venerdì 1 marzo 2013

La storia siamo noi, nessuno si senta escluso


La storia siamo noi, nessuno si senta escluso


Quando esplose il reattore di Chernobyl, nel remoto 1986, il Muro di Berlino era ancora in piedi, ma a Mosca si era appena insediato l’uomo che lo avrebbe abbattuto, Mikhail Gorbaciov. Nell’Italia pre-tangentopoli, ancora ignara dei terremoti che proprio il crollo dell’Urss avrebbe causato, licenziando l’ormai inutile casta politica anti-sovietica della Prima Repubblica, si muoveva un’esigua minoranza di kamikaze, immediatamente criminalizzati dal mainstream come eretici guastatori, qualunquisti, avanguardie dell’antipolitica. I loro nomi: Alex Langer, Gianni Mattioli, Massimo Scalia. In altre parole, i Verdi: quelli che – complice il disastro bielorusso – riuscirono a trascinare l’Italia al voto, spingendo il paese a mettere al bando il nucleare.
Letteralmente in preda al panico, fu il vecchio Pci a scatenare contro il “Sole che ride” una crociata politica epocale: gli ambientalisti militanti? Da Dario Fo, sceso in campo con Grillotemere, in quanto “di destra”, perché alla difesa del posto di lavoro sporco e inquinato anteponevano la qualità della vita e il diritto alla salute dei lavoratori. Tralasciando l’ingloriosa storia della micro-burocrazia partitica dei Verdi italiani, proprio la gravità della crisi globale del terzo millennio rende giustizia ai profetici “clown” di allora, per molti aspetti politicamente trasversali e, in questo, così simili ai nuovi “clown” di oggi, che – di nuovo – si incaricano di sferzare, con una battaglia solitaria, l’establishment dei grandi partiti ormai alle corde. Stessi connotati potenzialmente rivoluzionari, almeno sul piano della cultura politica.
Quella dei Verdi fu una vera rivoluzione culturale, premiata da un autentico successo: tutte le istanze del loro programma sono diventate legge, in Italia. E a nessuno, da Obama in giù, è più consentito considerare l’ecologia come una sorta di stravaganza, magari non abbastanza “di sinistra”. In fondo, sono sempre le minoranze a cambiare la storia, dice Maurizio Pallante, esponente dei Verdi della prima ora e oggi presidente del Movimento per la Decrescita Felice, non lontano dai grillini. Tra gli “allievi” di Langer figurano esponenti No-Tav come Claudio Giorno, oggi rinfrancati dallo tsunami “5 Stelle” che ha conquistato l’intera valle di Susa e mezza provincia di Torino: dal 25 Maurizio Pallantefebbraio 2013, anche la grande opera più inutile d’Europa sembra ormai appartenere, per sempre, alle miserie del secolo scorso.
Pensare globalmente e agire localmente: era l’idea-forza del compianto ideologo altoatesino, molto prima che l’altra globalizzazione, quella dei mercati, prendesse alla gola interi popoli, fino a piegare gli Stati nazionali come avviene ora in un’Europa dominata dall’élite finanziaria, che prevarica i diritti democratici e piega le Costituzioni nate dalla resistenza antifascista. L’onda lunga del pensiero di Langer si infranse per l’ultima volta, sanguinosamente, nella “macelleria messicana” del G8 di Genova, seguita dall’oscuro infarto geopolitico dell’11 Settembre, inutilmente denunciato da poche voci isolate, come quelle di Gore Vidal e Giulietto Chiesa. Dieci anni di silenzio, poi la giovane folla di Occupy Wall Street, dopo il crac Lehman Brothers. Finanza-canaglia, banchieri, guerre, sequestro della democrazia e della sovranità. Sparute opposizioni locali, come quella No-Tav, hanno fatto passi da gigante: pensare globalmente ma, intanto, agire localmente. Yes, we can: sul palco ora c’è il “clown” Beppe Grillo, ma la novità è che ha raggiunto il Parlamento e, al primo colpo, il “Movimento 5 Grillini in festa per l'exploit elettoraleStelle” è diventato il primo partito. Lo ha detto anche Hollande a Bersani: poi non dite che non vi avevano avvisato.
Non può che impressionare l’entusiasmo autentico delle piazze elettorali grilline, popolo italiano autoconvocato per tentare di uscire dagli orrori di unacrisi che non ha precedenti nella storia occidentale del dopoguerra. E non può che rincuorare il fatto che, a scuotere la gelida Europa di Bruxelles, sia la comunità nazionale italiana. Voci e volti del paese che ha fama di essere il peggio governato del continente, ma anche quello che – contro la Guerra del Golfo – mobilitò i suoi cittadini per quella che fu la più grande manifestazione pacifista del mondo. La storia siamo noi, dopotutto, nonostante la barbarie di un’economia antidemocratica e le torture quotidiane inflitte dalla dittatura finanziaria dei poteri occulti, smisuratamente forti e spietati. La storia siamo noi, nessuno si senta escluso: e oggi è proprio l’Italia a incaricarsi di ricordarlo.

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