lunedì 2 aprile 2012


Apple Newsstand cede alle richieste degli editori di quotidiani europei (ma alle sue condizioni)

Tutti i principali quotidiani europei dispongono ormai di una versione digitale, ma la sua vendita non è così semplice, soprattutto quando c'è Apple di mezzo. Finora ogni copia veniva messa in vendita da Apple sui propri device senza un adeguamento al mercato europeo, a un prezzo iniziale fissato tra 0,79 centesimi (troppo poco per gli editori) e 2,59 euro (troppo per i lettori).
Ora i quotidiani saranno acquistabili a 0,99 o 1,29 euro, una concessione che gli editori dovranno pagare con una contrapartita, ovvero la presenza forzata nell'edicola Apple Newsstand. La decisione arriva dopo un lungo braccio di ferro con l'edicola digitale francese ePresse, che raggruppa otto testate - tra cui quotidiani come Le Figaro, Le Point e L'Express - e che ha in un primo tempo boicottato l'edicola di Apple lanciata a ottobre,per poi farsi corteggiare (e abbandonare) da Google col progetto One Pass, sistema di pagamento che proponeva delle condizioni più vantaggiose: i giornali reclamavano e reclamano anchel’accesso ai dati dei loro abbonati (indispensabili per le strategie di fidelizzazione) e una riduzione della commissione del 30% prelevata da Apple sulle vendite. La concessione di Apple viene descritta da Les Echos come una "provocazione", un "segno di disprezzo per la stampa", aggravata dal fatto che l'icona dei titoli presenti in Newsstand non compare nell'homepage degli apparecchi portatili Apple. 
Dagli ultimi dati pubblicati dalla Distimo emerge che ogni giorno le vendite di riviste e quotidiani digitali tramite Newsstand su iPad genera oltre 70.000 dollari, portando Apple ad essere tra i migliori 100 distributori di riviste a soli 6 mesi dalla nascita del servizio, segno che la battaglia tra Apple ed editoria classica è solo all'inizio.

International Journalism Festival, dal 25 al 29 aprile a Perugia si discute del giornalismo del futuro


International Journalism Festival, dal 25 al 29 aprile a Perugia si discute del giornalismo del futuro

International Journalism Festival, dal 25 al 29 aprile a Perugia si discute del giornalismo del futuro
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Ieri per il Festival Internazionale del Giornalismo è stato il giorno della conferenza stampa di presentazione. La manifestazione ideata da Arianna Ciccone e Christopher Potter arriva alla VI edizione, guadagnando di anno in anno sempre più adesioni e maggiore visibilità. Un festival in crescita che resta però fedele alle origini, proponendosi come obiettivo quello di sempre: non una semplice vetrina per i grandi nomi della stampa internazionale ma anche un'occasione di confronto e formazione per i giovani desiderosi di avventurarsi in questo tipo di carriera. Workshop, premi giornalistici, concorsi aperti a tutti, sono più di 200 gli eventi programmati, in un cartellone che conta oltre 450 speaker provenienti da tutto il mondo.
Il filo conduttore dell'edizione 2012 ha a che fare con libertà di stampa e democrazia 2.0. Quindi spazio a social media, archivi digitali, open data e tutti gli strumenti che trasformano un cittadino in un citizen journalist. Il tutto declinato secondo il modello che ha contribuito a rendere unica nel suo genere la manifestazione perugina, l'assoluta mancanza di gerarchie e barriere tra chi sta "in cattedra" e chi sta dall'altra parte, in un caos creativo capace di favorire al meglio lo scambio di idee, visioni e prospettive differenti.
Come sempre ci saranno i volontari, giovani aspiranti giornalisti provenienti da 27 paesi del mondo che aiuteranno l'organizzazione e che si occuperanno di raccontare il festival atraverso la rete e i social network (#ijf12 l'hashtag per essere aggiornati su Twitter). Piccola novità, quest'anno la webradio sarà affidata a Reset Radio, la prima web radio in Creative Commons.
Qui potete consultare il programma ufficiale, qui invece il video della conferenza stampa di presentazione girato da Repubblica XL.

Romanzo di una strage, al cinema il film di Marco Tullio Giordana sulla strage di Piazza Fontana


Romanzo di una strage, al cinema il film di Marco Tullio Giordana sulla strage di Piazza Fontana

Romanzo di una strage arriva nelle sale italiane per raccontare, a 43 anni di distanza, una delle pagine più nere della storia italiana: la strage di Piazza Fontana
Regista del film è Marco Tullio Giordana che sceglie di raccontare quella verità lasciata intravvedere da Pier Paolo Pasolini che nel suo celebre articolo Io so, pubblicato sul Corriere della Sera nel novembre 1974, affermava di conoscere i nomi dei mandanti della strage ma di non averne le prove.
Giordana ricostruisce con grande accuratezza i dolorosi fatti di quel 12 Dicembre 1969, quando nella Banca Nazionale dell'Agricoltura morirono diciassette persone e altre ottantotto restarono gravemente ferite. 
"Quattro uomini giusti che condividevano, da posizioni diverse, una stessa grande spinta etica", dice Giordana parlando dei quattro personaggi chiave: Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino), Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea), Aldo Moro (Fabrizio Gifuni) e il giornalista Marco Nozza (Thomas Trabacchi). 
Ai familiari delle vittime di Piazza Fontana è stata riservata una proiezione in anteprima. E Carlo Arnoldi, il presidente dell'Associazione vittime di Paizza Fontana ha commentato: 
"Il film racconta semplicemente la verità e cioé che l'attentato fu opera degli ordinovisti veneti".
Qualche critica arriva dal figlio del Commissario Calabresi, che spiega come il film ometta la campagna di Lotta Comunista contro il padre. Giordana però ha replicato: 
"Questo film renderà evidente a tutti che Calabresi non ere in quella stanza. Il film è su Piazza Fontana, mi sembra che sia equanime nel raccontare cosa succede ai personaggi. [...] Quando ero ragazzo [Calabresi] venne nella mia scuola che avevamo occupato. Era una persona colta e non violenta. Di poliziotti ne ho conosciuti diversi dopo, mai nessuno come lui. Durante gli interrogatori gli schiaffi non volavano se c’era dentro lui, ed è per questo che credo sia vero non fosse nella stanza quando Pinelli è morto. Non lo so come sono andate davvero le cose lì dentro, posso solo fare supposizioni che per me sono verosimili: di certo Pinelli non si è suicidato e non è caduto per caso"
E poi conclude: 
"Piazza Fontana non può più essere un punto interrogativo, specie per i giovani che hanno il diritto di sapere. Un film serve a spiegare la storia e la verità, con gli strumenti della letteratura, del cinema, dell’arte, non di quelli della politica".

EllaOne, la pillola dei cinque giorni dopo a base di Ulipristal acetato da aprile in Italia


EllaOne, la pillola dei cinque giorni dopo a base di Ulipristal acetato da aprile in Italia

EllaOne, la pillola dei cinque giorni dopo a base di Ulipristal acetato da aprile in Italia
© Fabio Ferrari/LP

Viene comunemente chiamata pillola dei 5 giorni dopo, ma si tratta di Ulipristal acetato 30 mg: un potentecontraccettivo di emergenza che va assunto quanto prima possibile e non oltre le 120 ore da un rapportonon protetto o dal fallimento di un altro metodo contraccettivo.
L'Ulipistral in Italia ha ricevuto il via libera dell'AIFA l'8 novembre del 2011. Su Quotidiano Sanità spiegano che l'Ulipristal:
"Appartiene alla classe dei modulatori selettivi del recettore del progesterone, e agisce come contraccettivo d’emergenza principalmente spostando il picco dell’ormone luteinizzante (LH) che precede l’ovulazione, riuscendo quindi a ritardarla o evitarla. Rispetto alla contraccezione d’emergenza a base di Levonorgestrel finora disponibile in Italia, Ulipristal acetato 30 mg può riuscire a ritardare o bloccare l’ovulazione anche se assunto immediatamente prima del momento in cui è prevista l’ovulazione, ossia quando il picco di LH è già iniziato a salire"
L’AIFA ha inserito il farmaco nella classe di rimborsabilità C, e dispensabile su ricetta non ripetibile. La deliberazione AIFA prevede che la prescrizione sia preceduta dal riscontro di un test di gravidanza (a esito negativo) basato sul dosaggio delle beta Hcg. Il prezzo al pubblico sarà di euro 34,89.
A oggi il farmaco è autorizzato in 39 Paesi (27 Ue, e inoltre Norvegia, Islanda, Liechtenstein, Serbia, Croazia, Bosnia, Djibouti, Gabon, Israele, Singapore, Sud Corea e Stati Uniti) e commercializzato in 28 stati.  

Formerò piangeva perché sapeva che doveva fare male

PENSIONI, POLILLO APRE SU 'ESODATI'. FORNERO PRENDE DISTANZE

ROMA - Si apre uno spiraglio sugli esodati, quell'esercito, dal numero ancora incerto, di persone che non ha più un lavoro e non ha ancora la pensione in seguito all'aumento dell'età di ritiro deciso dalla riforma Fornero. A suggerire la possibile soluzione è il sottosegretario all'Economia, Gianfranco Polillo, nel corso della registrazione della trasmissione In Onda, anticipata da La7.
"Gli esodati - osserva il sottosegretario - hanno firmato un accordo con le aziende; se cambiano le condizioni che hanno legittimato quell'accordo, secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico, possono chiedere che quell'accordo sia nullo".
Si profila insomma la possibilità, per decine di migliaia di persone, di ricorrere al giudice per riottenere il posto di lavoro. Polillo appare infatti convinto che questo sia possibile e assicura che "il ministro dell'Economia non si opporrà a una norma di questo genere (al ritorno al lavoro, ndr)", aggiungendo che "in Parlamento ci sono orecchie sensibilissime su questo".
Insomma, come ha già sottolineato il ministro del Lavoro Elsa Fornero, che nei giorni scorsi ha promesso "una soluzione equa", il problema "non potrà essere ignorato", anche se, aggiunge Polillo, "l'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re". A stretto giro arriva però la reazione dal Ministero di Via Molise, che prende le distanze dalle posizioni di Polillo, facendo sapere che, se il sottosegretario ha la ricetta giusta per risolvere il problema degli esodati, se ne deve far carico personalmente. Più dura la reazione della Cgil, che parla di "improvvisazioni irresponsabili" e si chiede se Polillo parli o meno a titolo personale e se sia stata avvisata Confindustria.
"C'é troppa propaganda e troppa improvvisazione da parte del Governo", aggiunge Vera Lamonica, segretario nazionale del sindacato, secondo la quale "in un tempo in cui il tema è diventato la libertà di licenziare, si scopre che qualcuno nel Governo pensa che si possano annullare accordi tra le parti, magari sottoscritti dallo stesso Governo". In ogni caso, sottolinea comunque Polillo, "questo Governo ha fatto dell'equità uno dei cardini della sua azione politica e non lasceremo per strada delle persone che non hanno nessuna colpa rispetto agli accordi che hanno sottoscritto con le aziende. Questo Governo né quelli futuri potranno ignorare la loro situazione".
Il governo, insomma, conferma di avere ben presente il problema, mentre si attende ancora di sapere quante siano le persone coinvolte: l'Inps, incalzato dal segretario della Cgil Susanna Camusso, ha detto di non essere in grado di stabilire il numero. Ma martedì prossimo il presidente dell'Istituto, Antonio Mastrapasqua, sarà di nuovo ascoltato in audizione dalla Commissione Lavoro del Senato e lì l'argomento potrebbe essere di nuovo affrontato.

domenica 1 aprile 2012

EUTANASIA/ Quella legge sul suicidio che difende i malati terminali


EUTANASIA/ Quella legge sul suicidio che difende i malati terminali

sabato 31 marzo 2012
Il Parlamento inglese ha approvato una mozione di sostegno alle linee guida sul suicidio assistito elaborate due anni fa dal Director of Public Prosecutions, Keir Starmer. Al procuratore nazionale era stato sottoposto il caso di un marito che desiderava accompagnare la moglie, malata terminale, in una clinica svizzera dove si pratica l’eutanasia. L’uomo chiedeva alla magistratura se sarebbe stato penalmente perseguibile per il suo gesto. In risposta, Starmer ha elaborato delle linee guida in cui si afferma che aiutare una persona a suicidarsi è un reato che va perseguito se avviene per finalità d’interesse, mentre non lo è se il motivo è la compassione. Il Parlamento si è espresso a favore delle linee guida, ma si è rifiutato di cambiare la legge del 1961 sul suicidio in base a cui aiutare qualcuno a togliersi la vita rappresenta un reato. Ilsussidiario.net ha intervistato Alistair Thompson, portavoce di Care Not Killing, un’associazione non profit inglese che promuove le cure palliative e combatte l’eutanasia.

Thompson, dopo questa mozione la legge inglese è più permissiva nei confronti del suicidio assistito?

Il Parlamento si è trovato a discutere un emendamento presentato dalla parlamentare Joan Ruddock. L’esponente laburista voleva che le linee guida sul suicidio assistito assumessero il valore di legge, cambiando la norma esistente, il Suicide Act del 1961. Il Parlamento però ha respinto ogni tentativo di modificare la legge.

Ritiene che questa decisione di non cambiare la legge rappresenti un risultato positivo?

Sì. La legge britannica sul suicidio, che è in vigore da 41 anni, ha sempre difeso i disabili, gli anziani e i malati terminali. Si tratta di persone che possono subire pressioni o fare pressioni su altri per essere aiutati a togliersi la vita. La nostra associazione ritiene che invece di difendere il diritto all’eutanasia, occorra impegnarsi affinché i disabili possano accedere alle cure palliative più avanzate e ad altre forme di assistenza.

Le linee guida introducono una differenza tra “compassione” e “motivi d’interesse”, stabilendo che l’assistenza al suicidio può essere perseguita solo nel secondo caso. Che cosa ne pensa di questa distinzione?

Le linee guida prendono in considerazione un vasto numero di fattori, e non soltanto le motivazioni, ma restano ferme sul fatto che aiutare un’altra persona a suicidarsi va contro la legge. La novità introdotta dal documento di Starmer è che quando qualcuno è fortemente motivato dalla compassione, e non vi è alcun guadagno finanziario, o altre forme di guadagno, allora è meno probabile che il pubblico ministero apra un’inchiesta. Non apre quindi la porta a una legalizzazione del suicidio assistito attraverso una scorciatoia, in quanto la legge rimane la stessa. Le linee guida del Director of Public Prosecutions sono né più né meno il testo redatto da un magistrato, cioè da qualcuno che può interpretare la legge ma non può cambiarla.

Che cosa l’ha colpita di più del dibattito sul suicidio assistito al parlamento inglese?

Nel corso del dibattito c’è stato un discorso molto commovente del parlamentare Craig Whittaker, che ha raccontato un episodio della sua vita familiare. Il fratello, 17enne e malato terminale di cancro, fece diverse pressioni sulla famiglia affinché lo aiutasse a togliersi la vita. Il padre si rifiutò di farlo, ma a distanza di 20 anni, pur restando convinto di avere fatto la scelta migliore, si trova a combattere ancora con i sensi di colpa per non avere aiutato il figlio malato. Whittaker ha osservato che in molti pensano ai diritti dei malati terminali, ma nessuno si interroga sulla situazione dei familiari che subiscono delle pressioni da parte di chi chiede loro di aiutarli a morire.

Hanno parlato anche i rappresentanti dei disabili?

La baronessa Jane Campbell, affetta da atrofia muscolare spinale fin dall’infanzia, ha tenuto un grande discorso, sottolineando che numerosi disabili si sentirebbero schiacciati per il fatto di gravare sulle loro famiglie come un peso per il fatto di dovere essere accuditi o comportare delle spese. Sarebbe questo a spingerli a chiedere di porre fine alla loro vita. Il rischio quindi è il messaggio che passi sia che per chi è disabile o anziano, la vita ha meno valore rispetto a chi è giovane e sano. Di fatto il Parlamento, pur non cambiando la legge, ha espresso il suo formale apprezzamento nei confronti delle linee guida sul suicidio assistito.

Da un punto di vista pratico, che cosa cambierà per i malati terminali?

Nulla, la legge non è stata modificata e le linee guida di fatto non introducono alcuna novità sostanziale. L’importante è che ciascun caso sia indagato a fondo sia dalla polizia sia dalla procura, e se avvengono pressioni ai danni di persone malate affinché si tolgano la vita, questi reati siano perseguiti ai sensi della legge. In questo modo si proteggono le persone più deboli della società.

(Pietro Vernizzi)


Monti..Monti..Tra veti incrociati e pantano ideologico, dov'è finita la "fase due


 Tra veti incrociati e pantano ideologico, dov'è finita la "fase due"?

domenica 1 aprile 2012
SCENARIO/ Tra veti incrociati e pantano ideologico, dov'è finita la fase due?
E' due giorni che il Corriere della Sera, quello che un tempo si chiamava la “corazzata di via Solferino”, fa le pulci al “governo dei tecnici” di Mario Monti. Venerdì, con Dario Di Vico, si spiegava che mentre nelle piccole e medie imprese arrivavano le cartelle di Equitalia, quelle stesse imprese vantavano crediti nei confronti dello Stato. Sabato con l'accoppiata Giavazzi e Alesina che, anche loro, si sono accorti che esiste “La trappola delle tasse”. Bisognerebbe aggiungere un “pezzo” di Piero Ostellino, relegato a pagina 61, dal titolo quanto mai significativo “L'Italia dei miracoli e delle contraddizioni”. Che cosa sta succedendo a questo “governo”? Ci sono fatti contraddittori. Il primo è che la cosiddetta “fase due”, quella della crescita, sembra smentita dal dato che lancia oggi la Cgia di Mestre. “Nel 2011, 11.615 aziende hanno chiuso i battenti per fallimento, un dato mai toccato in questi ultimi quattro anni di crisi”. Il secondo è la sensazione di una situazione bloccata tra partiti della grande maggioranza, confermato indirettamente dalla necessità di una lettera al Corriere dello stesso Mario Monti. Il terzo è rappresentato, forse, da un momento di intiepidimento verso il Governo da parte dello stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che di fatto ha “consigliato”, sulla riforma del lavoro e sul “tormentone” dell'articolo 18, non il decreto (che a Monti e al governo andavano benissimo), ma il disegno di legge per via parlamentare.
Paolo Preti, direttore del Master piccole imprese della Bocconi, spiega che, ogni tanto, sfoglia alcuni giornali dei mesi scorsi. Ha rivisto un Corriere dell'11 gennaio con una considerazione di Sergio Romano che evidenziava le differenze tra il “governo dei tecnici di Monti” e l'operato del cancelliere della Repubblica di Weimar. Dice il professor Preti: «Si sottolineava che la differenza consisteva soprattutto nel fatto che Monti aveva varato il decreto “CresciItalia”. Ora, sono passati quasi tre mesi, ma io di crescita non vedo traccia. E indubbiamente il dato della Cgia di Mestre è vero e preoccupante. Tuttavia, al riguardo, non per contrapporre un altro dato confortante, ma per giusta precisazione, occorre dire che la “morte” delle aziende in Italia è sempre compensata da una maggiore nascita di altre imprese. E' quello che attesta Unioncamere. Certo, in un periodo di crisi esiste una sorta di “ripulitura” di alcune forme di produzione, ma c'è anche il tentativo dei singoli di mettersi in proprio, magari senza avere le capacità imprenditoriali per cominciare una simile avventura».
C’è, poi, il drammatico problema della pressione fiscale che per le imprese in particolare - i produttori di ricchezza - è la più alta di tutti i Paesi Ocse.
Questo è vero purtroppo e non si riesce a comprendere perché un problema come questo, che è il vero problema, non venga affrontato. Personalmente faccio fatica a capire come un “governo di tecnici”, che dovrebbe essere libero da incrostazioni e bardature politiche, non vada al nodo del problema italiano. Anche questo esecutivo, come qualunque altro di centrodestra o di centrosinistra, sta rituffandosi in questioni di carattere ideologico. E’ quanto appare, ad esempio, sulla riforma del mercato del lavoro e dell'articolo 18.
I toni sono di nuovo concitati. Non c'è solo la Cgil di Susanna Camusso, ma anche il Pd con Rosy Bindi che parla di “punto irrinunciabile”. In sostanza l'articolo 18 non si tocca.
Si gira sempre intorno a questo articolo 18 che poi, in sostanza, ha una portata veramente relativa rispetto ai veri problemi, come abbiamo detto più volte. Ma il fatto che il “governo dei tecnici” sia rimasto quasi prigioniero di questo scontro, che lo stesso Presidente Napolitano abbia indicato la via parlamentare e non il decreto, in un modo non proprio bipartisan, fa pensare a un governo bloccato. E questo è l'aspetto più preoccupante.
Da anni si parla in termini negativi di una tassa come l'Irap. Non si potrebbe abbassare l'aliquota almeno di qualche punto?
Il problema è che l'Irap per le imprese scatta come l'Irpef. E' una tassa certa. E in un momento come questo nessuno ha il coraggio di andare a toccare un'entrata certa e sicura.
In sostanza, pare che la crescita non parta, la pressione fiscale rimanga inalterata o addirittura rischi di aumentare, con un'impennata dei prezzi, e nello stesso tempo il governo resti bloccato.
Beh, in questo momento, pur precisando quel dato sul fallimento delle imprese nel 2011, con relativa nascita di un numero maggiore di altre imprese, non si vede nulla di nuovo all'orizzonte. E la situazione è problematica. Non enfatizzerei i casi di cronaca che si sono verificati, pur con tutto il rispetto e la dovuta attenzione che si deve a queste persone. E' l'impressione di fondo che lascia perplessi. Alla fine, questo governo ha recuperato una buona credibilità internazionale. E va bene. Ma si sono fermati lì, per il resto la situazione non è mutata. In più, sulle discussioni che stanno emergendo in questi giorni, la sensazione è che il governo non solo sia bloccato, ma vada a infilarsi, soprattutto sulla vicenda del mercato del lavoro e dell'articolo 18, in una specie di pantomima ideologica.
Sta emergendo anche un problema di liquidità, cioè di credit crunch. Le banche sono state finanziate dalla Banca centrale europea, ma di denaro nell'economia reale, di finanziamenti alle imprese ne arriva poco.
Difficile documentare, nei particolari, questo fatto che,  indubbiamente, esiste. E' possibile che vi concorrano una serie di fattori. Che le banche, cioè, abbiano lasciato il denaro alla Bce per rifinanziarsi, che siano preoccupate dai parametri di Basilea 3 e dell'Eba. Va tenuto presente che, ormai, le nostre due banche maggiori, per i valori della capitalizzazione che hanno oggi, rischiano di essere oggetto di un'opa da parte di investitori esteri.