mercoledì 6 febbraio 2013

Obama sei un grande Presidente,mi piacerebbe che qualche politico italiano ti seguisse Debito, basta ricatti: Obama dichiara guerra a Wall Street,


Debito, basta ricatti: Obama dichiara guerra a Wall Street


La Casa Bianca dichiara guerra alla finanza speculativa: clamorosa la decisione di Barack Obama, che chiederà 5 miliardi di dollari all’agenzia di rating “Standard & Poor’s” a titolo di risarcimento per i danni causati dalla crisi dei mutui subprime: secondo il governo, il colosso del rating avrebbe ampiamente “gonfiato” le valutazioni di alcuni mutui ipotecari, pur essendo a conoscenza dei rischi che di lì a poco avrebbero scatenato l’inferno della più profonda recessione dagli anni della Grande Depressione. Finora, gli unici politici ad aver messo alla berlina lafinanza erano stati gli islandesi, giunti a spedire in galera 9 banchieri accusati del crack del 2008, mentre in Italia – contro le agenzie di rating – si sono mossi i giudici di Trani, secondo cui “Standard & Poor’s” e “Fitch” avrebbero provocato un danno all’Italia stimato in 120 miliardi di euro, generato da analisti finanziari incompetenti e notizie manipolate “a orologeria”, per arrivare alla “tempesta dello spread” che ha insediato il governo Monti su mandato di Bruxelles per conto della finanza internazionale.
 
Senza precedenti l’offensiva di Obama, dopo anni di indagini sulle responsabilità non solo di “Standard & Poor’s”, ma anche delle altre due Barack Obamagrandi agenzie, “Moody’s” e “Fitch”. Contro “S&P” le autorità di Washington hanno deciso di lanciare un’azione civile sia federale che a livello di molti singoli Stati. «Tutto ciò – scrive “La Stampa” – mentre il presidente americano, Barack Obama, appare fortemente intenzionato ad andare fino in fondo anche con la riforma di Wall Street, nonostante le mille resistenze». Lo dimostra anche la recente scelta di aver messo a capo della Sec (la Consob americana) un’ex procuratore, uno “sceriffo” per garantire che le nuove regole nel settore finanziario vengano realmente attuate e applicate.
Cuore del sistema finanziario mondiale, le agenzie di rating sono accusate di “truccare” le informazioni che vendono agli investitori, interessati all’acquisto di titoli privati o di Stato. Mentre gli investitori chiedono garanzie di solvibilità, gli emittenti di titoli – in cerca di liquidità – puntano ad avere dalle agenzie di rating referenze positive, cioè la “pagella” che renda i loro titoli appetibili sul mercato. Problema: anche se vestono i panni dell’arbitro, le agenzie di rating sono responsabili dell’“impazzimento”della finanza internazionale, che proprio attraverso continue manipolazioni organizza colossali speculazioni quotidiane, anche a danno di interi popoli. Se ne sono accorti i magistrati di Trani, secondo cui le agenzie hanno aggravato ad arte la percezione della crisiitaliana, condannando il paese Standard & Poor'sall’emergenza interpretata dal rigore di Mario Monti che sta letteralmente piegando il paese.
A livello internazionale, c’è il clamoroso precedente dell’Australia: dove la stessa “Standard & Poor’s” è stata condannata a risarcire 24 milioni di euro per valutazioni errate espresse nell’attività di rating. La causa australiana è stata innescata da una class action, un’azione collettiva, simile a quella condotta dall’Islanda contro i banchieri “infedeli”: nove alti funzionari di banca ritenuti responsabili del crack del 2008 sono finiti dietro le sbarre. Contrariamente a quanto avviene nel resto del mondo – ad esempio negli Usa, dove Goldman Sachs (almeno finora) ha potuto fare il bello e il cattivo tempo influenzando i mercati finanziari di tutto il pianeta – in Islanda non si sono limitati ad attribuire colpe e responsabilità, ma hanno scelto di far pagare la crisi a chi l’ha provocata, senza far gravare i costi sulle spalle dei cittadini.
Assorbiti dalla riscrittura della Costituzione con un metodo orizzontale e partecipativo, gli islandesi hanno anche deciso di liberarsi dall’ingerenza del Fondo Monetario Internazionale, l’altra istituzione europea che – insieme alla Bce e alla Commissione di Bruxelles – è direttamente responsabile della catastrofe recessiva che sta affondando la Grecia e minacciando seriamente Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia. «I risultati della silenziosa rivoluzione in Islanda sono tangibili», osserva “WakeUp News”: «Il popolo, attraverso un referendum, ha vietato allo Stato di farsi carico dei debiti contratti dalle banche a causa dei banchieri speculatori, definendo il debito “detestabile” – cioè un debito contratto dallo Stato che non porta al popolo nessun vantaggio, ma solo penalità – e quindi non esigibile».
Fine del ricatto del debito pubblico impugnato come alibi per imporre misure di austerity: è la stessa trincea nella quale ora si impegna nientemeno che il presidente degli Stati Uniti, deciso ad evitare a tutti i costi una soluzione “europea”, cioè la riduzione del debito attraverso tagli selvaggi alla spesa pubblica che, come da noi sta già avvenendo, metterebbero in ginocchio anche il settore privato e quindi l’intera economia nazionale. Tagli Draghi e Montiche, negli Usa, «finirebbero inevitabilmente per penalizzare molti servizi e per rallentare la già timida ripresa dell’economia», osserva “La Stampa”.
Evitare il baratro del “fiscal cliff” e il taglio automatico di 85 miliardi di dollari destinati alla spesa pubblica? Obama può farlo, se il Parlamento glielo consentirà, perché gli Usa dispongono di moneta sovrana: possono continuare ad emettere dollari a costo zero attraverso la Fed, a differenza dei paesi dell’Eurozona, costretti ad elemosinare l’euro della Bce – a tasso di usura – attraverso il sistema finanziario privato. E’ l’euro-catastrofe che in Europa si traduce nella follia del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio: lo Stato costretto a non investire più sui servizi vitali per la cittadinanza, condannando anche le imprese – e quindi le famiglie, i redditi, i consumi – alla spirale regressiva della depressione. E, mentre i politici italiani si allineano ai diktat di Bruxelles, la Casa Bianca sembra intenzionata a sferrare un’offensiva storica contro i parassiti della finanza.

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