazionale. Soldi pubblici che permettono alla banca di continuare a pagare salari e bonus stellari, ma, soprattutto, continuano a distorcere i mercati e alimentare crisi, come quella dei subprime prima o del debito sovrano oggi. Ogni anno, il governo Usa stanzia 76 miliardi di dollari di sussidi per le 18 principali banche del Paese, cifra che è pari al totale dei profitti di questi istituti negli ultimi 12 mesi e più di quanto il governo federale spenda per l’istruzione ogni anno. Di più, con i suoi 14 miliardi all’anno, JP Morgan ottiene dal governo una cifra che è pari al 77% della sua rendita netta negli ultimi quattro trimestri: in altre parole, i contribuenti statunitensi hanno pagato gran parte del conto per le perdite miliardarie che oggi sono la headline su tutti i giornali e argomento di discussione di fronte al Congresso.
Ma non basta: lo stesso Dimon, numero uno di JP Morgan, ha ammesso in una recente conference call che l’Home Affordable Refinancing Program, il quale permette alle banche di generare reddito attraverso la modifica dei mutui con garanzia governativa, ha dato un significativo contributo ai guadagni di JP Morgan nei primi tre mesi di quest’anno. E voi lo chiamate libero mercato, questo? Ma, soprattutto, con quale faccia gli Usa criticano il sistema europeo e la “mano visibile” del capitalismo di Stato dei Brics, Cina in testa? Ma si sa, gli americani sono bravissimi a dare lezioni agli altri, ma tremendamente impermeabili alle critiche verso se stessi.
Ne volete sapere un’altra, tanto per ridimensionare ancora un po’ la portata dello scandalo Libor? Venerdì scorso sui mercati delle commodities si è tenuto un vero e proprio festival dello squeeze sul prezzo del petrolio, capace di comprimerne il prezzo: il problema è che lo statunitense medio non dovrebbe dar troppo peso o gioire troppo per il fatto che il prezzo del carburante scenda di 5 o 10 cents al gallone nella sua stazione di servizio abituale, visto che la Marina statunitense paga 26 dollari - avete letto bene - per un gallone di biocarburante verde sintetico, l’ultima trovata dei guru del politically correct per far credere al mondo che può non dipendere più dal petrolio brutto e cattivo (salvo riconvertire a biocarburante ed etanolo i campi di grano, creando squeeze su materie prime alimentari e far lievitare i prezzi delle stesse, begli ecologisti!). È stata la Reuters a rendere noto che la “Great Green Fleet” sarà la prima unità operativa della Marina a essere alimentata per la gran parte da carburanti alternativi: la scelta del Pentagono risale al 2009, quando la Marina pagò l’azienda di biocarburanti Solazyme qualcosa come 424 dollari al gallone per ottenere 20,055 galloni di biocarburante a base di alghe! E chi era il consigliere strategico della Solazyme all’epoca? TJ Gaulthier, ex membro del Transition Team di Obama alla Casa Bianca! Evviva la sana società statunitense, scevra da conflitti d’interesse! Insomma, oltre a tappare i buchi di JP Morgan e pagare le case agli Hamptons ai suoi managers, i contribuenti statunitensi pagano una tassa occulta sulla benzina, finanziando con le loro tasse i folli esperimenti “verdi” della Marina e delle aziende amiche del presidente o del Pentagono.
Per finire, la chicca, legata proprio al discorso pocanzi toccato della moda - molto fruttuosa per certe lobby - dei cosiddetti combustibili verdi o alternativi. Argomento splendido per una cena in qualche salotto da gauche caviar di Corso Venezia, ma capace non solo di creare crisi alimentari gravissime ma anche di fungere da dinamo per la speculazione pura sulle commodities. E, signori miei, una bella crisi alimentare (indotta proprio da motivi puramente speculativi) è alle porte, visto che in una settimana il prezzo di grano e frumento Usa è salito del 10% a causa delle temperature torride che attanagliano il Midwest e mettono a rischio i raccolti, una situazione che gli esperti definiscono simile a quella del 1988, quando la produzione di grano Usa subì un taglio del 30%. E siccome gli Usa esportano il 40% del grano a livello globale, capite che la situazione è di quelle serie, visto che le avverse condizioni climatiche stanno colpendo anche le aree produttive del Mar Nero e del nord della Cina.
Direte voi, cosa c’entra il biocarburante con il clima avverso, variabile non prevedibile? Semplice, le coltivazioni di grano sono state reimpiantate in fretta e furia dopo la crisi alimentare dello scorso anno, visto che nell’ultimo periodo erano state riconvertite per coltivazione destinata al bioetanolo. Certamente il caldo colpisce senza distinzioni, ma piantagioni così deboli subiscono danni maggiori, poiché non vengono indebolite dal caldo, bensì semplicemente bruciate in partenza. Questo, in un anno che doveva essere di surplus agricolo.
Detto fatto, venerdì scorso Goldman Sachs ha alzato le sue previsioni di prezzo per i futures sul grano da 5,25 dollari per bushel a 6,25 dollari, innescando di fatto un effetto tandem, visto che il frumento segue di pari passo gli aumenti di prezzo del grano, stante il suo compito storico di ripiazzamento del cereale nell’alimentazione animale e quindi l’aumento della domanda. Ora, al netto delle polemiche sui biocarburanti, confortate non dalle idee personali del sottoscritto ma dal parere di Shawn McCambridge, analista alla Jefferies Bache, io sento puzza di speculazione pura dietro la mossa di Goldman Sachs.
Attualmente le stime di produzione di grano Usa sono di 354 milioni di tonnellate contro le 375 previste per il 2012-2013, stando a Capital Economics e comunque 22 milioni di tonnellate in più rispetto al raccolto del 2009-2010. Perché tanta fretta di alzare le stime di prezzo sui futures, visto che oltretutto l’arrivo di una corrente umida dal Messico dovrebbe porre fine alla siccità negli Usa entro fine estate? Inoltre, nonostante i prezzi del grano stiano salendo, quelli di cotone e caffè sono tutti scesi nei mesi recenti, tanto che l’indice S&P GSCI Agriculture, che traccia i prezzi delle commodities alimentari grezze, è del 10% più basso di un anno fa. Inoltre, quest’indice non tiene conto dell’Asia, con il prezzo del riso destinato a scendere ora che il governo thailandese sta per vendere e immettere sul mercato grosse riserve di cereale.
Ancora tanto sconvolti per la taroccata del Libor? Io, in tutta onestà, no. Aprite gli occhi. E restate informati.

P.S.: I lampeggianti dei mercati lanciano flash rossi: spread in netta risalita ieri pomeriggio e non per colpa dell’incertezza sull’esito del vertice Monti-Merkel. Gira voce che la Bce non avrebbe intenzione di coprire un bond greco in scadenza ad agosto, in caso il governo ellenico non fosse in grado di pagare. Gira voce...



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