mercoledì 8 febbraio 2012


L'invasione dell'ultra-cibo



Anche il cibo è stato risucchiato nel vortice mediatico. Manipolato e riprodotto all'infinito, come ogni prodotto di successo. Così tracima dovunque. In ogni forma e in ogni format. Senza limiti, neppure alla decenza. Non è una scoperta particolarmente sorprendente, me ne rendo conto. Ma ne ho preso piena consapevolezza nei giorni scorsi, costretto a casa - e a letto - da una fastidiosa affezione alle vie respiratorie. Tra un libro e l'altro, tra un giornale e l'altro, tra una pausa di riposo e l'altra: ho guardato la tivù, facendo zapping, in modo "febbrile". E ho "scoperto", o meglio, ho avuto conferma, che il "cibo" è divenuto un consumo di successo. Un protagonista. Quasi come il - e forse anche più del - pallone. In diretta concorrenza con i delitti domestici e le tragedie quotidiane. 

Il cibo: ha invaso ogni rete. A ogni ora del giorno. Dovunque e sempre: tavole imbandite, presidiate da cuochi, cuoche  -  dilettanti e di professione, oltre che "dilettanti di professione".  E poi: esperti che ci guidano nella spesa, tra mercati e botteghe. La "febbre del cibo" presenta un particolare addensamento intorno all'ora di pranzo. Tanto per accompagnarci  -   e farci compagnia  -  a tavola. Ma "il pranzo è servito" anche alle altre ore del giorno. Sera e notte comprese. D'altronde, sulle piattaforme satellitari, vi sono canali tematici dove si cucina e si assaggia, cioè: si mangia e si fa da mangiare, senza soluzione di continuità. Il cibo e la cucina, peraltro, sono divenuti occasione e motivo di reality, competizioni e "competizioni reality" a ogni livello. C'è il format di MasterChef, dove una ventina di aspiranti cuochi si affrontano e si confrontano per mesi. Valutati, tallonati, vessati da "enogastronomi" di grande successo. Che, più di giudicarli, li azzannano  li insultano, in modo feroce. Mancano solo le punizioni fisiche. Secondo la regola di Highlander: ne resterà solo uno. Il prototipo americano, condotto da Gordon Ramsey, ha diverse varianti. Con una sola costante: il cuoco inquisitore e fustigatore. Che alimenta il sadomasochismo dei concorrenti  -  e degli spettatori. Trattati  - i concorrenti - come pezze da piedi. In modo da solleticare l'istinto feroce degli spettatori. C'è perfino una versione australiana riservata a bambini di 10 anni. Roba da interpellare subito gli Organismi internazionali in difesa dei minori.
  
Ancora, assistiamo a programmi dove la sfida avviene tra coppie che si invitano reciprocamente a casa e si scambiano "cortesie", sotto lo sguardo severo di specialisti  -  di cucina, arredamento, bon ton. Scambisti culinari, insomma  -  senza alcun doppio senso. Mentre altrove Ramsey  -  sempre lui - si dedica al recupero di ristoranti da "incubo". 

La "febbre del cibo", però, non si limita alle trasmissioni di genere. Ma esonda ovunque. In particolare, nelle trasmissioni di infotainment. Prima fra tutte: "Porta a Porta". Dove, guidati da Bruno Vespa, spesso i cuochi discutono di politica e i politici cucinano in diretta. E che dire del successo dell'editoria enogastronomica? Non solo le guide di ristoranti, trattorie e cantine.  Ma, in primo luogo, i libri di ricette scritti dalle conduttrici di programmi televisivi di cucina. Puntualmente in classifica, tra i più venduti. Loro, le "casalinghe assatanate": dalla tivù al manuale. Sempre a casa nostra (pardon: vostra).

Altro capitolo è quello dei corsi e delle scuole "popolari". A cui partecipa un pubblico di massa. Che, magari, non impara a cucinare, ma, comunque, assaggia. Abbondantemente. Durante serate tematiche dedicate agli antipasti, al pesce, ai primi, ai dolci, al sushi, al kebab, al couscous, alla cucina (sedicente) bio, vegetariana e vegana. Questa invasione barbarica della vita quotidiana può produrre mutazioni sorprendenti e fenomeni paranormali. Mio figlio maggiore, per esempio, è stato contaminato dal "virus Cracco" (contratto durante la visione di MasterChef Italia). Da allora ha iniziato a frequentare corsi e a esibirsi in cucina. Lui, fisicamente un chiodo, non ha cambiato fisionomia. Continua a mangiare poco. Ma fa da mangiare agli amici. Organizza tavole affollate, dove propone piatti elaboratissimi. Per gli altri. Un po' come un sommelier astemio (peraltro, esistono. Io stesso ne conosco una).

La crisi economica e sociale non ha ridimensionato questa tendenza. Se possibile, l'ha accentuata. Non solo perché molte famiglie hanno ridotto le presenze al ristorante e in trattoria, per "rifugiarsi" nella cucina domestica. È che la crisi sembra aver "alimentato" una sindrome bulimica, quasi per reazione al rischio di impoverimento, che minaccia soprattutto i ceti medi e popolari. A cui si rivolgono le trasmissioni "alimentari" di maggiore successo.

Così, i diversi e importanti significati del cibo rischiano di essere de-semantizzati e ri-semantizzati. Il cibo come "alimento". Ma anche come socialità, comunicazione, solidarietà. (Ne ha scritto Luigi Ceccarini, in "Consumare con impegno", per Laterza.) Questi significati risultano quasi stravolti. Penso all'esperienza di Carlin Petrini e di Terra Madre, la filiera di comunità contadine, di pescatori e allevatori, per un'alimentazione sostenibile, sparse in tutto il mondo. E penso ai miei amici Giorgio e Amedeo, che passano le loro sere "libere" a cucinare per centinaia di persone. Per sostenere le "buone cause" di movimenti volontari, missionari e altermondialisti. Penso, ancora, alla "sobrietà", che oggi è divenuta una virtù condivisa e celebrata. Spinta dall'emergenza e dalla necessità. Ma anche dalla valorizzazione del rapporto con l'ambiente, con il corpo, con gli altri.

Tutto ciò rischia di venire travolto. Noi stessi rischiamo di essere invasi e fagocitati dall'Ultra-cibo. Dalle sue infinite e rutilanti rappresentazioni. Come avviene ne "La grande bouffe", film iconoclasta e visionario, oltre che geniale, di Marco Ferreri (1973). I cui protagonisti, rinchiusi in una villa intorno a Parigi, si "suicidano". Dopo giorni e giorni passati a cucinare e mangiare. A mangiare e cucinare. Fino a sfinirsi e morire, a uno a uno: affogati nel cibo, il sesso. E la merda.

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