giovedì 28 giugno 2012

Ustica 32 anni dopo


Ustica 32 anni dopo

27 giugno 2012
Cora Ranci
No del Belgio alla richiesta di collaborazione con la nostra magistratura. E i famigliari delle vittime chiedono alla magistratura di interrogare l’ex primo ministro libico Jalloud: si troverebbe in Italia
Ricorre oggi il 32° anniversario della strage di Ustica. Era il 1980 quando un aereo civile della compagnia Itavia in volo da Bologna a Palermo scoppiò in aria, con ottantuno persone a bordo. Ci vollero 19 anni prima che la magistratura riuscisse ad arrivare al primo punto fermo sulla vicenda. Nel 1999, il giudice istruttore Rosario Priore depositò una sentenza ordinanza di oltre cinquemila pagine. “Il DC-9 – si legge nelle conclusioni – è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti”.
Il DC-9 è stato dunque abbattuto. Quella tranquilla sera di giugno, nel cielo sopra Ustica c’è stata una battaglia aerea. È partito un missile. Chi l’ha lanciato? A chi era destinato? Di certo, non contro l’aereo dell’Itavia, che non aveva nessuna personalità importante a bordo, ma solo gente comune, in partenza per le vacanze, o di ritorno a casa, in Sicilia. E allora cos’è successo? Un fatale errore? Già, ma perché? Interrogativi che accompagnano la storia di Ustica sin dal suo inizio. E che pian piano, grazie soprattutto alla tenacia dell’Associazione dei parenti delle vittime della strage, animata dalla sua presidente Daria Bonfietti, si sono svelati, rivelandoci i tratti di una vicenda tragica quanto inquietante.
Lo ha ribadito oggi anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano: “È indispensabile che le istituzioni tutte profondano ogni sforzo – anche sul piano dei rapporti internazionali – per giungere a una compiuta ricostruzione di quanto avvenne quella drammatica notte nei cieli di Ustica”. Di ipotesi ne sono state fatte diverse. Francesco Cossiga nel 2007, a processo concluso, fu molto preciso: il missile sarebbe stato francese, e il vero obiettivo dell’attentato un aereo libico su cui avrebbe dovuto trovarsi Gheddafi. Poi, qualcosa sarebbe andato storto.
Comunque, erano ventuno gli aerei in volo intorno al DC-9 quella sera, come ci ha comunicato la Nato. Cosa ci facevano sui nostri cieli? Ma soprattutto, di che nazionalità erano? È questo ora l’interrogativo che la magistratura sta ponendo a Stati Uniti, Francia, Libia, Belgio, Inghilterra e Germania, paesi amici di cui attendiamo da anni risposte che non arrivano. Il muro di gomma sembra avere confini molto ampi. Un primo diniego è arrivato proprio in questi giorni dal governo belga, che ha motivato il rifiuto di collaborare con la nostra giustizia adducendo non meglio precisati “interessi militari essenziali”.
Constatando l’inerzia dei governi, i famigliari delle vittime hanno annunciato oggi la presentazione di un’istanza alla Procura di Roma affinché si interroghi Abdel Salam Jalloud, ex primo ministro libico. Durante la guerra in Libia, stando a quanto riportato dal Corriere della Sera del 22 agosto 2011, il numero due del regime di Gheddafi si sarebbe infatti rifugiato in Italia. “Si può ritenere che Jalloud, per la posizione ricoperta all’epoca del regime – si legge nell’istanza – possa essere al corrente di dati molto utili alla ricostruzione dei fatti”. Secondo Daria Bonfietti, si potrebbe anche tentare di attivare una rogatoria per conoscere se l’attuale governo provvisorio della Libia sia venuto a conoscenza di documenti e di fatti utili per conoscere la verità su quanto accaduto quella maledetta sera.

ITALIA-GERMANIA/ Monti-Merkel 4-3 sta' sera invece sara' 3-1


ITALIA-GERMANIA/ Monti-Merkel 4-3

giovedì 28 giugno 2012
ITALIA-GERMANIA/ Monti-Merkel 4-3
Ieri anche lo spread ha tenuto il fiato sospeso, si è fermato placido placido attorno a quota 465, oscillando lento e svogliato. Anche lui attendeva la “sfida del differenziale” in programma questa sera, Italia-Germania, Prandelli contro Loew, Pirlo contro Lahm, Monti contro Merkel, Btp contro Bund. Insomma, una sfida nella sfida che travalica il mero campionato europeo di calcio e la possibilità di andare in finale. Da più parti si è scomodato, per presentare l’incontro di questa sera, il precedente da antologia del 19 giugno 1970, il mitico Italia-Germania 4 a 3 che tramutò lo stadio Azteca di Città del Messico nel centro del mondo sportivo non per una notte ma per decenni. La partita delle partite, la sfida del secolo, venne definita a ragione: e stasera?
Al di là di come andrà a finire sul campo, Italia-Germania rappresenta più di una partita, è la trasposizione sportiva ed egonistica di due modi di pensare l’Europa, la stessa che in contemporanea con la semifinale vedrà i suoi rappresentanti ritrovarsi attorno a un tavolo a Bruxelles per cercare di salvare il salvabile. Per l’ennesima volta. Non partiamo avvantaggiati, meglio dirlo subito. Ieri il Tesoro ha collocato tutti i 9 miliardi di Bot semestrali programmati, ma il tasso d’interesse pagato è salito al 2,96% dal 2,104% del mese scorso, raggiungendo i massimi dal dicembre 2011. Non un bel segnale, finanziare il nostro debito sul mercato costa sempre di più, a fronte di un Bund che invece paga rendimenti ai minimi storici. Ma durerà?
Difficile dirlo, certamente il fatto che i principali hedge funds del mondo siano short sul titolo di Stato tedesco, benchmark europeo, ci dice chiaro e tondo che i destini della Germania sono inestricabilmente legati a quelli dell’eurozona, area economica più potente a livello globale e destinataria del 60% dell’export teutonico, dinamo del miracolo di Berlino, il cui tasso di disoccupazione sembra collocarla in un altro mondo rispetto ai partner dell’Ue. Il perché si scommetta contro il Bund è semplice, si dà per certo un salvataggio spagnolo - con tanto di ristrutturazione del debito - molto più ampio e doloroso di quello preventivato dalla Commissione Ue e dallo stesso governo spagnolo, situazione questa che minerebbe alle fondamenta la credibilità finanziaria della Germania, bancomat dell’Unione attraverso la Bundesbank e il programma Target2. Per questo la Merkel lancia strali in attesa del vertice: «Mai condivisione del debito finché sarò in vita», «Gli eurobond scelta economicamente sbagliata in questo momento». Insomma, la Germania non fa concessioni. Di alcun tipo. Ma le conviene comportarsi così?
Dando un’occhiata ai dati del programma Target2 - con il quale, di fatto, Bundesbank e Bce trasferiscono soldi alle banche centrali di Club Med e Irlanda per tamponare le fughe di capitali - si capiscono parecchie cose: la Bundesbank è sotto di 616 miliardi di euro rispetto ai crediti che vanta verso il resto del sistema Bce, un salto di 68 miliardi solo nell’ultimo mese. Finché l’eurozona reggerà, non c’è particolare problema: solo un dettaglio contabile, visto che ogni perdita verrà ripartita tra le banche centrali, quindi anche un eventuale addio greco potrebbe essere gestito e gestibile. Ma se il sistema salta e la Germania se ne va, le perdite saranno enormi per i contribuenti tedeschi: quindi, più l’eurozona va avanti, più gli sbilanci verso Target2 crescono, più sarà costoso e difficile per Berlino chiamarsi fuori dal casinò europeo quando l’incendio sarà divampato del tutto.
Ecco qual è il ragionamento della Bundesbank che sta animando parole e scelta di Angela Merkel, oggi più che mai nulla più che un ventriloquo di Weidmann. Il Target2, di fatto, è l’anello al naso della mucca da contante tedesca. La Bundesbank preme per una rottura rapida dell’eurozona o per una sua ridiscussione traumatica, attraverso un altro default o ristrutturazione, per rimettere le mani prima che sia tardi sui soldi del Target2 e rompere il circolo vizioso dello schema Ponzi europeo innescato dalle politiche monetarie della Bce, che da un lato ha sì legato inestricabilmente il sistema bancario al rischio sovrano, ma dall’altro ha, oggettivamente, evitato il tracollo degli istituti di credito iberici, evento che avrebbe portato con sé conseguenze devastanti, visto che i paesi dell’Ue sono esposti verso l’economia spagnola per 913 miliardi di euro.
Certamente è un gioco pericoloso, al massacro, visto che in molti banchieri centrali non tedeschi puntano allo stesso risultato, ma per ragioni opposte: portare il decennale spagnolo al 7% di rendimento, arrivare alla soglia del non ritorno, per obbligare la Bce a una terza asta di Ltro o alla riattivazione del programma di acquisto di bonds sul mercato secondario, ciò che di fatto vorrebbe Mario Monti ma attraverso il fondo salva-Stati Efsf. L’Italia e con lei la Francia sanno che, nella situazione attuale, o si prende la direzione della vera Unione tra Stati, con budget condivisi, debito condiviso, tassazione condivisa e unione fiscale (leggi, addio sovranità) e una Bce in stile Fed oppure il sistema scoppia e allora, se questa è l’intenzione tedesca, il piano sarà quello di farlo deflagrare in fretta, in nome del Target2 e dei soldi dei contribuenti tedeschi.
E guardate che la partita, esattamente come quella che si giocherà questa sera, è di quelle epocali: non appare infatti una coincidenza fortuita che alla vigilia del vertice europeo che si apre oggi, Mario Draghi abbia fatto filtrare l’indiscrezione in base alla quale starebbe per partire l’operazione Nirpo, ovvero “Negative interest rate policy”: tu banca depositi i tuoi soldi presso l’Eurotower invece di farli circolare e stimolare la crescita? Bene, dovrai pagare per questo privilegio, poiché Francoforte applicherà tassi di interessi negativi esattamente come la Svizzera di fine anni Settanta. E Draghi sa che il momento è di quelli “make or break”, o la va o la spacca. Ricordate l’estate del 2011, piena crisi, banche americane che non volevano prestare un solo dollaro a quelle europee? Bene, a settembre dello scorso anno la Fed entra in gioco e attiva i currency swaps, di fatto tramutandosi in prestatore di ultima istanza globale e garantisce ancora ossigeno e vita, in attesa delle due aste Ltro della Bce.
Ora però negli Usa si guarda allo stato patrimoniale della Bce e si comincia a prestare molta attenzione al rischio di controparte: e se la Bce, magari per l’implosione dell’eurozona o del sistema Target2, andasse a zampe all’aria con la sua leva 1:29? Certo, in quel caso i creditori si rifarebbero delle perdite con l’acquisizione di assets dell’Eurotower: ma quali? Prestiti a banche portoghesi? Obbligazioni greche? No, grazie. Tanto più che i prestiti agli istituti lusitani dipendono dalle linee di liquidità della Bce e sono collateralizzati da bonds emessi dal governo portoghese, che dipende anch’esso dalla Bce. Insomma, la Germania faccia la sua scelta, ma in fretta e senza doppi giochi: anche perché, in tutta franchezza, a farsi male sarà anche lei e parecchio se l’eurozona crollerà in maniera disordinata.
La partita è questa, rigore interessato contro realismo emergenziale: Loew e Prandelli seguiranno la stessa linea stasera? Chi lo sa, una sola cosa è certa: il fatto che l’Italia stasera, con la sua casacca blu, giocherà in nome dell’Europa, pur vantando sul petto solo quattro stelle. La Germania giocherà solo per sé, come sempre, come quando permise lo scorso luglio a Deutsche Bank di gridare al mondo che aveva scaricato 8 miliardi di debito italiano, rimpiazzandoli in portafoglio con cds, aprendo di fatto il vaso di Pandora e distruggendo il concetto stesso di investimento risk-free per il debito sovrano Ue: si voleva spostare il mirino dei mercati su Italia e Spagna per salvare banche e assicurazioni tedesche strapiene di prodotti a rischio fino a che queste non fossero riuscite a scaricare il massimo possibile a qualsiasi prezzo (chissà a che valore sono contabilizzate ancora oggi nei bilanci, soprattutto dello società assicuratrici), esattamente come si fece prendendo tempo e non risolvendo il caos greco quando si poteva e con la modica cifra di 130 miliardi di euro. Per questo, stasera più che mai e durante il vertice di questo weekend più che mai, forza Italia.

mercoledì 27 giugno 2012

SPENDING REVIEW/ Statali e sanità: i "conti" del Governo non tornano


SPENDING REVIEW/ Statali e sanità: i "conti" del Governo non tornano

martedì 26 giugno 2012
SPENDING REVIEW/ Statali e sanità: i conti del Governo non tornano
È una nuova giornata di “dolore” in Borsa e in rapporto allo spread. Il rimbalzo di settimana scorsa si è naturalmente esaurito dopo la copertura dei trader sulla scommessa greca. Ora si riparte da capo, con il fiato sempre più grosso e alla vigilia di un summit europeo, su cui già ora si nutrono poche speranze. Il professor Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano non lascia neppure terminare la domanda sulle attese di questo prossimo summit europeo: «Che cosa mi attendo? Un perfetto nulla di fatto. Con la Germania che manterrà le sue posizioni e gli altri Paesi che manterranno le loro. E in questo modo pensano di andare avanti». Professore si annunciano nel frattempo nuovi interventi sulla spesa pubblica, nell’ambito della spending review. Per fare alcune operazioni di risparmio sta intervenendo anche il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi. Si raccomanda ai dipendenti persino di non chiamare i telefoni cellulari e di usare poco quelli lavorativi, di avere una particolare attenzione ai condizionatori d’aria e quindi al riscaldamento invernale.

Cosa ne pensa?

Beh, in questo caso possiamo stare al fresco! Se si parte da questi tagli delle spese non ci sono parole di commento. I caloriferi sono già regolamentati e tarati per legge. Non so poi come un ramo dell’amministrazione statale possa fare contratti per i cellulari a consumo. Ma queste cose fanno solamente ridere. Il problema è sempre alla base: in un’impresa privata lei può risparmiare in base a un criterio gerarchico, ma questo tipo di operazione è impossibile nel settore pubblico, perché la spesa non è considerata uno spreco.

C’è poi la previsione di prepensionamento per i dipendenti pubblici che abbiano superato i 60 anni di età. In pratica, due anni di cassa integrazione con stipendio all’80% e poi il licenziamento o la pensione.

Che differenza fa nella spesa pubblica lo stipendio o la pensione per i dipendenti pubblici? Il problema invece che lavorino proprio non viene messo in discussione? E tutto questo dovrebbe avvenire dopo che è stata alzata l’età pensionabile per gli altri. Avviene mentre siamo ancora in ballo con il numero, che non torna, degli “esodati”. C’è da rimanere di stucco.

Si dice che nel mirino di Enrico Bondi, il “supertagliatore”, ci sia anche la sanità, per una cifra intorno ai 37 miliardi di euro. Tanto è vero che i sindacati hanno già annunciato che si metteranno sul “piede di guerra”.

Non si riesce ben a comprendere quali siano i tagli veri alla spesa pubblica e soprattutto la portata di questi tagli. Il ministro ai Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, ha entusiasmato alcuni miei colleghi quando ha parlato di una spesa pubblica “aggredibile”. Ma l’aggettivo aggredibile non si traduce mai in deducibile. In fin dei conti, si può parlare anche di una spesa pubblica aggredibile per 300 miliardi, ma poi quanto di questa viene tagliata? L’1%, il 3%? Mi pare che l’unico settore in Italia che non si è ridotto è quello pubblico, quello della spesa pubblica.

Mentre al contrario sono stati colpiti duramente i redditi medi e medio bassi?
Hanno colpito direttamente il “carrello della spesa”, hanno colpito quei redditi che in genere consumano. Questo è stato l’errore più grave di questo governo: mettere a rischio i redditi dei ceti medi e medio-bassi. Le conseguenze si vedono nei numeri, nel crollo dei consumi, nei settori in difficoltà. Un errore simile non era prevedibile da parte di un “governo dei tecnici”. In genere, quando ci si rivolge a un architetto per costruire o arredare una casa, si pretende della professionalità.

Come giudica allora questo governo nel suo complesso?

Un governo che si muove con scarsa professionalità. Fin dalle prime mosse, avevamo parlato delle varie competenze che non fanno mai una visione. In Italia, in 150 anni di storia, pochi statisti hanno avuto visioni e si sono avvalsi di competenti in varie materie. Ma in genere i leader prevedono, seguono una loro visione, anticipano i fatti. In questo momento sta accadendo tutto il contrario.

A parte questi provvedimenti di taglio alla spesa pubblica che nessuno riesce poi a vedere concretamente, proprio recentemente c’è stato una notizia che dovrebbe abbastanza allarmare: la Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, ha comunicato che le banche, in questi quattro anni di crisi, hanno continuato a fare le loro speculazioni e il loro trading.

È una notizia che non mi stupisce affatto. Le banche lo hanno fatto certamente, perché si muovono su un terreno completamente deregolamentato sul modello voluto dagli americani.

i cattolici? Sono ancora il miglior antidoto alle lobby di potere


Binetti: i cattolici? Sono ancora il miglior antidoto alle lobby di potere

mercoledì 27 giugno 2012
GALLI DELLA LOGGIA/ Binetti: i cattolici? Sono ancora il miglior antidoto alle lobby di potereFoto: InfoPhot
Caro Direttore

il Corriere della sera e IlSussidiario.net, da angolature diverse, ma con uguale incisività, in questi ultimi giorni hanno ospitato una serie di interventi su uno stesso tema: il ruolo dei cattolici nell’attuale panorama politico italiano. Un tema che ad alcuni appare cruciale anche ai fini di future alleanze politiche, ma che suscita in molte persone una sensazione di stanchezza e di noia: come se tutto fosse stato già detto, tutto già noto. Eppure il ruolo politico dei cattolici, la loro irrilevanza o la loro capacità di incidere nei processi decisionali definisce un paradigma con cui tutti debbono comunque confrontarsi.
Proprio ieri Mons. Crociata, parlando agli assistenti spirituali della gran maggioranza delle Associazioni cattoliche, ha sottolineato con chiarezza, a tratti perfino con durezza, la coerenza con cui tutti i cattolici debbono vivere la loro vocazione cristiana. Ha espresso una condanna secca di ogni forma di corruzione, senza concedere alibi di sorta. Dai cattolici ci si attende una testimonianza della loro fede, incarnata nella concretezza dei loro ruoli tutti, nessuno escluso. Da quello politico a quello professionale, dal piano personale a quello familiare. E’ la pre-condizione per non essere irrilevanti, peggio ancora per non dare scandalo, contribuendo al processo di corrosione della linfa etica del nostro Paese.
Non si può presupporre la fede, ma neppure la capacità di testimoniarla; occorre riproporselo giorno per giorno, affrontando il confronto, le diversità reciproche, le contraddizioni potenziali che ci sono in ognuno di noi e tra di noi. Questa è la prima, anche se non l’unica, mission del cattolico, chiamato comunque a fare rete, a creare consenso sui valori in cui crede, a recepire tutto il bene che può scaturire da persone che hanno posizioni diverse. Non si può ragionare del ruolo dei cattolici in politica senza partire da qui: dall’essere realmente cattolici e dal non temere di apparirlo e quindi di testimoniarlo nelle diverse circostanze. Ma questo, come dicono i matematici, è condizione necessaria e non sufficiente.
Da quando si è concluso il tempo del partito dei cattolici, quello della Democrazia cristiana, ed è iniziata la diaspora dei cattolici in tutti i partiti, i cattolici hanno cercato di capire come essere presenti in coalizioni diverse, vivendo questa appartenenza con lealtà e capacità di collaborazione, senza perdere il senso di un’altra e diversa appartenenza: quella marcata dai valori della propria fede, assunti con libertà e responsabilità. Alla domanda che spesso ci si pone: si può essere presenti da cattolici in tutti gli schieramenti, la risposta non può che essere positiva. Si può essere cattolici stando in ogni partito, solo se non si dimentica di essere cattolici e non si fa pagare sempre e solo  alla propria cattolicità il costo delle diverse mediazioni che la politica sollecita. 
Uno degli interrogativi che con maggiore frequenza debbono affrontare i cattolici impegnati in tanti settori della vita del Paese riguarda le possibili convergenze e le divergenze che emergono tra le loro reciproche posizioni, quando si accingono a valutarle alla luce dei principi etici fondamentali. Non è sempre facile comprendere le ragioni che sono alla base di scelte politiche diverse, basate su di una diversa valutazione degli stessi fatti, che una volta interpretati in modo diverso possono generare comportamenti diversi, modificando le proprie prospettive.
L’attuale quadro politico-economico solleva un quesito importante per i cattolici: capire in che cosa si possa identificare il patrimonio culturale di quanti di loro intendono testimoniare la propria fede anche nello spazio pubblico. La crisi che stiamo vivendo impone nuove modalità di collaborazione, per affrontare uniti le difficoltà economiche che assediano la vecchia Europa. Ognuno degli schieramenti, cominciando dai partiti che ne fanno parte, deve sforzarsi di privilegiare un’analisi comune e condivisa dei bisogni per selezionare accordi programmatici in grado di soddisfare più, prima e meglio le esigenze che appesantiscono le famiglie italiane, le piccole e medie imprese che costituiscono l’ossatura imprenditoriale del nostro Paese.
I cattolici debbono imparare a collaborare in forme nuove, secondo modelli nuovi, con tutte le persone che desiderano realmente portare il Paese fuori da questa palude, che sembra attrarre cose e persone in un vortice che crea ansia e preoccupazione, assai di più di quanto non accenda la sua speranza. Una risposta, semplice e complessa al tempo stesso, è offerta dalla dottrina sociale della Chiesa, che è una sorta di cattedra continua che aiuta ad analizzare i problemi politici e sociali per rendere giustizia all’uomo, a tutti gli uomini, di qualunque condizione sociale. La Chiesa con il suo insegnamento in campo sociale svolge un ruolo profetico, e a distanza di anni, di decenni e perfino di secoli colpisce la lucidità di certe denunce, il coraggio di certe affermazioni e la bellezza di certe prospettive.
La crisi di valori che il Paese attraversa, l’immobilismo con cui resiste ai processi di trasformazione, nonostante l’evidente necessità di cambiare ritmo e modelli organizzativi e gestionali, crea una resistenza ostinata a riforme coraggiose che restituiscano ai giovani la capacità di mettersi in gioco senza abbandonare gli anziani, ad una distratta politica sociale. C’è il timore che il Paese di fatto sia ostaggio da alcune lobby potenti o di molteplici piccoli gruppi di potere, davanti ai quali i cattolici non sanno prendere una posizione chiara e forte, lottando contro l’arroganza dei prepotenti e contrastando una corruzione, oscura e strisciante, che lo aggredisce come un vero e proprio cancro. I cattolici, per non essere irrilevanti, prima di tutto hanno bisogno di essere cattolici in modo coerente e poi di aprirsi alle collaborazioni che i nuovi modelli di governo possono generare, con una premessa forte in fase programmatica. 
Ci può essere un accordo sostanziale su molte cose, ma non su tutte e a nessuno può essere chiesto di mediare con la propria coscienza. E la coerenza con la propria visione cristiana va declinata senza eccezioni, deve assumere quella fermezza che non cede davanti a proposte inconciliabili con la propria fede, accettando di mettersi in gioco secondo quelle logiche democratiche, che spingono il cattolico a non chiudersi in se stesso, a fuggire dai castelli medioevali con ponte levatoio alzato. Il cristiano è per definizione un soggetto aperto, capace di misurarsi con sfide culturali ed intellettuali assorbendo tutto il meglio che incontra per strada e trasmettendo tutto il meglio che possiede nella sua storia e nella sua tradizione.
E’ la prossima sfida dei cattolici politicamente impegnati: ora e nella prossima legislatura. Fare alleanze programmatiche chiare con tutti coloro che accettano di lavorare insieme per il bene del Paese. Alleati, ma non schiacciati su posizioni divergenti o peggio ancora contrastanti con principi e valori; alleati tanto più affidabili quanto più coerenti, impegnato secondo il monito evangelico che afferma: “Sono venuto a servire e non ad essere servito”, pronti a cedere su ciò che appartiene loro, ma non sulla verità di certi principi.
Siamo sollecitati a misurarci con questa sfida senza ingenuità e senza superficialità, senza arroganza e senza presunzione, sentendoci impegnati insieme agli altri a tirare fuori il Paese con un lungo faticoso tiro alla fune, per trascinare la rete in cui sono tante persone oggi in difficoltà, verso migliori spiagge e maggiori opportunità. 

Leggete cosa dice al Wall streat Journal il nostro ministro del lavoro FORNERO


“Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro. Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. Il lavoro non è un diritto; Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”Le affermazioni del ministro Elsa Fornero al Wall Street Journal rappresentano un programma politico nella loro secchezza e anglosassone sintesi. Spesso, quando si danno interviste ai giornali stranieri, si dice meglio quello che si pensa davvero, lo spirito di fondo che muove le proprie azioni. 
Da quello che capiamo noi, avendo seguito il ministro dal momento del suo insediamento, la filosofia che la ispira è quella di una società, probabilmente idealizzata, in cui le persone non stiano ferme sul posto, si diano da fare, si “guadagnino” appunto il lavoro piuttosto che aspettare che questo gli piova dal cielo. E’ un concetto che abbiamo sentito più e più volte, addirittura dagli anni 80 quando un craxiano con i boccoli, come Gianni De Michelis, consigliava ai giovani di imparare ad “arrangiarsi”.
Solo che è un concetto che non fa i conti con quell’impegno certosino e generoso di migliaia e migliaia di giovani e meno giovani, precari e disoccupati, che accettano di combattere una quotidiana battaglia, sempre impari, per conquistare una vita decente. A sentire certe affermazioni del ministro sembra che questa realtà non esista e che, al contrario, i giovani disoccupati siano seduti sul divano ad aspettare l’offerta migliore. Il modo migliore per descriverli, del resto, da parte di chi non sa risolvere il problema dell’occupazione.
Per questo di un’espressione che dice che “il lavoro non è un diritto” resta solo la parte amara, quella vera. Il lavoro viene lentamente espunto dalla giurisprudenza europea dal novero dei dirittinon tanto garantiti ma su cui una società è impostata e cerca di convergere. E non è un caso che nell’intervista al WSJ questo concetto venga declinato in altre forme. La riforma, spiega infatti Fornero, “è anche una scommessa sugli italiani cambiare il loro comportamento in molti modi”
Ma è il quotidiano finanziario a ricordare l’essenziale quando afferma che “uno dei principi chiave della nuova legge è che i datori di lavoro saranno in grado di licenziare i singoli lavoratori per motivi economici”“Forse il più grande significato dello sforzo della signora Fornero - continua il WSJ - è che la legge ha smantellato la vacca più sacra del lavoro in Italia, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori”. Si possono fare tutti i discorsi del mondo, teorizzare le migliori filosofie di vita e del lavoro, ma la “riforma Fornero” entrerà nella storia, e sarà ricordata, solo per questo.

SOS Monti: mettete i terremotati prima dei partiti!


SOS Monti: mettete i terremotati prima dei partiti!


A Mario Monti e al Consiglio dei ministri:

Vi chiediamo di riunirvi urgentemente e di adottare una legge d'emergenza per trasferire i 91 milioni di euro di rimborsi elettorali dei partiti ai terremotati. In tempi di ristrettezze economiche, i leader politici devono garantire che le nostre risorse vadano a quelli che ne hanno più bisogno. I partiti hanno promesso di dare una mano per la ricostruzione: sta a voi costringerli a rispettare la parola data.
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40,000
27,259
27,259 hanno firmato. Aiutaci ad arrivare a 40,000
Pubblicato il: 26 Giugno 2012

E' una vergogna: nonostante la promessa di trasferire i loro contributi pubblici alle vittime del terremoto, i partiti se li intascheranno tutti il 1° luglio! Solo Monti può accendere i riflettori su questo scandalo e garantire che l'aiuto concreto vada a quelli che ne hanno più bisogno, ma solo se oggi saremo in tanti ad appellarci a lui.



I partiti hanno promesso di destinare i 91 milioni di euro della prossima tranche di finanziamento pubblico alla ricostruzione in Emilia e a L'Aquila, ma per far sì che questi fondi vadano alle vittime del terremoto devono adottare una legge entro il 1° luglio, giorno in cui riceveranno i soldi. I partiti però hanno deliberatamente perso tempo in Parlamento così da affossare la legge e intascarsi i milioni di euro.Alcuni senatori si sono rivolti a Monti per chiedere di adottare una legge d'emergenza per fermare questa presa in giro, e un appello accorato da tutti gli italiani potrebbe convincerlo a farlo.



Monti deve sentirci forte e chiaro prima della scadenza fra un paio di giorni. Aggiungi il tuo nome per chiedergli di dirottare i 91 milioni di euro alle vittime del terremoto, e la senatrice Poretti leggerà la nostra petizione in Parlamento non appena raggiungeremo le 40.000 firme. Firma la petizione e dillo a tutti!

Manganelli dopo quello che guadagni e dopo quello che hai detto ,se sei un uomo dello stato devi dimettertiAldrovandi, la mamma sporge querela per gli insulti in Rete.


Aldrovandi, la mamma sporge querela per gli insulti in Rete