martedì 10 luglio 2012

Argentina, così la falsa libertà minaccia uomo e donna


 Argentina, così la falsa libertà minaccia uomo e donna

lunedì 9 luglio 2012
IL CASO/ Argentina, così la falsa libertà minaccia uomo e donnaIl presidente argentino Cristina Kirchner (InfoPhoto)
Il presidente dell’Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, martedì 3 luglio ha consegnato i primi  documenti di riconoscimento emessi in seguito alla nuova legge sulla identità di genere, approvata lo scorso maggio (55 voti a favore, un astenuto e nessun contrario). 
La novità legislativa, vera avanguardia internazionale, riconosce a tutti i cittadini della Naciòn Argentina il diritto a mutare il sesso con cui si è stati registrati alla nascita, senza alcuna previa autorizzazione medica o giudiziale; inoltre, tutti gli operatori del sistema sanitario pubblico, sia statali che privati, dovranno garantire su base continuativa tutti i diritti che la legge riconosce. L’articolo 1 della legge, consacrando definitivamente l’esistenza del diritto all’identità di genere, afferma infatti che: “ognuno ha diritto ad essere trattato in conformità con la propria identità di genere, e in particolare, ad essere identificato in questo modo attraverso gli strumenti che dimostrano la propria identità rispetto al nome usato, immagine e sesso con cui si è registrato”. 
È sempre la stessa legge a dare una vera e propria definizione dell’identità di genere come “l’esperienza interiore ed individuale di genere così come ogni persona la sente, che potrebbe non corrispondere con il sesso assegnato alla nascita, compreso il senso personale del corpo”. La Premier sudamericana (che ha già legalizzato il matrimonio gay nel 2010), durante la cerimonia di consegna dei nuovi documenti ad un gruppo di militanti transessuali presso la Casa de Gobierno di Buenos Aires, afferma: “Oggi è un giorno di grande riparazione. Avrete gli stessi diritti che hanno milioni di argentini al momento della nascita!”.
Ricapitolando: 1) L’unico requisito per cambiare il sesso è il sentimento interiore; 2) la modalità per effettuare il cambio è quella della richiesta amministrativa; 3) le spese per la rettificazione genitale sono a carico del servizio sanitario nazionale.
Il quadro si completa se aggiungiamo che la novità legislativa permette anche al soggetto minorenne accompagnato dall’avvocato di fare richiesta di cambiamento del sesso in conformità al suo sentire; in mancanza di un rappresentante, si potrà chiedere un giudizio abbreviato al Tribunale dei minori che deciderà in base alla sua capacità progressiva ed in conformità al principio del superiore interesse del minore.
La questione argentina è, quindi, molto seria e soprattutto non si pone come un caso sporadico e isolato: sempre maggiori, infatti, sono le pressioni che gli organismi internazionali a tutela dei diritti umani ricevono da potenti lobby affinché l’identità di genere venga inserita nel novero dei diritti umani universalmente riconosciuti.
Il passaggio della parola sesso (sex) in genere (gender), infatti, non si inserisce, come molti vorrebbero far credere, in un naturale processo di evoluzione terminologica ma è piuttosto l’approdo finale di una silenziosa quanto potente operazione ideologica. Il dato di natura, incontestabile per la sua oggettività, è avvertito come uno dei principali nemici della libertà umana: per l’uomo, fabbro del proprio destino, un vincolo esterno alla sua volontà è inconcepibile. 
E allora, lì dove c’è un chiaro limite naturale, prende piede l’operazione culturale: se il valore da perseguire è l’uguaglianza, intesa come omogeneità acritica, allora tutte le differenze sono guardate con sospetto e tacciate di discriminazione. Ma siamo sicuri che porre delle differenze significhi emarginare qualcuno? Siamo proprio certi che l’operazione della distinzione, primaria operazione dell’essere umano in quanto tale, comporti a prescindere una discriminazione? A ben vedere, appare vero l’esatto contrario: è proprio non facendo distinzioni che si generano le più grandi discriminazioni. Ci viene in soccorso l’art. 3 co. 2 della nostra Costituzione (ma il principio è presente nella quasi totalità delle Costituzioni contemporanee), che parlando dell’uguaglianza sostanziale mostra come questa implichi il fatto che situazioni uguali vengano trattate nel medesimo modo ma anche che situazioni diverse vengano trattate in modo differente.
Il problema inerente ai disturbi di identità è questione, per questo, assai delicata e da trattare con assoluto riguardo: è questo un campo in cui, sempre più, le scienze mediche, sociali e giuridiche sono chiamate a cooperare formando una virtuosa sinergia capace di accompagnare coloro che ne fanno richiesta in un non semplice percorso umano ed esistenziale.
Evitare l’assunzione di responsabilità personale e comunitaria di una simile e complessa situazione umana sostituendola con la sterile compilazione di una richiesta amministrativa andrebbe a generare inevitabilmente e drammaticamente un ulteriore isolamento e una reale discriminazione. Il dire “oggi mi sento donna e chiedo la rettifica del sesso” e cosa ben diversa da una dolorosa esperienza di non riconoscimento personale nella ricerca del significato di sé che, lungi dall’essere un sentimento intimistico ed individuale, necessita il più possibile di condivisione ed accompagnamento. 
Per questo la “conquista” argentina non è una tappa di civiltà: la creazione del nuovo diritto all’identità di genere è in realtà la vittoria della pretesa dell’individuo singolo o del gruppo particolare sulle esigenze dell’uomo e della comunità. I diritti, infatti, non sono creati, ma riconosciuti dall’ordinamento e si pongono come tentativi di rispondere a quell’esigenza di giustizia che ogni uomo costitutivamente porta con sé: proprio per questo necessitano inevitabilmente di rapporti e non di slogan elettorali.
L’apparente vittoria della libertà di espressione rischia, così, di creare sempre maggiori e diffuse situazioni di solitudine: è questo lo scenario che accomuna gran parte dei tanto conclamati nuovi diritti, i quali si configurano come pretese di alcuni, legittime o meno, che non trovano fondamento nel diritto e che troppo spesso, sotto le mentite spoglie di garanti degli interessi comuni, finiscono per realizzare solamente altri discutibili “superiori” interessi.

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