venerdì 15 marzo 2013

Francesco 1° Un prete di strada


Un prete di strada




PAPA Wojtyla fu ricordato e venerato dai fedeli per aver detto, a conclusione del suo primo discorso pronunciato dal balcone del palazzo apostolico pochi minuti dopo la sua elezione: "Se sbaglio, mi corrigerete". Il nuovo pontefice Jorge Mario Bergoglio resterà nella memoria collettiva per due frasi dette in analoga circostanza: "Mi hanno trovato alla fine del mondo" e poi "ho perdonato i miei carissimi cardinali per avermi eletto".

Gli era già capitato nel Conclave di otto anni fa d'esser stato scelto per contrastare Ratzinger. Senza la sua presenza l'ex papa sarebbe stato eletto al secondo scrutinio, invece ce ne vollero quattro e fu lo stesso Bergoglio e suggerire ai suoi elettori di votare Ratzinger per evitare che spuntasse il cardinal Ruini. Analogo suggerimento aveva dato ai suoi elettori Carlo Maria Martini.
 L'elezione di Bergoglio è stata vista da molti osservatori come la continuazione del pontificato di Benedetto XVI. C'è una parte di verità in questo modo di giudicare l'esito del Conclave: senza l'abdicazione del suo predecessore e la denuncia del malgoverno della Curia oggi non avremmo papa Francesco; ma la sostanza dell'evento non è questa, anzi è il suo contrario: papa Francesco è esattamente l'opposto di Benedetto per almeno quattro ragioni.

La prima è la scelta del nome, la seconda l'insistenza del nuovo Pontefice sulla sua funzione di Vescovo di Roma, la terza sulla pastoralità come rivendicata missione, la quarta la sua provenienza dalla "fine del mondo". Esaminiamole con attenzione queste ragioni perché saranno loro a definire la figura di papa Bergoglio e a determinarne le decisioni.

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In un articolo pubblicato da Repubblica il 12 febbraio scorso, all'indomani delle dimissioni di Benedetto XVI, e poi in un altro articolo di domenica scorsa, avevo già posto la questione del nome che il futuro papa avrebbe potuto scegliere secondo l'esito del Conclave e la figura dell'eletto.

Avevo scritto: "Se la vittoria andrà ad un papa curiale e verticista il nome prescelto potrà essere quello di Pio XIII, ma se invece prevarrà un disegno di rinnovamento, potrà chiamarsi Giovanni XXIV o meglio ancora Francesco, un nome mai usato finora in duemila anni di storia della Chiesa".
Il nome del fondatore dell'Ordine francescano scelto da un gesuita, sembra una contraddizione in termini invece non lo è, anche Carlo Maria Martini era gesuita e molti furono i membri della compagnia di Gesù a condividere le tesi della teologia della liberazione che portò addirittura in politica i diritti dei deboli, dei poveri e degli esclusi. Il gesuita Bergoglio non era un teologo e non lo è mai stato, ma era un "prete di strada" e lo è stato fino a pochi giorni fa, un prete itinerante, quasi mai vestito con l'abito talare e spesso senza neppure col clergyman; abitava in un appartamento modesto, si postava in tram o in treno, ha studiato e lavorato come un giovane qualsiasi, il padre era un ferroviere, veniva dal Piemonte. Questa è la sua storia, molto più vicina a quella del santo di Assisi che ad Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù.

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Francesco I ha molto insistito sulla sua titolarità della diocesi di Roma. Nel discorso d'investitura dal balcone del palazzo papale non si è mai designato come Pontefice ma sempre come Vescovo. Quest'aspetto è della massima importanza. Il papa è stato finora considerato come il Vicario di Cristo in terra ed infatti quando parla ex cathedra su questioni di fede la sua parola è infallibile come decretò il Concilio Vaticano I del 1868. Questo punto è ancora l'ostacolo che ha impedito l'unificazione tra i cattolici da una parte e gli anglicani e gli ortodossi dall'altra.

Queste confessioni cristiane sarebbero pronte a riconoscere la supremazia del Vescovo di Roma come primus inter pares ma non quella di Vicario di Cristo in terra. Si tratterebbe d'un mutamento epocale perché l'ordinamento verticista della Chiesa tende a trasformasi in un ordinamento "orizzontale"; diminuirebbe il potere del papa e della curia, aumenterebbe quello dei Concili e dei Sinodi, cioè dei vescovi.

Questo è il vero punto centrale che ha raccolto intorno al "prete di strada" di Buenos Aires la grande maggioranza dei cardinali sotto le volte della Sistina e fu anche il fulcro del pensiero di Carlo Maria Martini e la ragione della sua amicizia con Bergoglio. E questa fu anche, cinquant'anni fa, l'apertura del Vaticano II verso il futuro. La pastoralità e l'evangelizzazione escono rafforzate da questa visione d'una Chiesa affidata ai vescovi e ai preti con cura d'anime e quindi apostolica, militante e missionaria. Anche il ruolo dei laici e dei diaconi ne esce rafforzato, con una serie di conseguenze a grappolo: il celibato dei preti, il ruolo delle donne nella Chiesa, l'ecumenismo verso le varie confessioni cristiane e le altre religioni monoteiste - l'ebraismo e l'Islam - i contatti con i non credenti.

Infine, il problema dei "principi non negoziabili". Fu il cavallo di battaglia del post-temporalismo ed anche di Benedetto XVI che non a caso fece del relativismo illuminista l'avversario principale della sua visione teologica e politica. Per il "prete di strada" che ha preso il nome del santo che parlava con i poveri, con i fiori, con gli uccelli, con i lupi e con "sorella morte corporale" non possono esistere principi non negoziabili se non quelli dell'amore del prossimo e della carità.

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Infine: c'è un Papa che viene dalla "fine del mondo", non è italiano anche se lo sono le sue origini familiari, non è europeo. È la prima volta che ciò accade ma in realtà la provenienza dall'America Latina corrisponde alla centralità del mondo cattolico. L'Europa è ormai completamente secolarizzata, per la Chiesa può essere terra di missione e di evangelizzazione, ma con scarse probabilità di successo: chi si distacca da un credo monoteistico è molto difficile che vi rientri.
Non a caso il cattolicesimo prospera in Sud America e nelle comunità africane. Terre di poveri e di esclusi.

Questa è la missione. Probabilmente Francesco utilizzerà soprattutto i Sinodi, i Concistori e le Conferenze episcopali come strumenti per rinnovare il quadro della cattolicità apostolica. La politica politichese interesserà sempre meno la Santa Sede e meno che mai quella italiana. L'importanza delle Conferenze episcopali sarà sempre più connessa alla spiritualità e alla pastoralità e molto meno alla temporalità. E poiché la Cei è la sola il cui presidente viene nominato dal Papa anziché dai vescovi, è assai probabile che dall'imminente nomina esca un nome che interpreti questi elementi di novità. Ho cercato di indicare quelli che a me sembrano i contenuti più probabili del nuovo pontificato, che interessano i credenti, i fedeli di altre confessioni e religioni e i non credenti che dell'amore del prossimo e delle anime pellegrine fanno gran conto.

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