venerdì 24 gennaio 2014

Anno giudiziario, Santacroce: serve indulto. No a pm "protagonisti"

Anno giudiziario, Santacroce: serve indulto. No a pm "protagonisti"

La relazione per l'apertura dell'anno giudiziario del primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce

La Cassazione

La tensione tra toghe e politica, il protagonismo di certi magistrati, la necessità dell'indulto e i malfunzionameti della giustizia. Questi e molti altri i temi, anticipati dall'Ansa, al centro della relazione che il Primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce leggerà in mattinata nell'aula magna della Suprema Corte alla presenza dei vertici dello Stato.

L'indulto. In attesa di «riforme di sistema» non c'è «altra via che l'indulto» per ridurre subito il numero dei detenuti, scarcerando chi «non merita di stare in carcere ed essere trattato in modo inumano e degradante», scrive il Primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce nella sua Relazione di apertura dell'anni giudiziario.

La custodia cautelare. «Meritano consenso» le proposte delle Commissioni istituite presso il ministero della Giustizia per snellire il processo civile e smaltire l'arretrato e, sul versante penale, le proposte tese «a restringere l'area delle sanzioni detentive e a contenere il ricorso alla custodia cautelare, acquisendo una maggiore consapevolezza critica della sua funzione di extrema ratio da utilizzare entro i confini più ridotti possibili», prosegue.

Tortura, Italia inadempiente. «Non può esserci una efficiente 'Europa dei mercati', se ad essa non si accompagna una forte 'Europa dei diritti'» sottolinea quindi Santacroce, rilevando che ci sono «gravi inadempimenti degli obblighi assunti dal nostro Paese». In primis, la mancata introduzione del reato di tortura e il persistere dei processi ai contumaci.

Tensione toghe-politica. «Lo stato di tensione tra magistratura e politica, nonostante i Suoi ripetuti interventi, non accenna a spegnersi, e il suo persistere, rappresenta una vera e propria spina nel cuore per noi magistrati», sottolinea poi rivolgendosi al Presidente della Repubblica, aggiungendo: «Il risvolto più doloroso» della tensione tra magistratura e politica «è una delegittimazione gratuita e faziosa, che ha provocato, goccia dopo goccia, una progressiva sfiducia nell'operato dei giudici e nel controllo di legalità che a essi è demandato».

I magistrati "protagonisti". Per dare «credibilità» al loro operato «senza alimentare diffidenze, pessimismi, sospetti», i magistrati devono «sentirsi sempre meno potere e sempre più servizio come vuole la Costituzione», «abbandonare inammissibili protagonismi e comportamenti improntati a scarso equilibrio» senza «assumere improprie missioni catartiche e fuorvianti smanie di bonifiche politiche e sociali».

Allarme corruzione. «La riforma delle riforme» di cui l'Italia ha bisogno è quella della prescrizione cui «veniamo ripetutamente sollecitati da organismi internazionali, da ultimo il rapporto Ocse, che deplorano l'alta percentuale di delitti di corruzione dichiarati estinti per tale causa», continua Santacroce.

Malfunzionamenti della giustizia. «Dobbiamo avere il coraggio di interrogarci su ciò che non ha funzionato e continua a non funzionare nell'esercizio del potere diffuso, nel sistema di autogoverno e nell'associazionismo giudiziario che pure, nella loro essenza, costituiscono esperienze feconde, positivamente apprezzate anche fuori dal nostro Paese», prosegue ancora. Nella giustizia civile ci sono «miglioramenti» che «inducono a essere moderatamente fiduciosi sulla capacità di risposta del nostro sistema», sottolinea. Quanto alle cifre, le cause civili smaltite negli ultimi anni hanno un andamento «da considerarsi statisticamente costante», pari - al giugno 2013 - a 4.554.038 fascicoli eliminati. Il dato «associato alla tendenziale riduzione delle sopravvenienze» attestate su 4.348.902 nuove liti instaurate - che nell'ultimo anno hanno registrato un aumento seppur modesto nei tribunali - «ha dato luogo alla riduzione dei procedimenti pendenti», pari a 5.257.693 cause in attesa di trattazione, con un calo del 4% rispetto all'anno 2012. 

Il taglio dei tribunali. Ai Guardasigilli Severino e Cancellieri «va riconosciuto il merito di aver mostrato fermezza mantenendo dritta la barra del cambiamento» sul taglio dei tribunali, «allo stesso pragmatismo si ispira il 'decreto del farè del giugno scorso che ha rafforzato le risorse umane degli uffici giudiziari» e ha reintrodotto «la mediazione come strumento di deflazione del contenzioso civile», ha poi sottolineato.

La crisi. «La crisi economica in atto ha generato un forte incremento dei procedimenti esecutivi (anche mobiliari), dei fallimenti, delle procedure di concordato preventivo, delle modifiche delle condizioni patrimoniali nelle separazioni personali dei coniugi, dei decreti ingiuntivi e dei licenziamenti con il 'rito Fornero'». «La congiuntura economica, caratterizzata da nuove povertà e dalla costante diminuzione di occasioni di lavoro, ha determinato poi un generalizzato aumento dei reati contro il patrimonio, in particolare dei furti in abitazione, mentre diminuiscono, malgrado le enfatizzazioni giornalistiche, gli omicidi, che registrano il più basso tasso di frequenza nella storia d'Italia degli ultimi 150 anni», rileva Santacroce.

«La giustizia penale non è allo sfascio». «L'andamento della giustizia penale non presenta un quadro di criticità accentuato rispetto a quello degli anni scorsi, anche se non si registrano significativi miglioramenti nella durata dei procedimenti», sottolinea il Primo presidente della Cassazione. Gli ultimi dati rilevano che allo scorso 30 giugno, erano iscritti 3.333.543 procedimenti contro autori noti, con un aumento dell'1,8% rispetto al periodo precedente. I procedimenti definiti sono lievemente aumentati (3.195.664) ed è salita pure la pendenza (3.237.258). Per quanto riguarda i tempi, Santacroce osserva che «continua la tendenza alla riduzione dei tempi medi per le corti di appello (da 899 a 844 giorni), che sono tempi ancora troppo distanti dal parametro di due anni indicato dalla Corte di Strasburgo, a conferma che il giudizio di appello rappresenta il vero 'imbutò che rallenta tutto lo svolgimento del processo penale nel circuito dell'impugnazione, rendendo indifferibili interventi organizzativi e normativi». Nell'ultimo anno, rileva ancora Santacroce, «la durata media dei procedimenti penali, dalla iscrizione della notizia di reato fino alla sentenza definitiva, è stata di circa cinque anni». «Non sono perciò giustificate espressioni come 'collassò o 'sfasciò o 'stato comatosò di una giustizia indistintamente evocata: termini che paiono oggettivamente mistificatori della situazione che caratterizza il settore penale», conclude.


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