mercoledì 25 luglio 2012

GESU’ FU VENDUTO PER 30 DENARI; ADESSO SAREBBERO BASTATI MENO DI DUEMILA EURO


GESU’ FU VENDUTO PER 30 DENARI; ADESSO SAREBBERO BASTATI MENO DI DUEMILA EURO


Tanto tempo fa qualcuno ritenne che la vita di Gesù Cristo valesse 30 denari; dopo duemila anni, con gli indici di rivalutazione, per la vita di un lavoratore, lo Stato è disposto a pagare 1.936 euro e 80 centesimi, neppure il costo della sua sepoltura.


Tutti ricorderemo certamente la morte di Matteo Armellini, il giovane morto il 5 marzo scorso, sotto il palco che stava contribuendo ad allestire per il concerto di Laura Pausini.
Senza dubbio, per i genitori, la madre, i parenti, la perdita del loro ragazzo, giovane e sano, non ha prezzo, così come non ha prezzo la vita di ogni lavoratore.
LA MANO DI GIUDA
Eppure per quanto grottesco possa apparire anche la vita di un lavoratore, anche se è giovanissimo, ha un prezzo e questo prezzo è fissato dall’Inail (Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro).
QuestO prezioso ente, che tutti i lavoratori e gli imprenditori contribuiscono a mantenere, ha deciso che il giusto risarcimento da recapitare alla madre di Matteo, dev’essere di 1936,80 euro.
Sì, non ci sono errori, non mancano degli zeri, la somma corrisposta è esattamente millenovecentotrentasei/80 euro.
Come ha attestato la madre di Matteo, il risarcimento è stato corrisposto dall’Inail per infortunio e malattia professionale.
La beffa nella disgrazia! Quando infatti Matteo fu investito dal crollo, non aveva ancora cominciato il suo turno.
La signora Paola Armellini ha dichiarato : “Bisogna rivedere il modo in cui viene gestito il lavoro dei ragazzi che collaborano all’allestimento dei palchi, non hanno alcuna copertura assicurativa. Ai miei tempi, un sindacato non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Vorrei che il nome di mio figlio venisse ricordato, chiedo ai sindacati e alle forze sociali di intervenire. Sono ragazzi che cercano di guadagnare dei soldi anche per aiutare le famiglie, ma devono essere tutelati”.
La morte di Matteo però alza il velo su un’incresciosa, o meglio vergognosa questione, quella dei risarcimenti Inail per i feriti e ancor peggio per le vittime degli infortuni sul lavoro.
Basti dire che il presidente dell’Inail, che dal 12 maggio è Massimo De Felice, percepisce uno stipendio annuo solo di poco inferiore a 300.000 euro, mentre un giovane morto poco più che ventenne riceve in cambio della sua vita 1936,80 euro.
Che giustizia può mai esserci in Italia se la vita di un lavoratore vale così poco. Ma vale ancor meno se il lavoratore resta “solo” ferito o peggio, invalido. Inoltre, se il titolare dell’azienda decide di non collaborare e non fornisce i documenti all’Inail, l’onere della prova resta a carico del lavoratore dipendente, che non solo è ferito, infortunato appunto, ma anche sfortunato, perché deve anche scontrarsi col muro di gomma delle istituzioni pubbliche, in questo caso l’Inail, e l’inefficacia e, ancor più spesso, l’efficienza dei sindacati che nella maggior parte dei casi pigramente seguono i lunghissimi ricorsi.
Quello che accade alla fine è che il lavoratore ferito, resta allungo anche senza  alcuna fonte di reddito. Cioè, non solo ha subito un danno sul lavoro, ma viene anche vessato da parte dello Stato.
Ovviamente, poi c’è la parte relativa alle quote di risarcimento che l’Inail corrisponde e che corrispondono a poco più della metà dello stipendio netto in busta paga e che spesso viene corrisposto a piccole trance e in tempi biblici.
È chiaro ed evidente che l’Inail è un istituto che ha bisogno di essere riformato, ancor meglio cancellato. I lavoratori dovrebbero essere messi in condizione di scegliere essi stessi la polizza assicurativa contro gli infortuni che intendono sottoscrivere. Non ha alcun senso che esista ancora un mostro gigantesco che vive e si alimenta con il denaro dei contribuenti e dei lavoratori, senza che questi ricevano alcun beneficio.
Nel 2000 Marco Pannella e Emma Bonino avevano raccolto 16 milioni di firme per un referendum che tra l’altro prevedeva l’abolizione del monopolio dell’Inail e chiedeva ai cittadini se fossero favorevoli alla liberalizzazione delle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro.
La corte costituzionale però, non aveva interesse ad approvare il referendum che chiedeva la cancellazione dell’Inail e quindi decise per la sua non ammissibilità. Sarebbe ora che nel corso del processo di Spending review e di rivalutazione e e rivisitazione delle funzione di organi istituzionali, qualcuno si facesse carico di riproporre l’abolizione del monopolio Inail. Certo, questo aprirebbe la strada alle assicurazioni private che quando c’è da pagare sono sempre restie e spesso, ormai quasi come prassi, occorre aprire un contenzioso. Però, per quanto ciascuno di noi sia sfiduciato nei confronti delle assicurazioni, siamo certi che nessun istituto assicurativo privato, si sognerebbe di risarcire i familiari di un giovane morto sul lavoro, con una somma che di per sé non è sufficiente neppure ad acquistare una lapide nel cimitero.
Tanto tempo fa qualcuno ritenne che la vita di Gesù Cristo valesse 30 denari; dopo duemila anni, con gli indici di rivalutazione, per la vita di un lavoratore, lo Stato è disposto a pagare 1.936 euro e 80 centesimi, neppure il costo della sua sepoltura.

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