martedì 5 febbraio 2013

Monte Paschi paga il prezzo della scalata Abn Amro


Monte Paschi paga il prezzo della scalata Abn Amro

L'Opa sull'olandese del 2007 costò 71 mld. Più il crollo della banca senese, di Fortis e Scotland. E 12 mila licenziamenti.


La scalata al colosso olandese Abn Amro, avvenuta alla fine del 2007 da parte di Banco Santander, Royal Bank of Scotland e Fortis Bank Netherland (gruppo olandese) fu un'operazione da oltre 71 miliardi di euro interamente rovesciata sulle spalle dei governi europei, dei contribuenti, delle migliaia di dipendenti i quali persero il posto in seguito alla fusione, e dei piccoli risparmiatori.
L'AFFAIRE ANTONVENETA. Compresi quelli italiani: perché nel novembre di quell'anno Santander annunciò la cessione di Antonveneta (inserita nel pacchetto di Abn e controllata dagli olandesi) a Monte dei Paschi prima ancora di averla formalmente acquistata dagli olandesi. E Mps sgravò così gli spagnoli di 9 dei 20 miliardi di euro dovuti per la loro quota della banca olandese, con conseguenze pesantissime che solo ora le inchieste giudiziarie stanno portando alla luce. Tra queste, la perdita secca di oltre 12 mila posti di lavoro a causa dei tagli operati da Scotland, Fortis e Mps per coprire i buchi aperti dalla gigantesca operazione avviata senza le risorse necessarie per portarla a termine.
ABN, OPA SENZA LIQUIDITÀ. Fu uno tsunami finanziario che a partire dal 2007 devastò l'Europa e che ancora oggi non si è placato. Nessuno dei tre acquirenti di Abn infatti aveva in realtà il denaro sufficiente per quella mostruosa operazione e tutti si arrangiarono in maniera quanto meno disinvolta.
Santander emise 7 miliardi di titoli spazzatura, i Valores pagati 13 euro dai risparmiatori e svalutati poi fino a 2 euro. L’olandese Fortis precipitò nel baratro e fu salvata dal denaro pubblico del governo de L'Aja. Mentre gli azionisti di Scotland, quinto gruppo al mondo, si rifiutarono di sottoscrivere gli aumenti di capitale necessari al take over: il governo di Londra fu così costretto a rilevare il controllo della banca fondata nel XVIII secolo, con un travaso di soldi pubblici pari allo spaventoso importo di 45 miliardi di sterline, corrispondente al cambio di oggi a circa 51 miliardi di euro.
LA CORDATA A TRE CONTRO BARCLAYS. Tra maggio (lancio dell'Opa) e ottobre 2007 (annuncio della scalata), in sostanza tre pesci medio-piccoli decisero di mangiarne insieme uno gigante, Abn Amro, facendolo a pezzi e dividendosi in tre le sue attività in Europa e nel mondo.
Offrendo 71,1 miliardi di euro (questa fu la valutazione ufficiale, poi le spese salirono parecchio tra revisioni dei conti, oneri e consulenze) il terzetto batté la concorrenza di Barclays che aveva messo sul piatto 67,5 miliardi.
IL CROLLO DI FORTIS. Fortis, il pesce più debole, fu la prima a crollare: si accollò la sua quota di Abn al prezzo di 24 miliardi di euro, mentre in quegli stessi giorni del 2007 Fortis sui mercati ne valeva (secondo gli analisti del New York Times) appena 37. Il bluff durò meno di un anno: Fortis era con l’acqua alla gola e il governo olandese fu costretto a nazionalizzarla (insieme con la parte di Abn già acquistata) spendendo così 16,8 miliardi di euro di denari pubblici.
Ma Fortis aveva una fetta delle proprie attività anche in Belgio, dove la mossa de L'Aja fu vista con sfavore perché anche Bruxelles dovette immettere capitali pubblici per salvare ciò che restava, provocando forti tensioni tra i due Paesi.

Il conflitto: le obbligazioni per l'acquisto di Antonveneta vendute da Antonveneta

La parte però più singolare di questa scalata fu che vi partecipò in maniera nascosta anche il Monte dei Paschi, con quel 'tutto in una notte' avvenuto nell'ottobre 2007, quando i vertici senesi si accordarono con Santander per rilevare subito Antonveneta, inserita nella quota di Abn spettante a Santander ma poco interessante per gli spagnoli che la usarono per fare cassa alle spalle degli italiani ed evitare di svenarsi per sborsare i 20 miliardi di competenza per la loro fetta di Abn Amro.
SIENA E L'ASSIST A BOTIN. Di fatto, acquistando Antonveneta prima ancora che passasse in mano a Santander, Mps diede una grossa mano agli spagnoli e si caricò di spese per 10 miliardi, senza però averli in tasca. Partirono così le emissioni di bond, derivati e altri titoli tossici sui quali oggi indagano diverse procure italiane, con l'ipotesi che il collocamento sia avvenuto alla maniera di Parmalat, cioè piazzando ai risparmiatori e ai propri correntisti cedole di cui in banca si sapeva che avrebbero avuto scarso valore, ma che era necessario emettere per finanziare un acquisto (quello Antonveneta) altrimenti impossibile.
IL RICORSO AI DERIVATI. Ma per anni in Italia non si è saputo o voluto collegare la crisi di Monte Paschi, sotto gli occhi di tutti, con la spericolata scalata ad Abn che già aveva travolto Fortis, Bank of Scotland e i risparmiatori spagnoli, i quali a migliaia stanno portando in tribunale ancora oggi Santander per quella emissione di Valores tossici per un importo totale di 7 miliardi di euro.
Per tamponare la crisi nata da quella spericolata operazione, Mps trafficò in derivati con banche giapponesi (movimenti oggi sotto la lente della magistratura), emise obbligazioni e, non essendo tutto questo sufficiente, ricorse all'aiuto statale attraverso il prestito deliberato prima dal governo Berlusconi (i Tremonti bond) poi da quello di Monti, con l'ultima legge di stabilità, per un importo pari a 3,9 miliardi di euro.
ABN PAGATA DAI GOVERNI EUROPEI. A questo punto, un dato appare chiarissimo. Abn venne venduta per 71,1 miliardi di euro. Un semplice conto mostra che sommando l'intervento pubblico britannico (51 miliardi), quello olandese (16,8 miliardi) ai Monti e Tremonti bond elargiti a Mps (3,9 miliardi) si arriva a un totale di circa 72 miliardi, cioè il prezzo di Abn più quel miliardo circa di 'oneri' che i toscani versarono a Santander in aggiunta ai 9 pattuiti.
Con una differenza: che mentre i governi di Londra e de L'Aja hanno rilevato il controllo di Scotland e Fortis, il governo di Roma ha premiato Monte Paschi senza ottenere in cambio nemmeno una azione, finendo così per favorire la speculazione dei gruppi spagnolo, scozzese e olandese tramite i soldi dei contribuenti italiani.
MPS «SOCIO OCCULTO» DELL'OPA. Ma quello che emerge oggi ancora più chiaro dalle carte italiane e spagnole è che Mps partecipò di fatto alla scalata di Abn senza però entrare nell'offerta pubblica di acquisto presentata ai mercati, deliberata invece dagli azionisti di Santander, Fortis e Scotland e sottoposta al controllo delle autorità di vigilanza di Madrid, Londra e l'Aja ma non di Bankitalia e Consob.
Le date parlano chiaro. L'Opa partì il 29 maggio 2007 e venne accettata l'8 ottobre dello stesso anno. L'8 novembre Santander annunciò di aver ceduto a Mps Antonveneta per 9 miliardi, mentre ancora non aveva rilevato da Abn la banca veneta. Tanto che la formalizzazione della vendita ai senesi avverrà solo nel maggio dell'anno successivo.
SANTANDER RISPARMIA 9 MLD. Ed Emilio Botin, patron di Santander, nella lettera ai suoi azionisti di quell'8 novembre (leggi il pdf) disse con chiarezza che l'intervento di Mps avrebbe permesso a Santander di ridurre il prezzo di acquisto delle quote Abn da 20 a 11 miliardi di euro.
In quella cordata a tre c'era dunque un intruso italiano. E Antonveneta, che sapeva perfettamente quanto stava accadendo, collaborò consapevolmente a questo aggiramento dell'Opa.
Almeno una tranche delle obbligazioni emesse da Mps appositamente per comprare la banca veneta (la parte del 26 marzo 2008) fu infatti affidata dai senesi per il collocamento agli sportelli della stessa Antonveneta, in quei giorni ancora in mani straniere. Lo dice lo stesso prospetto informativo dell’emissione Mps (che peraltro pochi risparmiatori leggono) nel quale si parla esplicitamente di rischio di «conflitti di interesse» nell'operazione di collocamento dei bond.
IL VIA LIBERA DI BANKITALIA, CONSOB E TESORO. Ma mentre in Gran Bretagna e Olanda i governi e l'opinione pubblica, insieme con le autorità di controllo finanziario, tra il 2008 e il 2012 facevano apertamente il conto dei danni dello tsunami Abn, in Italia - come le tre scimmiette - nessuno vedeva, sentiva o parlava, pur essendo tricolore il quarto scalatore della cordata. Bankitalia, Consob e il Tesoro vagliavano e approvavano singole operazioni di emissione, senza però inquadrarle nell'immenso gioco di Abn da 71 miliardi di euro.

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I risultati furono disastrosi. Il valore delle azioni di Mps, che nel maggio del 2007 (lancio dell'Opa su Abn) oscillava attorno ai 5 euro, precipitò sino a 1,25 euro di ottobre, con un prezzo in Borsa attorno a 1,8 euro a fine maggio 2008, quando l'acquisto di Antonveneta (solo annunciato a novembre 2007) venne perfezionato e concluso realmente.
Nel frattempo, Mps e la Fondazione che la controlla erano state costrette a vendere gran parte dei loro gioielli 'reali', cioè aziende che producono e non partecipazioni finanziarie, per un valore di circa 2 miliardi: dal gruppo toscano uscirono tra l'altro palazzi storici di Siena, tenute agricole, l'assicurazione Quadrifoglio Vita e altri beni.
IL SOCCORSO STATALE. Tutto questo veniva però coperto da dichiarazioni rassicuranti, tese a sopire mercati e autorità pubbliche. Il 18 novembre 2008 il presidente di Mps Giuseppe Mussari dichiarava a La Stampa che Monte Paschi era «sufficientemente capitalizzata» e non aveva bisogno di ricapitalizzazioni. Ma nel frattempo, il 15 novembre, il direttore generale Antonio Vigni spiegava a Il Sole 24 Ore che Mps stava valutando la possibilità concreta di attingere a fondi dello Stato per almeno 1 miliardo di euro, diventati poi come sappiamo oggi quasi 4 miliardi, grazie ai Tremonti e ai Monti bond.
In questo modo si chiude il cerchio di una scalata occulta a un pezzo di Abn, avvenuta d'intesa con Santander e la stessa Antonveneta e scaricata in gran parte sulle casse pubbliche e sul risparmio privato.
Mentre in Italia ancora si cerca di capire il costo di questo oneroso incantesimo da apprendisti stregoni senza soldi, in Gran Bretagna il quadro è più chiaro ed estremamente doloroso.
LA NAZIONALIZZAZIONE DI RBS. Royal Bank of Scotland, devastata dallo sbarco in Olanda sulle sponde di Abn, è stata nazionalizzata con un esborso pari a 51 miliardi di euro. Anche qui, come in Italia, il prezzo venne pagato dai cittadini: già nel novembre 2008 (avvio dell'operazione di salvataggio statale) il governo di Sua Maestà comprava azioni di Scotland per un importo di 22,8 miliardi di sterline, a un prezzo di 65,5 pence per azione, mentre alla Borsa di Londra le stesse azioni di Scotland venivano scambiate ad appena 55,3 pence. Secondo una analisi del Sole 24 Ore la perdita secca immediata per i contribuenti britannici fu di circa 3 miliardi di sterline, a causa della differenza tra il prezzo pagato dal governo britannico e quello invece battuto al London Stock Exchange. Un immenso regalo di denaro pubblico agli azionisti privati di una banca che si era dissanguata nell'operazione Abn compiuta senza avere in tasca i soldi per concluderla.
NEL REGNO UNITO: MENO 3.500 POSTI. Per pagare il prezzo impossibile di Abn, Scotland licenziò immediatamente 2.700 dipendenti in Gran Bretagna nel 2008, anno di conclusione dell'acquisto della banca olandese. Per proseguire poi con altri tagli, negli anni, di circa 3.500 lavoratori sparsi tra Inghilterra, Scozia, Ulster e negli sportelli e uffici in Asia. Nel frattempo Fred Goodman, amministratore delegato uscente di Scotland, si garantiva una pensione di 900 mila sterline l'anno.
Non andò meglio in Olanda e Belgio, dove l'ingresso di Fortis in Abn, oltre all'esborso di 16,8 miliardi da parte dello Stato, venne pagato dai dipendenti dei due colossi con circa 5 mila licenziamenti.
LA DIETA SENESE TRA LICENZIAMENTI E CESSIONI. Monte Paschi, in questo turbine, non è stata certo a guardare: il Piano industriale varato nel giugno 2012 prevede la chiusura di 400 sportelli e l'uscita, fino al 2017, di 4.600 dipendenti fra tagli al personale (oltre mille a casa), esternalizzazioni di contratti (altre 1.100 persone) e cessione di attività con all'interno altri 2.600 lavoratori.
La scalata di Abn, oltre ai denari pubblici versati nei buchi delle banche coinvolte, ha avuto e sta avendo dunque anche un pesantissimo bilancio sociale: il posto di lavoro perduto in Europa da oltre 12 mila persone.


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